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Padova torna a riflettere sull’anima: il Festival della Consapevolezza 2025 esplora l’intelligenza spirituale

Il 20 e 21 settembre appuntamento con filosofi, scienziati, monaci e artisti per riscoprire il senso profondo dell’esistenza. Tra gli ospiti Guzzi, Lama Michel Rinpoche, Frajese, Foa, Tetsugen Serra e molti altri

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    Torna a Padova il Festival della Consapevolezza, e lo fa per la quarta volta con un tema tanto affascinante quanto urgente: Intelligenza spirituale. Un viaggio nel cuore dell’essere umano, nel tentativo di integrare mente, cuore e anima in un tempo che chiede rapidità, performance e semplificazione. L’edizione 2025 si svolgerà il 20 e 21 settembre, con il patrocinio dell’Unione Buddhista Italiana (UBI) e la collaborazione dell’assessorato alla Cultura del Comune.

    Sarà un evento diffuso nel centro storico, tra luoghi simbolici come il Palazzo della Ragione, il teatro Verdi, il San Gaetano e la Loggia della Gran Guardia. Non solo conferenze, ma anche meditazioni guidate, laboratori esperienziali, musica e workshop: tutto per stimolare una riflessione profonda sul senso dell’esistenza, con lo sguardo rivolto alla connessione interiore e alla trasformazione personale.

    Il tema dell’intelligenza spirituale viene proposto come chiave per leggere il presente e immaginare il futuro. Un modo per riconoscere e coltivare quella parte di noi capace di dare significato alla vita, superare le crisi, affrontare l’incertezza e trovare unità tra razionalità e sentimento, corpo e mente, individuo e collettività.

    A confrontarsi su questi temi, una rosa di ospiti e relatori di altissimo livello. Marco Guzzi, poeta e filosofo, sarà tra i protagonisti con i suoi percorsi di “guarigione dell’anima” e rinnovamento interiore. Con lui Lama Michel Rinpoche, maestro buddhista apprezzato a livello internazionale, che porterà la sua esperienza di dialogo tra Oriente e Occidente, tradizione e modernità. Il giornalista Marcello Foa, già presidente Rai, parlerà invece del rapporto tra pensiero critico e benessere interiore. Mentre Giovanni Frajese, medico e neuroendocrinologo, affronterà la relazione tra mente, corpo e spirito nella medicina contemporanea.

    Spazio anche alla scienza con Franco Prodi, climatologo e divulgatore, e alla musica con la pianista Gloria Campaner, che racconterà il legame profondo tra suono, emozione e stati di coscienza. Tra le voci più attese anche il Maestro Zen Tetsugen Serra, guida spirituale e autore, e Simone Salvini, chef vegano e insegnante, che proporrà un percorso sensoriale sul cibo come nutrimento anche spirituale.

    A guidare il team organizzativo sarà ancora una volta Andrea Salvetti, documentarista e produttore televisivo, ideatore del Festival e promotore della cultura della consapevolezza. I talk principali saranno condotti da Michaela K. Bellisario, giornalista del gruppo Corriere, con la sua consueta sensibilità nel trattare i temi dell’anima.

    Immancabile, come da tradizione, la meditazione collettiva al Palazzo della Ragione, guidata da Selene Calloni Williams e Filippo Scianna, presidente dell’UBI. Un momento partecipato, capace di unire centinaia di persone in un’unica vibrazione silenziosa.

    Ampio spazio sarà dato anche alla dimensione pratica: i workshop saranno curati da Shivani Lucki, Tiziana Fantuze e lo stesso Tetsugen Serra, con attività pensate per allenare l’intelligenza spirituale nel quotidiano. E quest’anno, novità assoluta, Consapevolandia si trasferisce al Museo Eremitani-Arena Romana: un’area educativa interamente dedicata ai più piccoli, ispirata alla pedagogia Montessori e al concetto delle intelligenze multiple.

