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Società

L’Italia fa i conti con l’antisemitismo: un problema crescente

Secondo l’Osservatorio per la sicurezza contro gli atti discriminatori, dagli attentati di Hamas dello scorso ottobre sono quasi quadruplicati i casi di discriminazione in Italia.

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    L’Italia, Paese che ha conosciuto le orrore delle leggi razziali e dell’alleanza con il nazismo, oggi sembra alle prese con un preoccupante aumento dell’antisemitismo. Secondo recenti sondaggi e rapporti, una fetta sempre più ampia della popolazione italiana percepisce una diffusione crescente di sentimenti ostili nei confronti degli ebrei. I dati del sondaggio Euromedia Research del 12 novembre 2024 confutati con l cifre e le opinioni presentati dall’Osservatorio per la sicurezza contro gli atti discriminatori sono allarmanti. Gli episodi di discriminazione antisemita sono quasi quadruplicati negli ultimi mesi. Ciò significa che l’odio verso gli ebrei non è più un fenomeno marginale, ma una realtà che tocca la vita di molte persone. Il 41, 9% del campione interpellato da Euromedia Research ha visto aumentare il fenomeno nel nostro Paese anche se il 40, 9% crede che questo fenomeno non abbia subito alcuna influenza dalla guerra che si sta svolgendo in Medio Oriente.

    Eppure crescono gli atti ostili. Siamo un Paese antisemita?

    Il generale Pasquale Angelosanto, già comandante del Ros dei carabinieri e oggi coordinatore nazionale per la lotta contro l’antisemitismo ha presentato un’analisi dettagliata della situazione alla Commissione Segre, che si occupa di contrasto ai fenomeni di intolleranza e razzismo presieduta dalla senatrice a vita, Liliana Segre. Secondo il report sull’antisemitismo nel 2024 gli episodi di discriminazione contro le persone di origine ebrea sono aumentati del 300% dopo l’attacco di Hamas del 7 ottobre. Tra quell’attacco dello scorso anno e il 30 giugno 2024, nel nostro Paese si sono stati registrati 406 incidenti classificati come discriminatori contro i 98 atti simili registrati nello stesso periodo di un anno prima. Una casistica suddivisa in diverse categorie: 57 episodi di crimini d’odio (hate crimes); 200 episodi di discorsi d’odio (hate speech); 128 episodi di hate speech online; 21 episodi di hate incident. Ciò significa che l’odio verso gli ebrei non è più un fenomeno marginale, ma una realtà che tocca la vita di molte persone.

    Le cause di questo fenomeno

    Le ragioni di questo preoccupante aumento sono molteplici e discretamente complesse. Tra le principali cause si possono individuare alcune storiche e altre più recenti. Le leggi razziali del 1938 e l’alleanza con il nazismo hanno lasciato profonde ferite nella società italiana, creando un terreno fertile per la diffusione di stereotipi e pregiudizi antisemiti. A questo aggiungiamo il perenne conflitto israelo-palestinese. Le tensioni in Medio Oriente e il conflitto israelo-palestinese alimentano spesso sentimenti anti-israeliani che, in alcuni casi, si trasformano in odio generalizzato verso gli ebrei.

    Odio che si può manifestare in occasioni diverse dalle tribune di uno stadio (calcio o basket che sia) a quella sottile discriminazione verso il popolo ebraico e l’ebraismo in genere fomentato da una profonda e diffusa ignoranza. A questo ci aggiungiamo un clima politico polarizzato e l’ascesa di movimenti populisti e nazionalisti che contribuiscono a creare un ambiente in cui l’intolleranza e l’odio trovano terreno fertile. E non solo verso gli ebrei. Inoltre la diffusione di notizie false e di teorie del complotto attraverso i social media contribuisce a diffondere l’odio e a fomentare il pregiudizio.

