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Società

Amore e spiaggia: quando le effusioni diventano uno spettacolo indesiderato per tutto il litorale

Che il sole risvegli gli ormoni è risaputo, ma chi trasforma l’ombrellone in alcova pubblica dimentica un dettaglio: ci sono altri esseri umani intorno. E no, non sempre è uno spettacolo gradito.

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    L’amore è bello, l’estate pure. L’amore in estate? Pericoloso. Perché tra un bagno al tramonto e una granita al limone, c’è sempre la coppietta che scambia la spiaggia per una succursale di “Love Island”. E lì il romanticismo finisce, lasciando spazio al disagio generalizzato.

    Sia chiaro: nessuno si scandalizza per un bacio sotto l’ombrellone. Anzi, fa parte del folklore balneare. Ma c’è bacio e bacio. E poi ci sono le sessioni acrobatiche da divano rosso di reality show, i massaggi intensi degni di un centro benessere notturno e gli “abbracci” che durano quanto una telenovela messicana. Con tanto di colonna sonora: sospiri, risatine, e quelle frasi sussurrate che nemmeno i gabbiani vogliono sentire.

    Il punto non è moralismo, ma sopravvivenza sociale. Perché mentre i protagonisti si rotolano nella sabbia come se non ci fosse un domani, a un metro di distanza c’è una famiglia con bambini. E non è facile spiegare a un sei-enne perché “quel signore sta facendo ginnastica sulla signora”.

    Il bon ton in spiaggia non vieta l’amore, ma consiglia di contenerlo. È una questione di rispetto, di eleganza, di senso della misura. E di buon senso, che d’estate pare sempre in ferie.

    Anche perché, diciamolo: la spiaggia non è un luogo adatto alle prodezze erotiche. Tra sabbia che gratta, salsedine che punge e vicini con lo smartphone sempre pronto, più che passione rischiate la figuraccia virale su TikTok.

    Quindi sì, baciatevi. Ma con grazia. Accarezzatevi, pure. Ma senza sembrare in prova per un film vietato ai minori. E se proprio non resistete, c’è sempre l’opzione camera vista mare. Almeno lì, le tende si possono chiudere.

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      Dove si guadagna di più in Italia? Milano in testa, Sud in fondo alla classifica

      Un’analisi della Cgia di Mestre rivela le disparità salariali tra Nord e Sud. Mentre le province settentrionali vedono retribuzioni elevate grazie a settori ad alta produttività, il Mezzogiorno soffre con stipendi medi annui ben al di sotto della media nazionale. Milano svetta con 32.472 euro lordi, mentre Vibo Valentia chiude la classifica con soli 12.923 euro.

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        Milano conferma il suo primato come la provincia con gli stipendi più alti in Italia, con una retribuzione media lorda annua nel settore privato di 32.472 euro. Seguono Parma e Modena, rispettivamente con 26.861 e 26.764 euro. La classifica delle province più “ricche” vede una predominanza delle aree settentrionali e in particolare dell’Emilia Romagna, dove settori ad alta produttività come la meccanica e l’automotive contribuiscono a stipendi più elevati. Bologna, Reggio Emilia, Lecco, Torino, Bergamo, Varese e Trieste completano la top ten, con retribuzioni che variano dai 25.165 ai 26.610 euro.

        Il Sud stenta: Vibo Valentia fanalino di coda

        Al contrario, le province meridionali continuano a mostrare un divario significativo. Trapani, Cosenza, Nuoro e, ultima in classifica, Vibo Valentia, registrano retribuzioni medie lorde annue ben al di sotto della media nazionale, con Vibo Valentia che chiude la classifica con soli 12.923 euro. Questo divario del 35% rispetto al Nord è una realtà che i contratti collettivi nazionali non sono riusciti a colmare, evidenziando le persistenti disuguaglianze salariali tra Nord e Sud Italia.

