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Trump contro Rosie O’Donnell: “Le revocherò la cittadinanza”. Ma lei replica: “È un vecchio pericoloso e senza anima”

Rosie O’Donnell, in esilio volontario in Irlanda dopo la seconda elezione di Trump, è finita nel mirino del presidente che ora vuole toglierle la cittadinanza. La replica dell’attrice è durissima: “Ha la demenza, è un truffatore senza empatia”

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    Donald Trump non dimentica e, soprattutto, non perdona. Nel mirino del presidente Usa finisce ancora una volta Rosie O’Donnell, attrice e comica americana che da oltre vent’anni lo attacca pubblicamente. Questa volta, però, l’ex conduttrice di “The View” è diventata bersaglio di una minaccia senza precedenti: la revoca della cittadinanza.

    “Dal momento che Rosie O’Donnell non è nel migliore interesse del nostro Grande Paese – ha scritto Trump su Truth Social – sto seriamente prendendo in considerazione l’idea di toglierle la cittadinanza. È una minaccia per l’umanità e dovrebbe restare nella meravigliosa Irlanda, se la vogliono. Dio benedica l’America!”.

    L’affondo arriva a pochi mesi dall’insediamento per il secondo mandato alla Casa Bianca. La faida tra Trump e O’Donnell, una delle più note e longeve della cultura pop americana, risale al 2006. All’epoca Rosie lo aveva attaccato in diretta tv per la sua “mancanza di bussola morale”, dando inizio a un botta e risposta feroce e mai sopito.

    Dopo la seconda elezione di Trump, O’Donnell si è trasferita in Irlanda, dove vive oggi, lontana dai riflettori politici statunitensi ma sempre pronta a commentare. E infatti non ha perso tempo nel rispondere: “Trump è un truffatore, un criminale e un bugiardo che danneggia la nostra nazione per servire se stesso – ha scritto sui social –. È un vecchio pericoloso, senz’anima, con la demenza, privo di empatia e compassione. Per questo ho lasciato l’America. Sono in opposizione diretta a tutto ciò che rappresenta”.

    La minaccia di revocare la cittadinanza, però, sembra destinata a rimanere solo uno sfogo social. Come ricordano diversi giuristi americani, la cittadinanza per nascita è protetta dal XIV emendamento della Costituzione e non può essere revocata arbitrariamente, a meno di rinuncia volontaria o frode documentale comprovata.

    Eppure l’episodio alimenta le crescenti tensioni tra politica e libertà di espressione negli Stati Uniti. Trump, più che punire un’avversaria, sembra voler lanciare un messaggio: chi lo ostacola pubblicamente, anche dall’estero, rischia di finire nel tritacarne mediatico e istituzionale. Rosie, come sempre, incassa e rilancia.

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      Mondo

      La Danimarca alza il muro contro le IA: copyright personale su volto e voce per fermare i deepfake

      Una proposta di legge rivoluzionaria riconosce a ogni danese il diritto esclusivo sulla propria immagine, impedendone l’uso per addestrare IA o creare deepfake. Sanzioni per le piattaforme che non si adeguano. L’Europa osserva

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        La Danimarca è pronta a diventare il primo Paese europeo a riconoscere a ogni cittadino un diritto esclusivo sul proprio volto, sulla propria voce e sui propri tratti fisici. In tempi in cui le intelligenze artificiali generano video falsi e clonano identità con allarmante facilità, Copenhagen prova a riscrivere le regole del gioco. L’obiettivo? Fermare l’abuso dei dati biometrici prima ancora che vengano raccolti.

        La proposta arriva dal ministro della Cultura Jakob Engel-Schmidt, che ha già incassato l’appoggio della maggior parte dei partiti politici. Il messaggio è chiaro: la propria immagine non è un bene pubblico, né può essere sfruttata senza consenso. “Ogni individuo ha il pieno diritto alla propria identità – ha spiegato il ministro – e non possiamo più tollerare che venga usata, modificata o riprodotta senza autorizzazione”.

        Il disegno di legge, che sarà discusso in autunno, punta a riconoscere un vero e proprio “copyright personale” su lineamenti e voce, impedendo che vengano usati per addestrare IA o creare contenuti deepfake. E prevede il diritto per i cittadini di chiedere la rimozione dei materiali generati senza permesso. In caso di violazione, scatteranno multe salate. Nei casi più gravi, potrà intervenire direttamente la Commissione europea.

