Lifestyle
La Barbie che non ti aspetti!
Miss Barbara Millicent Roberts è tra le 100 donne più influenti al mondo che aiutano a sognare in grande. Classificata come la figura numero 100 in una lista simbolica di persone che hanno definito un anno, un riconoscimento per l’impatto culturale e per la sua influenza negli anni.

Barbie è più di una semplice bambola
Icona culturale che ha plasmato l’immaginazione di generazioni di bambini in tutto il mondo, da decenni, Barbie ha definito gli standard di bellezza, moda e aspirazione, diventando uno dei giocattoli più venduti al mondo e guadagnandosi un posto di rilievo nel cuore di milioni di persone.
Posto simbolico
Il suo status di giocattolo iconico l’ha resa una candidata appropriata per un riconoscimento simbolico pubblicato su Forbes Italia. Nel corso degli anni, Barbie ha assunto numerosi ruoli e identità, interpretando carriere, stili di vita e ruoli sociali che riflettono l’evoluzione della società.
Alter ego
Da dottoressa a ballerina, da astronauta a principessa, Barbie ha incarnato una vasta gamma di professioni e passioni, offrendo ai bambini l’opportunità di esplorare una varietà di aspirazioni e identificarsi con la bambola in modi diversi, a seconda dei loro interessi personali.
Lo posso fare anche io!
La versatilità di Barbie incoraggia i bambini a sognare in grande e a immaginarsi in ruoli diversi, senza limiti alle loro ambizioni. Attraverso il gioco immaginativo con Barbie, i bambini sviluppano fiducia in se stessi, coltivano l’ambizione e aprono la porta a un futuro ricco di possibilità.
Mattel, l’azienda che produce Barbie, continua a innovare e aggiornare la linea di bambole per mantenerla rilevante e attraente per le nuove generazioni. In sintesi, Barbie non è solo una bambola, ma un simbolo di possibilità e ispirazione per i bambini di tutto il mondo.
INSTAGRAM.COM/LACITYMAG
TikTok Star
Tirmagno conquista il web con le sue ricette dalla cucina dei genitori
Ha iniziato dal davanzale della cucina di casa e ora si trova con milioni di follower su Instagram e TikTok, questo ragazzo di 26 anni sta scalando il vertice dei social, ma non chamatelo food blogger.

A 26 anni, Martino Tornaghi, conosciuto sui social come Tirmagno, è diventato una delle star più seguite nel mondo della cucina online. Con oltre un milione di follower su Instagram e TikTok, il giovane brianzolo ha trasformato la sua passione per la gastronomia in un lavoro a tempo pieno. Tutto rimanendo legato alle sue radici, già perchè il ragazzo vive ancora nella casa dei suoi genitori a Verderio (Lecco), che ha trasformato nel set perfetto per i suoi video.
Dal liceo classico ai social
Tirmagno non ha un background da chef professionista, ma ha sempre avuto una grande passione per la cucina. Cresciuto in una famiglia dove i libri di ricette erano una costante grazie a sua madre, Cristina, bibliotecaria, ha coltivato un interesse per la gastronomia fin da piccolo. “Sono sempre stato l’amico che cucinava per tutti”, racconta. Dopo il liceo classico Zucchi di Monza, si iscrive a Economia alla Statale di Milano e inizia a lavorare come agente assicurativo, seguendo le orme del padre. Tuttavia, durante il lockdown del 2020, decide di aprire un profilo social per condividere le sue videoricette, scoprendo che la sua passione per il cibo poteva trasformarsi in una carriera digitale.
La chiave del successo? Precisione, ‘appetising’, pulizia e costanza
Il segreto di Tirmagno non sta solo nelle ricette originali, ma nel metodo con cui realizza i suoi contenuti. Prova ogni ricetta almeno due o tre volte prima di pubblicarla. Usa sempre la stessa inquadratura, laterale, sul davanzale della cucina di casa sua, creando un format riconoscibile. Le padelle vengono lavate e rilavate prima di girare il videonon lascia nssuna briciole, e soprattutto è ordinatissimo. Inoltre nei primi due anni di attività, ha pubblicato un contenuto al giorno per sei giorni alla settimana. Un ritmo che gli ha permesso di fidelizzare il pubblico e crescere rapidamente. Non ama essere definito influencer. “Io non mostro quello che faccio ogni giorno. Sono un content creator di cucina, che è un lavoro serio”, spiega. Il suo obiettivo è educare e ispirare, puntando sulla stagionalità degli ingredienti e su un’alimentazione più consapevole.
Tirmagno la vita a casa e la cena per i genitori
Nonostante il grande successo, Martino vive ancora con i suoi genitori. Ma in cambio, cucina per loro ogni giorno, riempiendoli di focacce e ceci al curry, due piatti che riscuotono sempre grande successo in famiglia. Social a parte ora ha pubblicato per Mondadori il suo libro “La mia cucina stagionale”, dimostrando come la passione, unita alla dedizione, può trasformarsi in un lavoro. Dalla casa di mamma e papà.
