Connect with us

Mondo

Trump contro Amazon: “Atto ostile”. Bezos chiarisce, ma la Casa Bianca alza i toni

La tensione tra Washington e Amazon esplode nel giorno in cui la Casa Bianca valuta l’allentamento dei dazi sulle auto. Secondo la CNN, Trump ha chiamato personalmente Jeff Bezos dopo aver appreso dell’intenzione – poi smentita – di evidenziare sui prodotti Amazon l’effetto delle tariffe d’importazione. La risposta della Big Tech: “Era solo un’ipotesi interna allo store low cost, mai arrivata sul sito principale”.

Avatar photo

Pubblicato

il

    Nella nuova stagione della guerra commerciale targata Donald Trump, il bersaglio non è solo la Cina. È anche chi, negli Stati Uniti, osa far notare ai consumatori quanto quei dazi incidano davvero sul prezzo dei prodotti.
    Amazon, secondo la Casa Bianca, avrebbe tentato un’operazione considerata “politica e ostile”. A dirlo, senza mezzi termini, è stata la portavoce presidenziale Karoline Leavitt, che in conferenza stampa ha accusato l’azienda di Jeff Bezos di flirtare con “una branca della propaganda cinese”, insinuando un presunto allineamento strategico nella battaglia economica in corso.

    Tutto parte da un’indiscrezione pubblicata da Punchbowl News, secondo cui alcuni team interni ad Amazon stavano valutando l’idea di mostrare ai clienti l’impatto diretto delle tariffe doganali accanto al prezzo dei prodotti: una sorta di “scontrino trasparente” con tutte le voci di importazione evidenziate.

    L’intento? A detta dei detrattori, quello di trasferire sulle politiche dell’amministrazione la responsabilità degli aumenti percepiti dai consumatori. Una mossa che, se applicata davvero, avrebbe avuto ricadute evidenti sulla comunicazione politica di Trump, proprio nei giorni in cui la Casa Bianca si prepara ad annunciare un allentamento dei dazi sulle auto per calmare i mercati e rilanciare l’industria domestica.

    Secondo quanto riportato dalla giornalista della CNN Alayna Treene, il presidente Trump ha reagito personalmente, chiamando al telefono Jeff Bezos per chiedere spiegazioni dirette. Un gesto inusuale, ma che segnala quanto il rapporto tra il tycoon e l’ex uomo più ricco del mondo resti fragile, nonostante un avvicinamento nelle ultime settimane.

    Amazon ha risposto con una precisazione immediata, attraverso un portavoce: «Il team che gestisce il nostro negozio ultra low cost Amazon Haul ha discusso internamente la possibilità di mostrare i costi di importazione su alcuni articoli. Si tratta di brainstorming ordinari. L’idea non è mai stata presa in considerazione per lo store principale di Amazon, né implementata su alcuna piattaforma».

    Una smentita che cerca di raffreddare il caso, ma che arriva troppo tardi per evitare lo scontro. Per la Casa Bianca, anche solo pensare di rendere visibili ai clienti gli effetti delle scelte governative sui loro portafogli è già un attacco politico.

    Sul piatto, però, ci sono anche 12 miliardi di euro di export italiano a rischio, colpiti dai dazi su acciaio, alluminio e auto. E mentre Trump agita la clava commerciale, i colossi americani – Amazon in testa – si trovano tra due fuochi: il pressing cinese da un lato, e quello di Washington dall’altro.

    Il messaggio, in fondo, è chiaro: in un’America dove i prezzi lievitano e la campagna elettorale è già entrata nel vivo, anche la trasparenza può diventare un’arma pericolosa. Soprattutto se usata sotto forma di etichetta.

      SEGUICI SU INSTAGRAM
      INSTAGRAM.COM/LACITYMAG

      Mondo

      Lo zampino di Musk: Trump apre le porte agli Afrikaner bianchi con “Mission South Africa”

      È stato battezzato “Mission South Africa” e sembra fatto su misura per accontentare l’amico Elon Musk: Donald Trump ha lanciato un programma speciale che permette agli Afrikaner bianchi di ottenere lo status di rifugiati politici negli Stati Uniti. Una decisione controversa che ha scatenato reazioni durissime da Pretoria. Ma la macchina è già partita: il primo gruppo ha lasciato il Paese diretto verso Washington.