        Il perché del divario: le cause delle disuguaglianze salariali

        Le province settentrionali beneficiano della presenza di industrie ad alta produttività e valore aggiunto, come l’automotive, la meccatronica e il biomedicale, che garantiscono stipendi più elevati. Al contrario, al Sud, la mancanza di queste realtà produttive e la prevalenza di piccole imprese limitano significativamente il potere contrattuale e, di conseguenza, le retribuzioni. Le multinazionali e le grandi imprese, concentrate principalmente al Nord, contribuiscono ad accentuare questo divario, offrendo salari più alti rispetto alle medie nazionali.

        Un’Italia a due velocità

        L’Italia continua a essere un Paese diviso anche sul fronte delle retribuzioni, con un Nord che beneficia di una maggiore concentrazione di settori produttivi e un Sud che, nonostante gli sforzi contrattuali, stenta a ridurre il gap. Questo divario salariale rappresenta una delle sfide più complesse per il futuro del Paese, che dovrà affrontare non solo le differenze economiche, ma anche le loro ricadute sociali e territoriali.

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          Sempre più milionari scelgono l’Italia: “Flat tax migliore di Monaco”. Ecco perché il Bel Paese è diventato un paradiso fiscale (legale)

          Nel 2025 l’Italia sarà la terza meta più gettonata per i Paperoni in fuga: attesi 3.600 super ricchi, attratti da una tassa fissa sui redditi esteri e da uno stile di vita invidiabile.

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            Un esercito di Paperoni è pronto a fare le valigie. Secondo i dati di Henley & Partners, società di consulenza specializzata in migrazioni patrimoniali, saranno ben 3.600 i milionari che nel 2025 sceglieranno di trasferirsi in Italia. Una cifra record. Che colloca il nostro Paese al terzo posto tra le destinazioni preferite dai super ricchi in fuga. Dopo Emirati Arabi Uniti (9.800 arrivi previsti) e Stati Uniti (7.500), ma davanti alla Svizzera.

            A rendere così attrattiva l’Italia, oltre al paesaggio e alla qualità della vita, è una norma fiscale entrata in vigore nel 2017. Ribattezzata “CR7” dopo essere stata utilizzata da Cristiano Ronaldo per trasferirsi alla Juventus. Il meccanismo è semplice e potente. Chi sposta la residenza nel Bel Paese può pagare una tassa forfettaria di 200 mila euro l’anno per 15 anni, valida su tutti i redditi prodotti all’estero. Per i familiari, la cifra scende a 25 mila euro.

            Il risultato è un regime fiscale considerato da molti più conveniente di quello di Monaco. Dove le tasse sono formalmente pari a zero ma il costo della vita – immobili inclusi – è altissimo. “Il rapporto tra imposte, spese e qualità della vita in Italia è imbattibile”, spiega Henley & Partners. E i numeri lo confermano: i Paperoni attesi nel 2025 porteranno con sé un patrimonio stimato in 21 miliardi di dollari.

            Non mancano però le critiche. Secondo alcuni economisti, questa “migrazione selettiva” alimenta la concorrenza fiscale tra Paesi Ue, senza garantire reali benefici economici al Paese ospitante. I nuovi residenti non sempre investono o creano imprese: spesso si limitano a godersi pensione e lusso, contribuendo semmai all’aumento dei prezzi degli immobili e dei servizi di fascia alta.

            Tuttavia, il trend è chiaro. La competizione globale per attrarre i super ricchi è ormai aperta e l’Italia si è ritagliata un posto di primo piano, con una fiscalità “gentile”, paesaggi da cartolina e la promessa, per chi può permetterselo, di un buen retiro dorato.

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              Hacker etici? Sì per dare la caccia ai predatori del web e proteggere i minori

              Grazie al loro lavoro, centinaia di pedofili sono già stati identificati e denunciati, e il loro contributo continua a essere fondamentale per rendere internet un luogo più sicuro per tutti, soprattutto per i più vulnerabili.