    Il 30% degli italiani sminuisce la Shoah

    Il generale Angelosanto cita un’indagine Eurispes del 2024. “Il 15,9% degli intervistati sminuisce la portata della Shoah, il 14,1% la nega“. Venti anni fa i primi erano il 2,7%, gli altri l’11,1%. Sempre secondo il Generale prima le aggressioni si manifestavano soprattutto via web, ora le offese sono dirette e personali. Pensando al futuro e alle generazioni dei givani Angelosanto auspica interventi perché “il sistema generativo dell’intelligenza artificiale potrebbe esser fuorviato da siti negazionisti“. Secondo il Centro di documentazione ebraica un “quinto degli italiani è antisemita, il 9% moderatamente, il 10% fortemente, mentre il 30% sminuisce la Shoah“. E gli ebrei italiani come vivono questa situazione? Avvertono il peggioramento. Secondo un’indagine dell’Unione giovani ebrei d’Italia tre su sei non si sentono al sicuro e il 79% ha preferito tacere dopo un episodio antisemita.

    Per contrastare l’antisemitismo è necessario un impegno a più livelli

    Secondo la stessa Commissione Segre si devono promuovere nelle scuole programmi educativi che affrontino il tema dell’Olocausto, dell’antisemitismo e della tolleranza. A questo andrebbe aggiunto un rafforzamento delle leggi contro i crimini d’odio garantendo che vengano applicate in modo rigoroso. In parallelo bisognerebbe promuovere una informazione corretta e responsabile, contrastando la diffusione di fake news e disinformazione. Sempre secondo la Commissione la società civile deve mobilitarsi di più per promuovere il dialogo interreligioso e interculturale e i politici di tutti gli schieramenti sono chiamati a condannare fermamente ogni forma di antisemitismo e promuovere politiche inclusive e tolleranti. Su questo punto la stessa senatrice Liliana Segre ha voluto recentemente ribadire che “L’antisemitismo è rimasto latente, ma oggi in tanti non si vergognano più. Sono felice che la premier Meloni abbia deciso di intervenire: si è resa conto che la sua prima reazione era sbagliata”.

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      Prima della Scala tra applausi, divismo e polemiche: Lauro incanta, Mahmood fa discutere e scoppia il caso champagne

      Alla Prima della Scala applausi per la straordinaria Katerina interpretata da Sara Jakubiak, acclamata anche da Achille Lauro e Mahmood. Ma se Lauro si mostra disponibile con tutti, Mahmood finisce al centro di una polemica per un tavolino di champagne “riservato”. Poi la notte prosegue tra cene stellate, dal Giardino a Cracco fino al tradizionale Baretto.

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        È stata una Prima della Scala carica di emozioni, applausi e, come spesso accade, anche di qualche scivolone mondano. Protagonista assoluta sul palco è stata Sara Jakubiak, straordinaria interprete di Lady Macbeth nella nuova produzione, applaudita a lungo da un pubblico conquistato. Tra i primi a complimentarsi con lei anche Achille Lauro e Mahmood, presenti in sala per una serata che univa musica, mondanità e inevitabili contrasti di stile.

        Applausi per Katerina e caratteri opposti tra le star
        Lauro si è mostrato sorridente, disponibile, pronto a scambiare battute con chiunque lo avvicinasse. Ben diverso l’atteggiamento di Mahmood, apparso scontroso e infastidito dall’assalto del pubblico. A far discutere è stato anche il comportamento dello staff legato alla ditta di champagne che lo aveva invitato: nel ridotto era stato allestito un tavolino riservato e, ogni volta che qualcuno si avvicinava, una sorta di “erinni” intimava di allontanarsi perché lo champagne era solo per gli ospiti del cantante. Un episodio che in molti hanno bollato come una cafonata.

        Le cene istituzionali e il rituale del doposcala
        Dopo Una Lady Macbeth nel distretto di Mcensk, oltre cinquecento invitati hanno preso parte alla cena istituzionale alla Società del Giardino firmata dallo chef Davide Oldani. Tra i presenti il sindaco Beppe Sala, Liliana Segre, Barbara Berlusconi, Carlo Capasa e Stefania Rocca. Un parterre che mescola politica, istituzioni, imprenditoria e spettacolo secondo un copione ormai consolidato.

        Cracco, imprenditori e il salotto del Baretto
        In Galleria, da Cracco, Arturo Artom ha riunito al suo lungo tavolo in vetrina imprenditori, attori, cantanti e figure istituzionali: Massimo Boldi, il baritono Vittorio Prato, Domenico Piraina, Massimiliano Finazzer Flory, Claudia Colla, Massimo Lapucci, Mariaelena Aprea, Mattia Boffi, Carlo Cracco e il regista Mario Acampa. Al Baretto, come da tradizione, la cena del dopo Scala ha visto tra i presenti il critico Pasquale Lettieri con Letizia Bonelli, Mario e Daniela Iavarone, Enzo Miccio, Gian Maria Sainato, Cesarina Ferruzzi e Lella Termini.