      Avatar photo

      Pubblicato

      il

      Autore

        Donald Trump fa di nuovo parlare di sé. E questa volta il suo bersaglio non sono né i migranti del Centroamerica né i rifugiati del Medio Oriente, bensì… i bianchi del Sudafrica. O meglio: li prende sotto la sua ala. Con un ordine esecutivo, il tycoon ha infatti inaugurato “Mission South Africa”, un programma di reinsediamento dedicato agli Afrikaner, la minoranza bianca che in Sudafrica denuncia da anni persecuzioni, violenze e discriminazioni. Un gesto carico di significato politico – e culturale – che ha mandato su tutte le furie il governo di Pretoria.

        A rendere il tutto ancora più interessante è il retroscena che porta dritto a Elon Musk. Il patron di Tesla e X (ex Twitter), nato proprio in Sudafrica da famiglia Afrikaner, sarebbe stato uno dei primi a promuovere informalmente l’idea. Trump, con il suo fiuto per le battaglie simboliche, l’ha trasformata in un cavallo di Troia perfetto per la sua campagna: accoglienza selettiva, protezione della “vera civiltà”, e uno schiaffo al multiculturalismo progressista.

        Il primo gruppo di famiglie, tra cui anche bambini, è già decollato dall’aeroporto di Johannesburg sotto scorta. Nessuna dichiarazione, solo bagagli e volti tesi. A riceverli, all’aeroporto di Washington Dulles, c’erano funzionari del governo americano. Un’accoglienza da Stato amico.

        Ma l’esecutivo sudafricano non ci sta. “Una mossa politica, strumentale e dannosa per la nostra democrazia costituzionale”, ha tuonato il portavoce del ministero degli Esteri. Pretoria non riconosce la narrativa secondo cui gli Afrikaner siano vittime di persecuzioni tali da giustificare l’asilo.

        Il messaggio, però, è chiaro: Trump fa selezione. Chi fugge da guerre, fame o disastri ambientali resta fuori. Chi porta con sé l’immagine di un’“America che fu”, bianca e benestante, può entrare. Anche se proviene da un Paese democratico. Anche se non c’è alcuna guerra in corso.

        E se poi ci fosse anche l’amicizia di un certo Elon Musk, tanto meglio.

          Continua a leggere

          Mondo

          Baseball e benedizioni. Papa Leone XIV è un tifoso dei White Sox (ma i Cubs non ci stanno)

          Dopo l’elezione, Chicago si interroga: il pontefice sostiene i Cubs o i White Sox? Il fratello John svela la verità, tra maglie inviate in Vaticano e rivalità sportive che arrivano oltre Piazza San Pietro.

          Avatar photo

          Pubblicato

          il

            L’Illinois ha dato alla Chiesa il suo primo pontefice americano, ma a Chicago l’entusiasmo per l’elezione di Papa Leone XIV ha lasciato subito spazio a un’altra questione fondamentale. Ma per quale squadra di baseball fa il tifo? Lungo Michigan Avenue, tra chi si congratula per il nuovo papa e chi riflette sulla portata storica dell’evento, un interrogativo serpeggia tra i passanti: è un uomo da Cubs o da White Sox? La sfida è subito diventata virale. I Chicago Cubs, forse sperando di mettere subito le mani sul cuore sportivo del pontefice, hanno rivendicato sui social: “Prevost è dei nostri!“. E avevano una teoria per supportarlo: la madre del papa era una tifosa dei Cubs, cresciuta nel North Side della città.

            Ma la gioia della squadra del Wrigley Field ha avuto vita breve. A smentirli ci ha pensato John Prevost, fratello di Leone XIV, che ha rilasciato una dichiarazione chiara ai media. “Chiunque abbia parlato dei Cubs alla radio si è sbagliato. Mio fratello tifa i Sox.” Il South Side ha esultato. La risposta è diventata ufficiale e i White Sox, con la velocità di un fuoricampo, hanno subito celebrato l’accoglienza di un tifoso d’élite. “Hey Chicago, è un fan dei Sox!“, hanno scritto sui social e allo stadio, annunciando di aver già inviato una maglia e un cappello direttamente in Vaticano.

