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Cocktail & Wine

Martini: l’arma segreta degli americani, inventata da un ligure e venerata da Hemingway e 007

Nato (forse) ad Arma di Taggia nel 1920, il Martini ha conquistato presidenti, spie, registi e rockstar. Un drink elegante, spietato, freddo come una lama. E così potente che Krusciov lo definì “l’arma più letale degli Stati Uniti”.

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    Ci sono cocktail, poi c’è il Martini. Il più elegante, il più letterario, il più cinematografico. Il più pericoloso. «L’arma più letale degli Stati Uniti», disse Nikita Krusciov. E forse non aveva tutti i torti.

    La leggenda comincia (forse) in Liguria, ad Arma di Taggia, da un certo Clemente Queirolo che, emigrato a New York nel 1913, al Knickerbocker Hotel diventa Martini per comodità e per marketing. È lì che prepara un mix micidiale: gin, vermouth secco, un’oliva e un gelo assassino. Lo beve Rockefeller, lo beve Caruso. Boom: è nato il mito.

    Poi arriva il Proibizionismo, che sembra la fine. Ma niente da fare: il Martini è immortale. Torna con Roosevelt che, dicono, ne offre uno a Stalin (pare lo facesse malissimo, ma l’intenzione conta). A Hollywood diventa il protagonista silenzioso di una generazione di divi: da Myrna Loy a Gary Cooper, da Katharine Hepburn a Bogart.

    Hemingway lo adora: «Mi fece sentire civilizzato». Dorothy Parker lo teme: «Due vanno bene, con tre sono sotto al tavolo, con quattro sotto al mio ospite». E James Bond? Eretico: lo vuole con vodka e shakerato. Buñuel lo definisce “immacolato” e lo prepara come un rituale religioso. Sbagliare un Martini, per lui, era come bestemmiare.

    Negli anni ‘80 era il drink da Wall Street, nei ‘50 l’icona del GOP. Odiato da Carter, adorato da Reagan. Il Martini è diventato una scelta di campo, uno statement, un manifesto liquido.

    E Arma di Taggia? Finalmente ha deciso di prendersi il merito: una targa in riva al mare ricorda il signor Martini, e i bar locali servono ancora il drink perfetto. Se vi chiedete quale sia il cocktail più cool della storia, la risposta è nel bicchiere. E no, non è un Mojito.

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      Sangria: la bevanda dell’estate che unisce storia, sapore e creatività

      Vino rosso, frutta fresca, un goccio di liquore e tanta voglia di fare festa: la sangria è il cocktail della leggerezza, del chiacchiericcio da terrazza e dei bicchieri che non restano mai vuoti. Un grande classico che non stanca, anzi: ogni anno ritorna, più fresca e creativa che mai.

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        Altro che mojito o spritz: la vera star delle sere d’estate ha un nome che sa di sole, chitarre e tapas. Sangria, l’intramontabile miscela spagnola che resiste ai trend, alle mode passeggere e persino al buon senso, perché diciamolo: dopo il terzo bicchiere, nessuno sa più dove sia finito il ghiaccio.

        Nata come bevanda contadina – vino avanzato e frutta troppo matura per essere venduta – la sangria ha fatto strada. È uscita dalle osterie di Siviglia, ha preso l’aereo con i turisti e oggi la trovi ovunque: dalle feste in spiaggia ai brunch più chic, dalle sagre paesane ai rooftop di design.

        La ricetta? Semplice, ma non banale. Serve un vino rosso corposo, ma non troppo tannico (evitiamo l’Amarone, grazie). Poi arance, limoni, pesche, mele, magari anche un po’ di frutti di bosco per chi vuole strafare. Una spruzzata di brandy, un cucchiaio di zucchero, qualche spezia (cannella, sì; noce moscata, calma). E infine la magia: il riposo. Almeno un paio d’ore in frigo, perché tutti gli ingredienti imparino a conoscersi come si deve.

        Il bello della sangria, però, è la sua vocazione anarchica. Nessuna dogmatica da bartender stellato: ognuno fa un po’ come gli pare. C’è chi usa il vino bianco (sacrilegio per alcuni, delizia per altri), chi ci mette la gassosa, chi lancia dentro una stecca di vaniglia e chi osa persino con il prosecco. È il trionfo dell’interpretazione personale: l’importante è che sia fredda, colorata e abbondante.

        E poi c’è la sangria delle grandi tavolate, quella che si prepara in una bacinella da insalata, con il mestolo da minestra e le fette di pesca che affiorano come isole galleggianti. La sangria delle risate che crescono di volume, degli amici che restano fino a tardi, dei “solo mezzo bicchiere” che diventano il terzo pieno.

        In un mondo in cui tutto cambia, lei resta lì: generosa, conviviale, estiva fino al midollo. La sangria è la nonna simpatica dei cocktail: magari ha qualche ruga, ma quando arriva, è sempre festa. E guai a sottovalutarla: è dolce, ma sa colpire. Come certi amori estivi che iniziano con un brindisi e finiscono, puntualmente, con un “chi ha finito la bottiglia?”.

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          Cinque cocktail che sanno d’estate (e che puoi preparare anche senza essere un bartender di Ibiza)

          Freschi, colorati, spesso più belli da vedere che da bere, i cocktail dell’estate sono molto più di una moda. Raccontano desideri, viaggi immaginari e la voglia di rallentare. Dai classici immortali ai mix più pop, ecco cinque ricette che trasformano ogni sorso in un tramonto sul mare.

