Lifestyle
Follie made in USA: Trump si sceglie l’aereo presidenziale come fosse su Airbnb
Dopo aver perso la pazienza con Boeing, Trump ha trovato la sua nuova “reggia volante” tra le sabbie del Qatar. Un Boeing 747-8 usato dalla famiglia reale, definito “flying palace”, potrebbe diventare il prossimo Air Force One. Costo? Più di un miliardo per metterlo in regola. E spunta pure la mozione per bloccarlo.

Se non puoi aspettare Boeing, chiama l’emiro. Dev’essere stato questo il ragionamento dei collaboratori di Donald Trump, che – spazientiti dai ritardi nella consegna dei nuovi Air Force One commissionati nel 2018 – hanno deciso di fare shopping… in Medio Oriente. Il risultato? Un Boeing 747-8 di proprietà della famiglia reale del Qatar, trasformato in un lussuoso jumbo jet da sogno, è stato selezionato come potenziale nuova navetta presidenziale.
Una favola su due ali
Il velivolo – soprannominato “flying palace” dagli stessi americani – era in lista assieme ad altri sette candidati. Ma alla fine ha vinto lui: interni da mille e una notte, pedigree reale, e la disponibilità immediata (a differenza dei due nuovi 747 americani che, tra una proroga e l’altra, rischiano di arrivare quando Trump avrà già mollato lo Studio Ovale… di nuovo).
Con The Donald è stato “amore a prima vista”
Lo stesso ex presidente è andato a vedere l’aereo di persona a Palm Beach, neanche fosse un concessionario. Secondo il New York Times, ne sarebbe rimasto “folgorato”. Pochi giorni dopo, il jet – immatricolato P4-HBJ – ha ripreso a girare il mondo, tra Parigi, Doha, Texas e Maine. Ma l’entusiasmo del tycoon non è bastato a sedare le polemiche.
Spese folli per adattarlo
Già, perché trasformare un aereo VIP in un Air Force One richiede ben più che un cambio di stemma sulla carlinga. Per renderlo “a prova di missile” servono almeno due anni e oltre un miliardo di dollari. Serve installare sistemi di difesa a infrarossi, sensori ultravioletti, contromisure elettroniche, blindature anti-EMP, sistemi di comunicazione criptati e – naturalmente – il rifornimento in volo, perché un vero presidente non fa mai scalo a metà tweet.
Cosa ne pensano i contribuenti
Ma il vero problema non è tecnico, semmai è politico. Chuck Schumer, leader dei democratici al Senato, ha già annunciato l’intenzione di bloccare l’operazione con una mozione ad hoc. Motivo? “Un dono straniero di quel valore non è compatibile con le regole federali sui regali presidenziali”. E in effetti, se è vero che Trump ha detto “è un regalo al governo USA, non a me”, molti restano dubbiosi. Non tanto sul mittente (che pare entusiasta), ma sul destinatario. E poi c’è la voce dei contribuenti, che s’interroga: era proprio necessario acquistare un jet usato, per poi spendere una fortuna in restyling bellico? Una domanda legittima, se si considera che il solo mantenimento annuo di un Air Force One si aggira sui 134 milioni di dollari – di cui oltre 37 destinati al personale, 27 alla manutenzione e 17 a miglioramenti continui. Praticamente, un jet costerebbe quanto tredici mesi di volo del vecchio modello. Più che un affare, una specie di timeshare presidenziale con la famiglia Al Thani.
Status symbol di un presidente amibizioso
Insomma, se confermato, questo affare potrebbe diventare il Boeing Gate. O peggio, l’Airbnb Force One. Con Trump che, da buon imprenditore, pensa a quando potrà portarselo via una volta scaduto il mandato. E se davvero riuscirà nell’impresa, il vero capolavoro non sarà aver battuto Biden, ma aver trasformato l’aereo presidenziale in un upgrade personale. Con tanto di lounge bar, moquette dorata e vista panoramica su Mar-a-Lago.
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Curiosità
A Rimini se ti rifai il letto e risparmi sugli asciugamani piovono sconti
Gli alberghi tipici riminesi lanciano una nuova iniziativa per il turismo sostenibile: meno sprechi, più vantaggi per i viaggiatori attenti all’ambiente.