Cucina
La frittata di ortiche: il piatto rustico e antico che sa di primavera
Dalla raccolta nei campi alla tavola, la frittata di ortiche è un piatto povero della tradizione contadina che conquista per il suo sapore fresco, deciso e avvolgente. Bastano pochi ingredienti per portare in cucina un tocco di natura.

Non serve cercare ingredienti esotici per stupire a tavola: a volte basta tendere la mano verso ciò che la terra offre spontaneamente. È il caso della frittata di ortiche, un piatto antico, nato nei campi e nelle cucine più umili, che oggi torna a essere protagonista grazie alla sua bontà naturale e ai profumi intensi della primavera.
Le ortiche, spesso considerate solo erbacce da evitare, sono in realtà una miniera di proprietà benefiche: ricche di ferro, vitamine e sali minerali, da sempre fanno parte della cucina popolare, quando il sapere contadino sapeva trasformare ogni dono della natura in un alimento prezioso.
Preparare una frittata di ortiche è un gesto semplice, quasi poetico, che riconnette ai ritmi lenti della campagna. Ma attenzione: occorre raccogliere le ortiche giovani, con i guanti ben calzati, scegliendo solo le cimette più tenere, quelle che tra aprile e maggio raggiungono la loro perfezione.
Ingredienti per 4 persone:
- 6 uova fresche
- 200 g di ortiche fresche (già pulite)
- 1 cipollotto fresco (facoltativo)
- 2 cucchiai di parmigiano grattugiato
- Olio extravergine d’oliva q.b.
- Sale e pepe nero q.b.
Procedimento:
Per prima cosa, lavate accuratamente le ortiche sotto acqua corrente, indossando i guanti per evitare spiacevoli incontri con i loro peli urticanti. Sbollentatele poi in acqua salata per un paio di minuti: il calore annullerà il loro potere irritante. Scolatele e strizzatele bene, quindi tritatele grossolanamente a coltello.
In una ciotola capiente rompete le uova e sbattetele con una forchetta. Aggiungete il parmigiano, un pizzico di sale, una spolverata di pepe e unite infine le ortiche. Per dare un tocco ancora più aromatico, potete far rosolare velocemente in padella un cipollotto fresco tritato finemente, da aggiungere poi al composto.
Scaldate un filo d’olio extravergine d’oliva in una padella antiaderente. Versatevi il composto e lasciate cuocere a fiamma moderata, coprendo con un coperchio per mantenere la frittata morbida all’interno. Dopo circa 7-8 minuti, quando la base sarà ben dorata e compatta, aiutatevi con un piatto per girarla e cuocerla anche dall’altro lato per altri 3-4 minuti.
La frittata di ortiche è pronta: fragrante, profumata, con quel sapore leggermente erbaceo che richiama il verde dei prati e il vento di aprile.
Consiglio dello chef:
Se volete esaltarne ancora di più il carattere rustico, servitela tiepida con una fetta di pane casereccio tostato e un filo d’olio buono. Oppure, per un antipasto raffinato, tagliatela a piccoli quadretti e infilzatela con stecchini di legno: un’idea semplice e sorprendente per i vostri aperitivi primaverili.
In un mondo che corre, la frittata di ortiche invita a rallentare, ad assaporare la semplicità e a ricordare che, spesso, il lusso più grande è nascosto nella natura che ci circonda.
Viaggi
Misteri, segreti e personaggi di Santa Maria Maggiore: nella Basilica della Vergine riposa ora Papa Francesco
Tra storie di papi, santi, regine e rivoluzionari, la chiesa più amata da Francesco custodisce tesori d’arte, oro delle Americhe e tombe illustri

Da sabato 26 aprile, il corpo di Papa Francesco riposa nella Basilica di Santa Maria Maggiore, il santuario romano che più di ogni altro custodisce il suo legame profondo con la Vergine. Non è un luogo scelto a caso: fin dal primo giorno del suo pontificato, Jorge Mario Bergoglio aveva manifestato il desiderio di affidare ogni viaggio, ogni decisione importante, alla protezione della Salus Populi Romani, l’icona miracolosa venerata da secoli sotto le volte della Basilica.
Santa Maria Maggiore è un crocevia di fede, arte e mistero. Fondata, secondo la leggenda, nel luogo di una miracolosa nevicata estiva il 5 agosto del 358, la Basilica è ancora oggi teatro di una suggestiva celebrazione annuale, quando fiocchi artificiali e petali di rose cadono dal soffitto per rievocare quell’antico prodigio.
Al suo interno riposano personaggi che, in modi diversi, hanno segnato la storia. Ora, accanto alla venerabile icona di Maria, anche Papa Francesco ha trovato la sua ultima dimora, circondato da un intreccio di memorie illustri e di episodi poco noti.