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            Ci sono estati che profumano di salsedine, altre di erba appena tagliata, altre ancora di menta pestata. E poi ci sono quelle che si ricordano per un solo sorso: ghiacciato, fruttato, leggermente alcolico e tremendamente rilassante. Sì, stiamo parlando di cocktail estivi, piccoli elisir di felicità serviti con una fettina d’arancia, una cannuccia storta e, a volte, pure un ombrellino kitsch che fa subito vacanza.

            Ecco allora cinque cocktail da tenere a portata di mano, o meglio di shaker. Facili, veloci e con quel gusto di libertà che solo luglio riesce a dare.

            1. Spritz: il re delle terrazze italiane
            Lui non ha bisogno di presentazioni. Aperol, prosecco, una spruzzata di soda e via. Da Nord a Sud, è il brindisi che mette d’accordo tutti. Perfetto alle 18, accettabile fino alle 20. Dopo… sei fuori tempo massimo, ma chi se ne importa?

            2. Mojito: Cuba in un bicchiere
            Rum bianco, zucchero di canna, lime, menta fresca e soda. Il mojito è il cocktail dell’estate per eccellenza: rinfrescante, un po’ tropicale, un po’ rivoluzionario. Bevetelo mentre cercate parcheggio a Riccione e vi sentirete a L’Avana.

            3. Gin tonic: minimal ma con stile
            Due soli ingredienti, ma infinite varianti. La base è sempre la stessa: gin e acqua tonica. Ma puoi giocarci: cetriolo, pepe rosa, rosmarino, scorze d’agrumi. È il drink perfetto per chi vuole sembrare sofisticato, anche se indossa le Crocs.

            4. Moscow Mule: lo zingaro della compagnia
            Servito nel classico boccale di rame, unisce vodka, ginger beer e lime. Spesso sottovalutato, il Moscow Mule è il cocktail che non ti aspetti: pungente, dissetante, perfetto per chi ama il brivido (e le bollicine).

            5. Hugo: la rivincita dei fiori
            Arrivato dal Tirolo qualche anno fa, è diventato il cocktail delle nonne alla moda. Prosecco, sciroppo di sambuco, soda e menta. Dolce, floreale, delicato. Lo ordini e ti senti immediatamente in un bistrot in Alto Adige a parlare di marmellate biologiche.

            Insomma, basta poco per accendere l’atmosfera. Un tagliere di salumi, la playlist giusta e il cocktail perfetto. Perché l’estate, in fondo, è una questione di ghiaccio che tintinna nel bicchiere, risate che salgono e una luce arancione che filtra tra le tende. E se poi il drink ti riesce un po’ annacquato… pazienza: sarà colpa del caldo.

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              Aperitivi solidi, affumicati e da mangiare col cucchiaino: le nuove mode da happy hour (che fanno anche un po’ ridere)

              C’è chi lo serve in forma di mousse, chi lo affumica sotto campane di vetro, chi lo trasforma in spume salate al gusto di Negroni. Il confine tra food design e baracconata è sempre più sottile. Ma tanto basta che sia Instagrammabile.

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              Aperitivi solidi, affumicati e da mangiare col cucchiaino: le nuove mode da happy hour (che fanno anche un po’ ridere)

                Altro che noccioline e patatine. L’aperitivo dell’estate 2025 ha cambiato forma, consistenza e perfino temperatura. Oggi si gusta con il cucchiaino, si addenta con forchettine d’argento o si scopre sollevando una campana di vetro piena di fumo aromatico. E no, non è una gag.

                Il nuovo mantra dei locali di tendenza è: trasformare il drink in un’esperienza multisensoriale. Tradotto: al posto del cocktail ti arriva un cubo gelatinizzato di Campari e vermouth, servito su un piattino minimal. Lo mordi e… boh. Forse è buono. Sicuramente è strano.

                A Milano c’è chi propone il “Gin Tonic destrutturato”: gin in spuma, tonic in cialda, limone in vapore. A Torino impazza il “Martini solido” servito su cucchiaini di acciaio criogenico. E a Roma, zona Pigneto, l’ultima ossessione è il “Negroni affumicato ai legni di arancia amara”, presentato sotto vetro come fosse una reliquia. L’idea è geniale. Il gusto un po’ meno.

                Ovunque, l’aperitivo è diventato un ibrido tra cucina molecolare e teatro sperimentale. Meno bevi, più guardi. Meno chiacchieri, più filmi. E soprattutto: più paghi. Un cocktail solido, oggi, può costarti anche 14 euro. Ma vuoi mettere la soddisfazione di dire “me lo sono mangiato”?

                Gli chef-bartender, nel frattempo, si atteggiano a stregoni del gusto, mescolando alcolici con agar-agar, aria di basilico e fumo di ginepro. I clienti si dividono tra chi finge entusiasmo e chi, segretamente, sogna un prosecchino con due olive.

                Eppure la moda dilaga. Perché l’aperitivo, ormai, è un contenuto. Deve stupire, scioccare, spiazzare. Anche se poi, quando esci dal locale, l’unico pensiero è: “Mi fermo al bar sotto casa per un bianco fermo”.

                Ma va bene così. L’estate è anche questo: esperimenti, sorrisi tirati, e cocktail che ti guardano mentre li guardi.

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