Hai organizzato un periodo di vacanze a Rimini? Hai fatto una scelta green. Per le prossime settimane Rimini lancia un’iniziativa che premia chi adotta comportamenti sostenibili in hotel. E non solo. Il consorzio Alberghi Tipici Riminesi, che riunisce 19 strutture, ha deciso di incentivare gli ospiti ad avere un occhio di riguardo per l’ambiente e il risparmio energetico. Come? Il meccanismo è semplice. Chi sceglie di non far cambiare gli asciugamani ogni giorno ottiene uno sconto da utilizzare per acquistare prodotti tipici locali direttamente negli alberghi. E chi, oltre a evitare sprechi, decide anche di rifarsi il letto da solo, accumula ulteriori punti che diventano ulteriori vantaggi economici.
A Rimini i piccoli gesti si trasformano in grandi risparmi
L’iniziativa non si limita a premiare il comportamento ecologico dei turisti, ma offre anche un’opzione solidale. I più attenti alla sostenibilità possono donare i propri sconti alla Fondazione Cetacea di Riccione, che da anni si occupa del recupero e della cura della fauna marina, soprattutto delle tartarughe. Alla fine della stagione, tutte le cartelline timbrate con gli sconti verranno raccolte e convertite in un contributo economico destinato alla Fondazione. L’idea di sensibilizzare gli ospiti nasce dalle osservazioni degli stessi albergatori, che nel tempo hanno notato che i classici cartelli sul risparmio idrico spesso venivano ignorati. Ora, invece, la sostenibilità diventa concreta e tangibile, con un incentivo che non solo alleggerisce il lavoro del personale alberghiero, ma riduce l’impatto ambientale di centinaia di strutture che ogni estate lavorano a pieno ritmo.
Più bici e meno ascensore
Oltre alle agevolazioni sui servizi in hotel, gli Alberghi Tipici Riminesi promuoveranno anche altre iniziative a basso impatto ambientale: meno ascensori, più scale: i turisti saranno invitati a muoversi senza consumare energia inutilmente. Per spostarsi in città, si potrà usufruire delle biciclette a noleggio disponibili nelle strutture, evitando l’uso delle auto, traffico e smog. Saranno organizzato diversi tour in bicicletta con pic-nic finale vista Ponte di Tiberio. L’iniziativa partirà nelle prossime settimane ed è stata presentata in Comune a Rimini, alla presenza dell’assessore alle politiche ambientali Anna Montini.
Cucina
La crostata di visciole, il dolce (quasi segreto) più buono del Lazio
Più antica di quanto immagini, amata da ebrei e romani, la crostata di visciole è un tesoro dolcissimo della tradizione laziale. Ecco perché non smette mai di incantare.

La riconosci al primo morso: friabile, burrosa, con quella nota aspra e seducente che ti esplode in bocca. La crostata di visciole è uno di quei dolci che sembrano usciti da una fiaba, tanto è semplice e insieme raffinata. Un impasto di pasta frolla racchiude un cuore rubino: la confettura di visciole, una varietà di ciliegia selvatica dal sapore più acido e intenso rispetto alla classica amarena.
Ma questa non è una semplice crostata. È un pezzo di storia, di identità, di resistenza culturale. È il dolce simbolo della tradizione ebraico-romanesca, ancora oggi servito nei ristoranti kosher del Ghetto di Roma e tramandato di madre in figlia. Un tempo si preparava in casa, per Shabbat o per le feste, con uno strato di ricotta sotto la marmellata — nella versione “completa” oggi detta appunto crostata ricotta e visciole — ma la variante solo con la confettura è quella più antica e più diffusa.
Le visciole, piccole e nervose, sono frutti preziosi. Non si trovano al supermercato, non si raccolgono in serie. Crescono in piccoli orti, in campi selvatici, dove bisogna andarci col cestino e tanta pazienza. La loro stagione è breve, ma i barattoli di marmellata preparati in estate diventano oro puro in inverno. Ecco perché la crostata di visciole sa di casa, di tempo lento, di mani infarinate e dita rubine dopo aver steso l’impasto.
