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Cronaca

Omicidio Cecchettin: chiesto l’ergastolo per Filippo Turetta, accusato di un delitto spietato

Dall’ossessione allo stalking, fino a un piano studiato nei dettagli: una cronaca del delitto che lascia senza parole. Il processo si chiuderà il prossimo mese.

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    La requisitoria del pubblico ministero di Venezia Andrea Petroni si è conclusa con una richiesta di ergastolo per Filippo Turetta, accusato del brutale omicidio di Giulia Cecchettin. Il caso, che ha sconvolto l’opinione pubblica, vede il 22enne imputato per omicidio volontario pluriaggravato, sequestro di persona e occultamento di cadavere.

    Un piano spietato
    Nel corso delle due ore e mezza di requisitoria, il pm ha ricostruito nei dettagli il piano meticoloso e crudele che ha portato alla morte di Giulia. Tra il 7 e l’11 novembre 2023, Turetta aveva stilato una lista di oggetti necessari per immobilizzare l’ex fidanzata, studiato mappe per nascondere il corpo e pianificato la sua fuga.

    “Non ci sono attenuanti,” ha dichiarato Petroni, contestando ogni possibile difesa basata su presunte intenzioni suicidarie o motivazioni emotive. “Turetta ha avuto tutte le possibilità di fermarsi. Ha mentito più volte, pianificando ogni dettaglio, fino alla disposizione del corpo in un luogo quasi irraggiungibile.”

    La violenza estrema del delitto
    Secondo l’accusa, Turetta ha agito con premeditazione e crudeltà inaudita. L’11 novembre, dopo aver costretto Giulia a salire in macchina nel parcheggio di Vigonovo, l’ha bloccata con del nastro adesivo e, quando la ragazza ha tentato di fuggire, l’ha uccisa con 75 coltellate. Il corpo è stato poi nascosto in un anfratto roccioso vicino al lago di Barcis, avvolto in sacchi neri.

    Il pm ha anche evidenziato come Turetta avesse studiato nei minimi dettagli la propria fuga, usando solo contanti e spegnendo il telefono per evitare di essere rintracciato, fino al suo arresto in Germania una settimana dopo l’omicidio.

    Le radici del femminicidio
    Petroni ha sottolineato che il delitto affonda le sue radici in una cultura patriarcale che normalizza la violenza contro le donne. La relazione tra i due, durata circa un anno e mezzo, era già segnata da atteggiamenti persecutori da parte di Turetta, culminati nello stalking e in un controllo ossessivo esercitato tramite un’app di tracciamento sul cellulare di Giulia.

    “Non esiste il minimo dubbio sulla premeditazione,” ha aggiunto il pm, spiegando come l’imputato non abbia mai considerato la possibilità di lasciar vivere Giulia.

    Un processo atteso alla conclusione
    La sentenza è prevista per la prima settimana di dicembre. Turetta, presente in aula con una felpa rossa e lo sguardo basso, ha ascoltato in silenzio l’intera requisitoria, mentre la sala, gremita di pubblico e giornalisti, seguiva con attenzione le parole del pm.

    Con l’accusa che richiede il massimo della pena, il processo potrebbe diventare un simbolo della lotta contro la violenza sulle donne, in un’Italia ancora profondamente scossa da questo femminicidio.

      Cronaca

      Germania, ex Ss a processo per complicità in 3.300 omicidi: giustizia 80 anni dopo

      Il tribunale di Francoforte ha respinto l’inidoneità a processo dell’imputato, rendendo possibile un procedimento storico per le atrocità commesse nel campo di concentramento.

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        L’ombra delle atrocità naziste torna a farsi sentire in Germania, dove Gregor Formanek, ex guardiano delle Ss, è stato rinviato a giudizio per complicità in 3.300 omicidi. A 100 anni, l’uomo dovrà affrontare il processo per i crimini commessi nel campo di concentramento di Sachsenhausen, situato nel Brandeburgo, vicino a Berlino.

        Secondo la procura di Giessen, Formanek si sarebbe reso corresponsabile della “crudele e infida uccisione di migliaia di prigionieri”. Il tribunale di Francoforte ha stabilito che l’età avanzata non può rappresentare un ostacolo alla giustizia, respingendo la diagnosi della corte di Hanau che lo aveva ritenuto incapace di sostenere il processo.

        Una lunga fuga dalla giustizia

        Gregor Formanek, nato in Romania nel 1923, figlio di un sarto di origine tedesca, intraprese la carriera di pasticcere prima di arruolarsi nelle Ss il 4 luglio 1943. Assegnato come guardiano al lager di Sachsenhausen, fu testimone e complice delle atrocità perpetrate nel campo, dove migliaia di prigionieri furono sottoposti a torture, uccisioni sistematiche e esperimenti medici.