        Una novità che interessa non solo la gente comune, ma anche volti noti: attori, cantanti, comici e influencer sono oggi bersaglio privilegiato delle IA generative, capaci di imitare ogni inflessione vocale e ogni espressione con inquietante precisione. L’unica eccezione prevista? Satira e parodia, purché chiaramente identificabili come tali.

        Nel frattempo, il resto d’Europa arranca. L’AI Act approvato da Bruxelles classifica i deepfake come contenuti ad “alto rischio”, da etichettare obbligatoriamente. Ma la messa in pratica del regolamento resta complessa. Qualcuno prova a correre ai ripari: la Francia ha introdotto pene severe per i deepfake sessuali, il Regno Unito discute nuove sanzioni per chi diffonde immagini false.

        La Danimarca però va oltre: non vuole solo punire l’abuso, ma impedirlo alla radice. Vuole stabilire che i volti non appartengano agli algoritmi, ma alle persone. È un cambio di paradigma: l’identità torna a essere un diritto, non un dato. E forse, con un passo così, l’Europa può iniziare a governare la tecnologia, invece di inseguirla.

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          Mondo

          Papa Prevost e il nome mancato: “Aveva pensato di chiamarsi Agostino”

          Il cardinale Filoni svela che Leone XIV avrebbe voluto omaggiare il suo ordine religioso scegliendo il nome del grande Dottore della Chiesa. Poi la decisione: “Ha ritenuto più opportuno ispirarsi alla tradizione di Leone XIII e dei grandi pontefici del passato”

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            In un momento di solennità assoluta, quando la voce del cardinale protodiacono ha annunciato dalla loggia centrale di San Pietro il nome del nuovo Papa – Leone XIV – in pochi avrebbero potuto immaginare che quel nome, destinato a entrare nei libri di storia, non fosse stata la prima scelta del neoeletto Pontefice. Robert Francis Prevost, infatti, aveva preso seriamente in considerazione un’altra possibilità, più intima e forse più personale: chiamarsi Agostino.

            A rivelare questo retroscena è stato il cardinale Fernando Filoni, uno dei porporati presenti in Conclave, intervistato da Il Fatto Quotidiano. “Inizialmente Prevost aveva anche pensato alla possibilità di chiamarsi Agostino – ha raccontato – ma, alla fine, ha ritenuto che fosse meglio Leone”. Parole brevi, che però svelano molto più di quanto sembri.

            Perché quel nome accarezzato e poi lasciato da parte, Agostino, non era un vezzo personale né una semplice suggestione. Era il riflesso profondo della vocazione religiosa di Papa Prevost, membro dell’Ordine di Sant’Agostino, uno degli istituti più antichi e colti della Chiesa cattolica, custode del pensiero del Dottore della Grazia. Un pensiero che ha segnato secoli di teologia, filosofia, spiritualità, cultura europea.

            Agostino, per un agostiniano, non è solo un riferimento spirituale: è un punto di origine, una visione del mondo, un modo di vivere il sacro. Avrebbe potuto essere – se scelto – un programma pontificale fortemente identitario, incentrato sulla centralità dell’interiorità, sull’inquietudine come motore della fede, sulla tensione costante tra libertà e grazia.

            Ma poi, nel momento cruciale, Robert Prevost ha scelto diversamente.

            Ha scelto Leone. E questo, se possibile, racconta ancora di più.

            Secondo molti osservatori, Leone XIV ha voluto rendere omaggio a Leone XIII, il pontefice che a cavallo tra XIX e XX secolo diede avvio a una nuova stagione della Chiesa nel mondo moderno, con l’enciclica Rerum Novarum e un impegno costante su lavoro, diritti, giustizia sociale. Il cosiddetto “Papa dei lavoratori”, ponte tra dottrina e contemporaneità, tra autorità e compassione.

            Ma la scelta del nome Leone potrebbe contenere anche richiami più antichi, come quello a Leone I Magno, il Papa che fermò Attila, non con la forza delle armi ma con l’autorità morale e spirituale della parola. Un richiamo alla leadership forte ma non autoritaria, alla capacità di reggere la Chiesa nei tempi di burrasca.