        Tra trionfi artistici, divismi e tavolini blindati, anche quest’anno la Prima ha dimostrato di essere molto più di uno spettacolo: è un grande teatro nel teatro, dove ogni gesto diventa notizia.

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          Quando l’idolo diventa “intimo”: il boom delle relazioni parasociali nell’era dei social

          Dall’adolescenza all’età adulta, ecco perché ci si affeziona a chi non ci conosce e quando l’illusione di vicinanza diventa un rischio per l’equilibrio personale.

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          Quando l’idolo diventa “intimo”

            Scorrono video, arrivano notifiche, i volti di cantanti, influencer e attori entrano quotidianamente nelle nostre case. Parlano alle telecamere come se parlassero a noi. È così che le relazioni parasociali – rapporti emotivi intensi verso una figura pubblica che non ricambia – sono diventate un elemento comune della vita digitale. Una modalità di legame che può sembrare innocua, ma che merita uno sguardo attento.

            «La caratteristica fondamentale è la mancanza di reciprocità: la persona sente vicino il proprio idolo, ma in realtà quell’interazione esiste solo nella sua mente» spiega Chiara Simonelli, psicoterapeuta e sessuologa presso la Fondazione Sapienza di Roma. «Si tratta di dinamiche tipiche della pubertà, quando si fantastica sul cantante del momento o su figure idealizzate che appaiono come un modello. È un passaggio di crescita: aiuta a definire identità e desideri».

            Un “allenamento” emotivo degli adolescenti

            Tra i 12 e i 15 anni, cercare punti di riferimento diversi dai genitori è normale. L’icona pop o il creator ribelle incarnano ciò che l’adolescente vorrebbe essere: libertà, coraggio, bellezza, successo. «Questi personaggi rappresentano un ponte verso la vita adulta, un’immagine proiettata di sé. Per questo il legame è così intenso» spiega Simonelli.

            Con il passare degli anni, però, lo scenario dovrebbe cambiare: le relazioni reali assumono spazio, e la fantasia rimane un ricordo. «Quando la relazione parasociale prosegue a lungo è un campanello: può indicare che la vita quotidiana non offre soddisfazioni, e che si insegue un ideale irraggiungibile per compensare frustrazioni».

            Cosa accade negli adulti

            Nell’età adulta questo meccanismo non scompare: si trasforma. In molti casi l’attaccamento riguarda figure mediatizzate che incarnano status, stili di vita, o il partner ideale. L’illusione diventa rifugio dalla routine. «Sono rapporti che danno un sollievo immediato, ma rischiano poi di amplificare lo scontento: il confronto con la propria realtà diventa più doloroso».

            Il ruolo dei social: un’illusione di contatto

            La diffusione dei social network ha radicalmente cambiato il fenomeno. Le star mostrano case, famiglie, traumi, cani e colazioni. Parlano in prima persona, rispondono ai commenti, chiamano per nome i fan. «Si crea un senso di falsa familiarità» spiega Simonelli. «Sembra che l’altra persona sia davvero vicina, disponibile. Ma dietro c’è un lavoro professionale, nulla è spontaneo come appare».

            Più la distanza si accorcia in apparenza, più l’asimmetria diventa invisibile. Si ha l’impressione di essere parte della vita di chi si ammira, mentre in realtà non si è neppure visti.

            Quando diventa un problema?

            Tutto cambia quando il pensiero diventa monopolizzato. «Non è preoccupante seguire un profilo per una decina di minuti al giorno. Lo diventa se la figura idealizzata invade spazi essenziali: lavoro, relazioni, cura dei figli, vita di coppia». In quei casi il legame unilaterale ruba tempo ed energia alla costruzione di rapporti veri e possibilità concrete di cambiamento.