        Dopo la fine della guerra, nel 1947, un tribunale militare sovietico lo condannò a 25 anni di carcere per i crimini commessi. Tuttavia, Formanek trascorse solo dieci anni nella prigione di Bautzen, tornando successivamente a condurre una vita normale. Per decenni è riuscito a evitare le responsabilità per le sue azioni, fino alla decisione della corte tedesca di Francoforte che lo ha portato di nuovo sotto processo.

        La testimonianza dei sopravvissuti

        Un momento cruciale del processo sarà rappresentato dalla testimonianza di Shimon Rothschild, 96 anni, uno dei pochi sopravvissuti di Sachsenhausen ancora in vita. Da bambino, Rothschild fu vittima di torture ed esperimenti medici condotti nel campo, insieme ad altri dieci minorenni. La sua voce darà un volto umano alla tragedia, ricordando le sofferenze inflitte da Formanek e dagli altri aguzzini.

        In un documento della Stasi, emersi durante le indagini, si riportano dettagli agghiaccianti sulla crudeltà di Formanek. Il guardiano delle Ss avrebbe “ammazzato di botte” prigionieri con una frequenza tale da diventare un simbolo della brutalità del regime.

        Un processo dal valore storico

        Il caso rappresenta non solo un atto di giustizia, ma anche un’occasione per ribadire l’impegno della Germania nel confrontare il proprio passato. Processi come questo sono sempre più rari, dato il ridotto numero di sopravvissuti e imputati ancora in vita.

        Secondo il tribunale di Francoforte, la necessità di perseguire i crimini contro l’umanità non perde di validità con il passare del tempo. Anche a 100 anni, Gregor Formanek dovrà rispondere delle sue azioni, ricordando che la giustizia, per quanto tardiva, non dimentica.

        Mentre il mondo osserva, il processo sarà un’ulteriore testimonianza dell’orrore dell’Olocausto e un monito per le generazioni future.

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          Mondo

          Musk e il super stipendio da 56 miliardi: il giudice lo blocca e lui non la prende bene

          La corte del Delaware conferma l’eccesso del premio votato dagli azionisti di Tesla: “Un procedimento viziato e ingiusto”. Musk reagisce su X, ma il suo patrimonio resta astronomico

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            Una decisione clamorosa scuote Tesla e il suo carismatico Ceo Elon Musk. La giudice Kathaleen McCormick, 45 anni, esperta in diritto societario e laureata ad Harvard, ha bloccato definitivamente il super bonus da 56 miliardi di dollari che Musk avrebbe dovuto ricevere per il suo ruolo nella compagnia. Un pacchetto che, secondo la sentenza della Court of Chancery del Delaware, rappresenta una “retribuzione eccessiva e ingiusta” per gli azionisti.

            Una vicenda iniziata nel 2018

            Il premio da record era stato introdotto nel 2018, quando il consiglio di amministrazione di Tesla, fortemente influenzato da Musk, aveva approvato un pacchetto bonus basato sul raggiungimento di determinati obiettivi aziendali. Tuttavia, alcuni azionisti avevano portato il caso in tribunale, denunciando la scarsa imparzialità del board e il peso eccessivo del magnate sudafricano nelle decisioni.

            Nel gennaio scorso, McCormick aveva definito il bonus “frutto di un procedimento viziato”, bloccandolo e ordinando una nuova votazione. Spaventati dalla possibilità che Musk lasciasse Tesla, gli azionisti avevano approvato a stragrande maggioranza il pacchetto, questa volta con il pagamento in azioni. A giugno, Musk aveva celebrato la vittoria, ma il suo entusiasmo si è infranto contro la sentenza definitiva della stessa giudice, che ha confermato il blocco del compenso.

            La reazione di Musk: “Decidono gli azionisti, non i giudici”

            Elon Musk non ha nascosto la sua delusione, esprimendola su X, la piattaforma da lui acquistata e ribrandizzata. “Sono gli azionisti a decidere, non i giudici”, ha scritto, rilanciando un post di Tesla che ribadiva come il premio fosse stato approvato due volte dai titolari di azioni. L’azienda ha annunciato che farà appello contro la decisione, definita “sbagliata”.

            Il post è stato visualizzato da milioni di utenti, scatenando la reazione dei fan del magnate, che hanno attaccato la magistratura e la giudice McCormick con commenti al vetriolo. “I giudici prevenuti sono la piaga della società”, ha scritto un utente, mentre altri l’hanno definita “corrotta” e “usurpatrice”.