    Il Festival della Consapevolezza è ormai un punto di riferimento nel panorama italiano degli eventi dedicati alla crescita interiore. Unisce spiritualità, scienza, arte e attualità con un approccio laico e inclusivo, capace di parlare a un pubblico trasversale. Non una fuga dal mondo, ma un ritorno a sé stessi per abitare il presente con maggiore presenza, empatia e lucidità.

    Biglietti, info e programma completo su festivaldellaconsapevolezza.com

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      “Scambio casa per l’estate, ma non mi freghi”: le nuove furberie dell’ospitalità tra privati

      Dalla casa promessa “con vista mare” che affaccia sulla tangenziale, ai frigoriferi svuotati con malizia: benvenuti nel Far West delle vacanze scambiate.

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        Una volta ci si scambiava figurine, oggi ci si scambia case. Ma a quanto pare, anche in questo caso, la fregatura è dietro l’angolo. L’idea dello home exchange sembrava perfetta: io vengo da te, tu vai da me, e nessuno paga nulla se non condivisione, fiducia e spirito da villeggianti evoluti. Peccato che nel 2025, complice l’inflazione e l’arte tutta italiana di “aggiustarsi”, stiano venendo a galla le furbizie dell’estate.

        «Dicevano che la loro casa era a 200 metri dalla spiaggia», racconta Claudia, 44 anni, da Bologna. «Era vero. Peccato che in mezzo ci fosse un’autostrada. Con i camion. Giorno e notte».

        I gruppi Facebook pullulano di denunce velate. C’è chi giura di aver trovato la cassaforte svuotata (“ci hanno preso pure i Lego”), chi giura di aver lasciato uno Château Margaux del ’96 e aver ritrovato in frigo una Peroni calda, chi sostiene di essere stato derubato… della propria Playstation. E chi, più semplicemente, ha ricevuto in “prestito” un appartamento con due gatti vendicativi e un bagno senza sciacquone.

        Ma non è solo questione di truffe. È la sottile arte del “non detto”. Il divano letto scomodissimo che «in foto sembrava grande», il letto matrimoniale che si divide in due, le lenzuola IKEA versione 2010 e l’odore persistente di cipolla in cucina.

        «L’idea dello scambio resta bellissima», dice ironica Giulia, 38 anni, che ha appena litigato col suo “ospite francese” perché ha usato la sua crema contorno occhi da 90 euro come doposole. «Ma bisogna fare come su Tinder: non credere a tutto quello che vedi in foto».

        E così, anche l’ultima frontiera dell’ospitalità rischia di diventare il solito gioco a chi è più furbo. Con una regola nuova e non scritta:
        “Scambio casa, sì. Ma ti tengo d’occhio con la telecamera nascosta nel vaso di felce”.

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          Gladiatori segreti al Colosseo: Airbnb affitta la storia, e lo Stato tace

          All’inizio di maggio, 16 “fortunati” selezionati da Airbnb hanno partecipato a una rievocazione notturna al Colosseo per promuovere Il Gladiatore II. Nessun annuncio ufficiale, silenzio da parte del Ministero, e una donazione da 900mila euro in cambio del silenzio istituzionale. La Storia venduta, a rate e con la password.

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            La prima regola della nuova “battaglia dei gladiatori” è che non si parla della battaglia dei gladiatori. Proprio come nel Fight Club, solo che stavolta il ring è il Colosseo, il pubblico è segreto, gli spettatori sono milionari o influencer con follower selezionati, e al centro non c’è un film indie, ma un colosso: Airbnb. E ovviamente Hollywood, che prepara l’uscita de Il Gladiatore II con una mossa promozionale da Oscar… al silenzio.

            Tutto vero, ma nessuno conferma. Nessuno smentisce. Tutti tacciono. Dal Parco archeologico del Colosseo al Ministero della Cultura, la parola d’ordine è “no comment”. E non perché non ci sia nulla da dire. Ma perché si è deciso di non dire nulla.