            Una benedizione sportiva

            Certo, una cosa è sicura: alcune cose sono più grandi del baseball, ma per i Sox l’idea di avere un pontefice dalla loro parte è una benedizione sportiva. Soprattutto in una stagione iniziata non nel migliore dei modi. E se il baseball è la sua passione da tifoso, Leone XIV ha anche un lato più competitivo: è un tennista dilettante, e lo ha ammesso lui stesso. “Mi considero un tennista di tutto rispetto,” ha dichiarato, aggiungendo di non vedere l’ora di tornare in campo dopo il trasferimento dal Perù. Certo, il nuovo ruolo non gli lascia molto tempo libero, ma se c’è una partita da giocare, sembra che il papa non si tiri indietro. I Cubs accetteranno questa rivelazione o tenteranno di conquistare il tifoso più influente del mondo? In ogni caso, pare che il Vaticano abbia un nuovo colore nelle sue stanze: il bianco e il nero dei Chicago White Sox.

              Continua a leggere

              Mondo

              Il Golfo (del Messico) conteso: Sheinbaum fa causa a Google dopo il “battesimo americano”

              Trump lo rinomina “Golfo d’America”, Google si adegua, ma il Messico non ci sta. La presidente Sheinbaum avvia una causa legale e propone di ribattezzare gli Stati Uniti “America Messicana”.

              Avatar photo

              Pubblicato

              il

                Il Messico ha deciso di alzare la voce contro Google e la Casa Bianca, dopo che il Golfo del Messico è stato ribattezzato per gli utenti americani “Golfo d’America”. Una questione di toponomastica? Forse. Ma anche di politica, identità e qualche rivalità storica mai del tutto sopita. Tutto ha avuto inizio il 20 gennaio, quando, al suo ritorno alla presidenza, Donald Trump ha firmato un decreto che modifica il nome del Golfo del Messico. Google Maps, seguendo la direttiva, ha aggiornato la mappa. E ora gli utenti negli Stati Uniti vedono “Golfo d’America” nella zona tra Florida, Texas, Louisiana, Messico e Cuba.

                Claudia Sheinbaum non ci sta proprio…

                Ma Claudia Sheinbaum, presidente del Messico, non ha intenzione di lasciar correre. “La causa è già stata depositata“, ha dichiarato in una conferenza stampa, annunciando un’azione legale contro il colosso tecnologico. Secondo il suo governo, il decreto di Trump si applica solo alla piattaforma continentale americana. Non all’intero Golfo, e Google non avrebbe dovuto estendere il cambio di nome a livello globale.

                Messico e nuvole

                Come se non bastasse, Sheinbaum ha rilanciato con una provocazione. “Se il Golfo è d’America, allora possiamo chiamare gli Stati Uniti ‘America Messicana’“, facendo riferimento alla mappa precedente al 1848. Quando un terzo del territorio messicano fu ceduto agli USA con il Trattato di Guadalupe Hidalgo. La disputa arriva in un momento delicato nelle relazioni tra i due paesi, con il Messico che continua a essere un attore cruciale nelle guerre commerciali avviate da Trump. Il presidente americano punta a ridisegnare gli equilibri commerciali, mentre il Messico cerca di difendere le proprie esportazioni, che hanno come destinazione principale proprio gli Stati Uniti.4

                Dove porterà questa battaglia di nomi? Forse a un compromesso, forse a qualche aggiornamento geopolitico sui GPS di mezzo mondo. Ma una cosa è certa: quando si tratta di orgoglio nazionale, nemmeno le mappe digitali possono evitare di finire nel mirino della politica.

                  Continua a leggere
                  Advertisement

                  Ultime notizie

                  Lacitymag.it - Tutti i colori della cronaca | DIEMMECOM® Società Editoriale Srl P. IVA 01737800795 R.O.C. 4049 – Reg. Trib MI n.61 del 17.04.2024 | Direttore responsabile: Luca Arnaù