            Musk, patrimonio stellare ma non immune a critiche

            Nonostante lo stop al bonus, Elon Musk rimane saldamente l’uomo più ricco del mondo. Il suo patrimonio, secondo Forbes, si attesta a 336,8 miliardi di dollari, grazie al valore azionario di Tesla e alle sue altre imprese, tra cui SpaceX. Se avesse incassato il premio da 56 miliardi, Musk si sarebbe avvicinato alla soglia record dei 400 miliardi.

            Tesla, intanto, ha registrato una perdita dell’1,2% nel mercato post-chiusura, chiudendo la giornata a 357 dollari per azione. Tuttavia, la compagnia resta tra le più influenti nel settore dei veicoli elettrici, con Musk al centro della strategia e dell’immagine aziendale.

            Un caso destinato a lasciare il segno

            Il blocco del super bonus di Musk rappresenta un precedente importante nel mondo del diritto societario e della governance aziendale. La sentenza mette in discussione l’equilibrio tra i diritti degli azionisti e il potere dei dirigenti, sollevando interrogativi sulla trasparenza e sull’equità nei processi decisionali delle grandi compagnie.

            Per Elon Musk, invece, è un capitolo amaro di una carriera segnata da trionfi e controversie. E mentre Tesla si prepara a un nuovo round giudiziario, il dibattito sulla giustizia e sull’etica nella gestione delle imprese continua a far discutere.

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              Storie vere

              “Non voglio andare in paradiso oggi”: la drammatica supplica di una bambina al padre armato

              Il rapimento, le minacce e lo scontro armato: un caso sconvolgente che ha lasciato una bambina salva ma profondamente segnata. La famiglia chiede aiuto per affrontare il trauma.

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                Una storia da brividi che avrebbe potuto concludersi in tragedia, ma che, pur con un epilogo drammatico, ha permesso di salvare la vita di una bambina innocente. Oaklynn Alexander, 7 anni, è sopravvissuta al rapimento e alle minacce di morte del padre non affidatario, Charles Ryan Alexander, 43 anni, grazie all’intervento tempestivo della polizia.

                L’incubo è iniziato l’11 novembre nella contea di Jefferson, in Ohio orientale, quando Charles ha rapito Oaklynn dalla casa della nonna, dove viveva con la madre. L’uomo, armato e in fuga, ha contattato i servizi di emergenza, esprimendo il suo desiderio di parlare con la madre della bambina. «Voglio parlare con sua madre. Se stai ascoltando, Ashley, avresti dovuto chiamarmi», ha dichiarato durante una conversazione registrata.

                Il contenuto dell’audio, diffuso dalla polizia, rivela anche la drammatica supplica di Oaklynn: «Non voglio andare in paradiso oggi», ha implorato la bambina, terrorizzata dalla minaccia del padre. L’uomo ha risposto con una giustificazione che ha gelato gli agenti: «Nemmeno io volevo che succedesse. Volevo solo parlare con tua madre».

                Le forze dell’ordine, intervenute rapidamente, hanno messo in atto una manovra per sgonfiare le ruote della vettura in fuga. Il confronto si è concluso con uno scontro a fuoco durante il quale Charles Ryan Alexander è rimasto ucciso. Oaklynn, miracolosamente illesa, è stata riconsegnata sana e salva alla sua famiglia, ma ha assistito all’uccisione del padre, un evento che segnerà profondamente la sua vita.

                Un portavoce della polizia ha descritto l’intervento come «necessario per salvare una vita». L’audio dell’operatore del 911 evidenzia il tentativo di evitare il peggio: «So che non volevi fare del male a tua figlia e non volevi che andasse così. Non facciamo nulla che non possiamo annullare». Tuttavia, le circostanze hanno portato a un epilogo drammatico.

                Oaklynn è ora affidata alla madre e alla famiglia, che dovranno affrontare un lungo percorso di supporto psicologico per superare questo momento traumatico. Nel frattempo, un amico di famiglia ha lanciato una raccolta fondi su GoFundMe per garantire il sostegno necessario alla bambina e consentire alla madre di prendersi una pausa dal lavoro per occuparsi di lei.

                Questa vicenda sconvolgente è un promemoria del potenziale devastante dei conflitti familiari irrisolti, in cui il dolore e la disperazione possono trasformarsi in tragedie. La piccola Oaklynn è salva, ma l’impatto emotivo di questa esperienza richiederà un lungo processo di guarigione.

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