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                Nell’ombra del cyberspazio, dove spesso si nascondono minacce invisibili, esiste un gruppo di esperti informatici che ha scelto di usare le proprie competenze per combattere il crimine. Sono hacker, ma non quelli di cui si sente parlare in relazione ad attacchi informatici o frodi. Qui si tratta di hacker etici, conosciuti anche come white hat hackers, e hanno fatto della protezione dei più vulnerabili la loro missione. In particolare, si dedicano alla caccia ai pedofili che cercano di adescare minori online. Tra questi, il gruppo Cyber Sentinels, fondato da Volpe e Dottore (nomi di copertura). Conta oggi più di mille membri, tra esperti di cybersecurity, avvocati, studenti e tecnici informatici. Il loro obiettivo è duplice: stanare i pedofili e denunciarli alle autorità, e fornire formazione gratuita sulla sicurezza informatica e sull’hacking etico.

                Come funzionano le operazioni di caccia degli hacker buoni

                La strategia degli hunter, ovvero i cacciatori digitali, segue uno schema preciso. Entrano nei canali pubblici di chat, dove il rischio di adescamento è più alto, e si fingono adolescenti. È qui che iniziano a intercettare i predatori digitali, individui che cercano di instaurare un dialogo con minori fingendosi amici o confidenti. Quando un pedofilo abbocca, lo spingono a scoprirsi con tecniche di ingegneria sociale. Ovvero manipolazione psicologica: raccontano di vite difficili, assenza di figure genitoriali, cercando di far abbassare le difese del criminale. A quel punto, il pedofilo inizia a chiedere foto, video o incontri, e gli hacker raccolgono prove cruciali per l’incriminazione. Una delle fasi chiave è il passaggio su Telegram, dove gli hacker hanno strumenti avanzati per risalire all’identità dell’adescatore attraverso indirizzi IP e numeri di telefono. Quando raccolgono informazioni sufficienti, preparano un fascicolo digitale con chat, foto, email e profili social, e lo inviano alla Polizia Postale, al Moige o al Telefono Azzurro per l’intervento immediato delle autorità.

                Qual è il profilo dei predatori digitali?

                Secondo l’esperienza degli hacker etici, i pedofili online sono sempre uomini, con età che variano dai 30 ai 70 anni, provenienti da ogni parte d’Italia. Alcuni hanno un buon livello di istruzione, altri meno, ma il comportamento è spesso lo stesso: cercano di instaurare un rapporto di fiducia con la vittima, per poi farla cadere in una trappola psicologica. L’aspetto più inquietante è che, nel 90% dei casi, le prime domande che pongono riguardano l’abbigliamento: “Sei in pigiama?”. È il primo segnale che permette agli hacker etici di identificare una possibile minaccia.

                L’impegno contro la cyberpedofilia

                I forum del dark web, dove si vendono droga, malware e servizi illegali, vietano categoricamente la pedopornografia. Questo dimostra quanto sia considerato abominevole persino tra i criminali informatici. La lotta contro la cyberpedofilia è una priorità assoluta per le forze dell’ordine, che intervengono con la massima urgenza quando ricevono segnalazioni dettagliate e documentate. Per questo motivo, il lavoro degli hacker etici è prezioso. Agiscono lì dove spesso le autorità hanno difficoltà a operare in tempo reale, prevenendo abusi e aiutando a mettere sotto processo chi sfrutta il web per compiere crimini contro i minori.

                Come proteggere i minori online

                Se il lavoro degli hacker etici è fondamentale, altrettanto importante è la prevenzione. Tra i diversi consigli per i genitori al primo posto è quello di dare ai figli il cellulare il più tardi possibile. Installare software di parental control per limitare l’accesso a contenuti pericolosi. Importante monitorare proattivamente l’attività online dei ragazzi, verificando siti, app e contatti. E naturalmente serve insegnare la consapevolezza digitale, spiegando i rischi legati alle interazioni con sconosciuti. Infine fare molta attenzione ai videogiochi online, dove i pedofili possono infiltrarsi fingendosi altri giocatori.

                Hacker al servizio del bene

                Gli hacker etici dimostrano che la tecnologia non è solo un’arma per i criminali, ma può diventare un potente strumento di protezione. Il loro operato è una risposta concreta a una delle minacce più oscure del web, e il loro impegno offre una speranza. Il cyberspazio può essere reso più sicuro, se chi lo conosce lo usa per combattere il male.

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