Sopra la sua tomba si legge un’epigrafe che richiama l’antichissima tradizione legata alla Salus Populi Romani, l’immagine considerata acheropita, cioè non dipinta da mano umana. Secondo la devozione popolare, sarebbe stata realizzata dall’evangelista San Luca in persona: un racconto di fede che attraversa i secoli e che Francesco, con il suo stile diretto e semplice, ha sempre fatto proprio.
Scendendo nella cappella Borghese, si scopre chi riposa accanto a lui. Il primo è Paolo V Borghese, il papa che alla fine del Cinquecento promosse grandi lavori di restauro della Basilica. Vicino a lui, il potente e controverso cardinal nepote Scipione Borghese, raffinato collezionista ma anche figura spregiudicata, capace di appropriarsi senza scrupoli di opere d’arte straordinarie, come raccontano le cronache dell’epoca.
Paolina Bonaparte
Accanto alle tombe ecclesiastiche si trova anche quella di Paolina Bonaparte, sorella prediletta di Napoleone, celebre tanto per la sua bellezza quanto per la sua vita scandalosa. Posò nuda per Antonio Canova, suscitando scandalo nella Roma puritana del primo Ottocento, e oggi riposa qui, a due passi dall’icona mariana.
Il principe nero
Non manca chi portò nella Basilica un’aura più cupa: Junio Valerio Borghese, il “principe nero”, comandante della Decima Mas durante la Repubblica di Salò e protagonista di un fallito golpe neofascista nel 1970. Alla sua morte in esilio, i funerali divennero occasione di disordini e gesti eclatanti: la bara fu sottratta da un gruppo di estremisti e portata in trionfo con saluti romani e cori. Episodi che nulla tolgono, ma anzi aggiungono strati di storia e tensione a questo luogo sacro.
Legata alla monarchia spagnola
Santa Maria Maggiore è anche legata, in modo singolare, alla monarchia spagnola. È convinzione diffusa che il Re di Spagna possa, teoricamente, entrare a cavallo nella Basilica, un privilegio unico nel suo genere. Di fatto, nessuno l’ha mai esercitato, ma il legame con Madrid resta fortissimo: furono i sovrani cattolici Isabella di Castiglia e Ferdinando d’Aragona a donare i primi quintali d’oro, provenienti dalle Americhe appena scoperte, per la realizzazione dell’abbagliante soffitto a cassettoni. Oro che ancora oggi luccica, testimone muto di conquiste e speranze.
Arte tra le navate
Anche l’arte trova a Santa Maria Maggiore un suo spazio privilegiato. Qui hanno lavorato pittori del calibro di Guido Reni e Giovanni Baglione, scultori come Nicolas Cordier e Pietro Bracci. Ma il nome che più colpisce è quello di Gian Lorenzo Bernini. Il genio barocco, artefice di alcune delle meraviglie più celebrate di Roma, è sepolto nella Basilica, proprio ai piedi dell’altare maggiore. Una tomba semplice, quasi anonima, in contrasto con l’opulenza delle sue opere. La sua vita, segnata da passioni violente e da un talento senza pari, trova qui la sua pace definitiva. Curiosamente, anche la sua amante Costanza Bonarelli — al centro di uno scandalo clamoroso nell’estate del 1630 — riposa in Santa Maria Maggiore, anche se la sua tomba è andata perduta nei secoli.
Tra le storie meno conosciute che abitano queste navate c’è quella di António Manuel ne Vunda, soprannominato “il Negrita”, il primo ambasciatore africano arrivato a Roma nel XVII secolo. Partito dal Regno del Congo, impiegò quattro anni a raggiungere la Città Eterna. Morì poco dopo il suo arrivo, la notte dell’Epifania, e fu sepolto proprio qui, nella Basilica. Il suo busto funerario, scolpito da Francesco Caporale nel 1608, è stato recentemente prestato alle Scuderie del Quirinale, per la mostra Barocco globale, su esplicita autorizzazione di Papa Francesco.
Santa Maria Maggiore custodisce, infine, le spoglie di otto Pontefici, con l’aggiunta recente di Papa Francesco. Tra questi, Clemente VIII Aldobrandini, il papa che autorizzò l’esecuzione di Beatrice Cenci e Giordano Bruno, segnando alcune delle pagine più oscure della storia romana. E Pio V Ghislieri, Grande Inquisitore e unico papa canonizzato tra il XIV e il XX secolo, protagonista di dure politiche contro gli ebrei e i non cattolici.
Ora, tra queste tombe, tra questi secoli sovrapposti di gloria e dolore, riposa anche Francesco. Vicino alla Vergine che ha tanto amato, in mezzo alla storia e alla polvere del tempo, come a voler continuare a parlare al cuore del popolo, anche nel silenzio eterno.
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