            Come tornare con i piedi per terra

            La cura parte da una sola condizione: riconoscere il problema. «Se la persona non è consapevole dell’eccesso, nessun intervento può iniziare» afferma Simonelli. «Terapie e percorsi psicologici funzionano quando c’è motivazione a capire cosa quella relazione surrogata sta sostituendo nella vita reale». Osservare il disagio, interrogarsi sui propri bisogni, dare spazio a relazioni autentiche: sono i primi passi per trovare un equilibrio.

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              Babbo Natale dorme per strada: l’arte che svela gli “invisibili” di Milano

              L’installazione di Progetto Arca, firmata dal street artist Andrea Villa, compare in quattro fermate del tram per accendere i riflettori sui 17mila senzatetto che ogni notte cercano riparo in città. E la reazione dei passanti racconta una Milano che non ha smesso di vedere.

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              Babbo Natale dorme per strada

                Sotto la pensilina di piazza Lega Lombarda, dove ogni giorno migliaia di persone afferrano il tram al volo, un “clochard” giace rannicchiato tra cartoni logori. Ma basta un secondo sguardo per rendersi conto che quel senzatetto non è un uomo qualunque: il cappuccio rosso, la barba folta, il vestito iconico rivelano l’identità più improbabile del periodo natalizio. È Babbo Natale. Un Babbo Natale senza casa.

                Non è una provocazione casuale: fa parte della campagna “Quest’anno il Natale sei tu”, presentata da Fondazione Progetto Arca – realtà impegnata da trent’anni nell’aiuto a chi vive in strada – con il supporto dell’assessorato al Welfare del Comune di Milano. L’opera porta la firma di Andrea Villa, street artist noto per installazioni urbane dal taglio ironico e sociale.

                L’intento è chiaro: rendere visibile chi resta ai margini, chi si incontra ogni giorno e ogni giorno si finge di non vedere. A dirlo è anche la frase in grandi caratteri che accompagna il manichino: “La povertà può colpire chiunque”. Anche chi, nella fantasia collettiva, è simbolo di gioia, regali e famiglia: una scelta volutamente disturbante, che ribalta la narrativa delle feste e invita a fare i conti con una fragilità sempre più diffusa.

                L’opera non è isolata. Altre tre installazioni sono state collocate in punti nevralgici della città: via De Amicis 7, via Ariosto 4 e piazza Cinque Giornate 6. Quattro presenze silenziose, distese su letti di cartone per raccontare con forza ciò che spesso scivola lontano dagli occhi. Secondo le realtà sociali che operano sul territorio, infatti, sono circa 17mila le persone che a Milano vivono in condizioni di grave emarginazione, senza un alloggio stabile o un accesso regolare a cure e servizi.

                «Un lavoro, oggi, non basta più a garantire sicurezza e serenità» spiegano i promotori dell’iniziativa. Una realtà che Progetto Arca conosce bene: ogni sera porta pasti caldi e assistenza a chi vive all’aperto, quando cala la temperatura e aumenta il rischio per la salute. «Non esistono persone invincibili – aggiungono –. Le difficoltà degli altri potrebbero un giorno essere le nostre. Per questo, come comunità, dobbiamo scegliere di guardare e agire».

                La scelta di Santa Claus non mira a scioccare, ma a risvegliare empatia. Ne è la prova ciò che è accaduto nelle prime ore di esposizione: alcuni passanti, convinti che si trattasse di un senzatetto vero, hanno tentato di riscaldarlo, coprendogli il piede con una coperta per proteggerlo dal freddo. Un gesto piccolo ma enorme, che racconta una parte di Milano fatta non solo di fretta, ma anche di attenzione e cura.

                La povertà, oggi, è “democratica”: attraversa età, storie e percorsi di vita. Colpisce anche chi ha un reddito, chi un tempo non immaginava di poter perdere tutto. E a Natale – la festa della famiglia, della casa piena, della tavola imbandita – la distanza tra chi è al caldo e chi sopravvive sull’asfalto diventa ancora più stridente.

                Per questo il messaggio dell’iniziativa è tanto semplice quanto potente: il Natale non è un privilegio, ma una responsabilità comune. Guardare Babbo Natale per terra, steso tra cartoni e sacchi di plastica, significa guardare negli occhi un problema che non sparisce con le luci delle feste. E capire che, come recita la campagna, “quest’anno il Natale sei tu”: tu che vedi, tu che puoi scegliere di non voltarti dall’altra parte.

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