Per prepararla bastano pochi ingredienti, ma servono ottimi: farina, burro, uova, zucchero, scorza di limone per la frolla; e una confettura di visciole degna di questo nome. Il segreto? Non cuocerla troppo: la frolla deve sciogliersi in bocca, mentre il ripieno deve restare compatto ma succoso.
In alcune varianti, si aggiunge un tocco di cannella o si sostituisce il burro con lo strutto, come si faceva nelle cucine di un tempo. Ma la regola d’oro è sempre la stessa: lasciarla riposare qualche ora, anche una notte intera. È da fredda che la crostata di visciole dà il meglio di sé. E se ci accompagni un bicchiere di vino dolce, tipo Aleatico o un Passito, è pura poesia.
La crostata di visciole non cerca il colpo di scena. Non ha glasse, mousse, decorazioni moderne. È bella così com’è: rustica, verace, sincera. Ed è proprio questo il suo incanto.
Moda
Primavera a tutto cappello: il ritorno dell’accessorio più snobbato degli ultimi anni
Panama, cloche, baschi e bucket hat: la primavera 2025 segna il grande ritorno dei cappelli, accessori trasformisti che dettano stile e aggiungono carattere a qualsiasi look. Ecco i modelli più trendy e come abbinarli (senza sembrare in costume)

C’è stato un tempo in cui il cappello era un accessorio imprescindibile, simbolo di eleganza e distinzione. Poi, è arrivata l’epoca dello streetwear, del minimalismo spinto, dei “senza fronzoli”. E il cappello? Sparito, o quasi. Ma adesso le cose stanno cambiando: la primavera 2025 segna ufficialmente il grande ritorno del cappello.
Non è solo questione di tendenze passegger(e) o di ispirazioni da passerella: il cappello è tornato per restare. Lo confermano le collezioni primavera-estate di brand come Dior, Max Mara, Jacquemus e Chanel, che hanno puntato tutto su questo accessorio trasformista, capace di cambiare completamente un outfit con un solo gesto.
I modelli che vedremo ovunque? I bucket hat, rivisitati in tessuti leggeri come lino e cotone tecnico, spesso stampati o ricamati. I Panama per le più classiche, ma anche per chi vuole dare un tocco maschile a un look iper femminile. E poi cloche romantiche, berretti da baseball di lusso, baschi francesi, fino a cappelli a tesa larga da diva anni ’70.
Il bello è che ogni stile trova il suo cappello. Il bucket sta bene con il denim e le camicie over, perfetto per look sporty o da weekend in città. Il basco si abbina a gonne midi, trench e mocassini: un’allure da intellettuale bohémien aggiornata al presente. Il Panama, invece, funziona sia con il tailleur pantalone che con l’abito lungo da giorno, e aggiunge un tocco cosmopolita anche alla più semplice delle camicie bianche. La cloche è il pezzo forte per chi ama il retrò: con un trench sabbia e una borsa a mano fa subito Parigi anni ’30.
Il ritorno del cappello, però, non è solo una questione estetica. È anche un gesto di personalità. In un mondo dominato da outfit sempre più uguali e veloci, un cappello racconta qualcosa in più. È una scelta: quella di metterci la testa, anche nello stile.
E per chi pensa di “non avere la faccia giusta”? Falso mito. La verità è che esiste un cappello per ogni viso: basta sperimentare. Le facce tonde stanno benissimo con le tese larghe, quelle più squadrate trovano armonia con i modelli morbidi e stondati. Il trucco è provarli dal vivo, giocare con l’inclinazione, osservare le proporzioni. E poi lasciarsi andare: perché il cappello, più di ogni altro accessorio, va portato con atteggiamento.
Ultima dritta: la primavera 2025 suggerisce anche un ritorno al total look coordinato, con cappelli che richiamano fantasie o colori degli abiti. Non è obbligatorio, ma se siete amanti del dettaglio che fa la differenza, sarà la vostra stagione.
In fondo, diceva Coco Chanel, “una donna senza cappello è come un giardino senza fiori”. Quest’anno, il giardino rifiorisce.
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