            La doppia suggestione – Agostino e Leone – mostra le due anime del nuovo Pontefice: una spirituale e contemplativa, radicata nella tradizione monastica agostiniana, e una pastorale e riformista, consapevole del bisogno di guidare la Chiesa in un’epoca complessa e polarizzata.

            Il cardinale Filoni, parlando di quella scelta, ha sottolineato anche il clima positivo che ha accolto l’elezione di Prevost nel Conclave: “Personalmente sono molto soddisfatto, ma credo di poter dire che tutti quelli che ho incontrato tra i confratelli cardinali hanno manifestato grande gioia. Una gioia che si è rafforzata per la simpatia umana e la cordialità che Papa Leone ha espresso fin da subito”.

            E infatti la scelta di Leone XIV sembra voler unire in un unico nome ciò che i cardinali hanno cercato nel nuovo Papa: solidità e apertura, carisma e dottrina, fermezza e ascolto.

            Il nome “Agostino”, sebbene non sia stato scelto, resta come un’ombra luminosa, un riferimento interiore che probabilmente continuerà a guidare il pensiero del Pontefice. È la radice invisibile da cui sgorga un pontificato che molti già immaginano improntato alla riflessione, alla giustizia sociale, alla spiritualità più profonda.

            Se Leone sarà il volto pubblico del Papa, Agostino ne sarà forse l’anima.

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              Mondo

              Donald Trump trasforma la Casa Bianca in una Mar-a-Lago bis: oro, quadri e persino la Coppa del Mondo sul tavolo

              Nello Studio Ovale ora spuntano 20 quadri stretti come sardine, cimeli d’oro e persino una riproduzione del trofeo FIFA. E tra i progetti di Trump c’è pure l’idea di asfaltare il Giardino delle Rose per farne un patio “imperiale”.

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                Donald Trump e la sobrietà continuano a viaggiare su binari separati. Da sempre amante dell’opulenza senza freni, l’ex presidente e attuale inquilino della Casa Bianca sembra determinato a trasformare lo Studio Ovale in una succursale della sua celebre (e kitschissima) residenza di Mar-a-Lago. L’ultima “trovata”? Oro a profusione, quadri a valanga e una Coppa del Mondo ben in vista dietro la scrivania.

                Il regno del kitsch

                Il nuovo restyling della Casa Bianca non lascia spazio all’immaginazione: pareti completamente ricoperte da venti ritratti di personaggi storici – da Reagan a Lincoln, passando per Andrew Jackson e Benjamin Franklin – che rischiano di litigare per un centimetro di muro libero. Una scelta che stona con la sobrietà dei predecessori: Biden si era fermato a sei quadri, Obama addirittura a due, lasciando spazio anche all’arte contemporanea.

                Grandeur assoluta

                Trump, invece, va dritto verso la grandeur assoluta: sulla celebre Resolute Desk, accanto ai consueti telefoni rossi e neri, spunta un fermacarte dorato con il suo cognome a caratteri cubitali, nemmeno fosse la firma di un imperatore romano. Non contento, ha fatto sistemare su un tavolo alle sue spalle la riproduzione della Coppa del Mondo FIFA, una scelta non casuale visto che il Mondiale del 2026 si terrà negli Stati Uniti.

                Stile Casamonica

                E non finisce qui. Persino il telecomando del presidente sarebbe stato “rivestito” in oro, in perfetto stile Mar-a-Lago, mentre la First Lady Melania assiste (pare non troppo convinta) alle trasformazioni del marito che, già nel 2016, aveva speso quasi 2 milioni di dollari per personalizzare l’ala Ovest della Casa Bianca.

                Ma l’ultima idea del tycoon lascia davvero a bocca aperta: l’asfaltatura del Giardino delle Rose per realizzare un patio da usare come spazio di rappresentanza. Sì, avete letto bene: uno dei luoghi simbolo della presidenza americana potrebbe essere trasformato in un’area pavimentata degna della corte di Versailles o di una villa di Las Vegas.

                Mentre il mondo osserva con stupore (e qualche risata) questo barocco revival in salsa trumpiana, lo Studio Ovale somiglia sempre più a una sala da tè rococò. Resta solo da capire quale sarà la prossima mossa di Donald “Re Sole” Trump. Un lampadario in cristallo Swarovsky da qualche tonnellata o un tappeto persiano versione XXL?

                Per ora, l’unica certezza è che la sobrietà in Casa Bianca sembra aver fatto le valigie.

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