            Il Colosseo affittato. Di notte. Per pochi.

            La rievocazione si è svolta il 7 e l’8 maggio, ma non c’è stato alcun comunicato ufficiale, né inviti alla stampa, né dichiarazioni pubbliche da parte degli enti coinvolti. Solo un pugno di turisti, 16 in tutto, selezionati attraverso una “lotteria” promossa da Airbnb, hanno potuto calcare l’arena sotto il cielo stellato, vestiti da gladiatori, armati fino ai denti di repliche storiche, guidati da gruppi specializzati come Ars Dimicandi e il Gruppo Storico Romano.

            Un’esperienza esclusiva, certo. Ma anche uno sfregio a chi crede che i beni culturali non siano souvenir, ma memoria collettiva da proteggere, non da monetizzare.

            E infatti, se le immagini delle “experience” sono comparse brevemente sulla pagina dell’iniziativa, sono poi sparite come lacrime nella pioggia. Ma i partecipanti, evidentemente non vincolati da NDA troppo stringenti o semplicemente fieri dell’avventura, hanno cominciato a raccontare l’esperienza online: “Combattere nel Colosseo è stata un’emozione unica”, scrivono. Peccato che nessuno di noi ne fosse stato informato.

            Una donazione e un favore

            Airbnb, per questa iniziativa, ha versato una “donazione” da un milione e mezzo di dollari (circa 900mila euro) al Parco archeologico del Colosseo, destinata a finanziare il progetto “Il Colosseo si racconta”, ovvero il restyling dell’esposizione permanente. Nulla di illecito, certo. Ma tutto estremamente opaco.

            In cambio? Nessuna gara pubblica, nessun bando, nessuna trasparenza. Solo una manciata di prescelti, un set cinematografico e un’operazione commerciale confezionata sotto la patina della cultura. E il Colosseo, simbolo della storia romana, prestato come palcoscenico privato a un brand globale.

            Un affare da manuale per Airbnb: visibilità planetaria, storytelling emozionale, zero polemiche. Perché chi osa criticare un’iniziativa “culturale” con tanto di beneficenza allegata?

            Ma è questo il futuro dei nostri monumenti?

            Che il Colosseo venga affittato per eventi privati non è una novità, ma il livello di riservatezza e ambiguità raggiunto in questa occasione segna un punto di non ritorno. Nessuna informazione ufficiale, nessuna nota stampa, nessuna comunicazione istituzionale. Il Parco archeologico diretto da Alfonsina Russo ha scelto il silenzio. E il Ministero della Cultura, per bocca di funzionari interpellati, si è limitato a un gelido: «No comment».

            Dove finisce la valorizzazione e dove inizia la svendita? È giusto che il monumento più visitato d’Italia diventi un set notturno per influencer e brand internazionali, all’insaputa dei cittadini italiani, che ne sono – teoricamente – i legittimi proprietari?

            La Storia non si affitta

            Non c’è nulla di romantico nel vedere il Colosseo trasformato in un pacchetto premium da vincere a estrazione. Il fascino dell’arena è sopravvissuto a secoli di guerre, terremoti, saccheggi, ma potrebbe non sopravvivere al marketing contemporaneo.

            Oggi è una lotteria per 16 gladiatori. Domani cosa? Un’escape room nei Fori Imperiali? Una cena segreta nel Pantheon? Una spa alle Terme di Caracalla?

            Nel frattempo, le istituzioni si tappano le orecchie, nella speranza che il vociare dei turisti si confonda col brusio dei visitatori. Ma chi ha visto, chi ha partecipato, chi ha filmato – e condiviso – sa che quella notte qualcosa è successo. E no, non era un sogno. Era la mercificazione della nostra storia. In diretta. E in silenzio.

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              Una zucchina in tangenziale? No grazie

              Coltivare un orto urbano per autoconsumo? Romantico, risparmioso ma coltivare zucchine e patate ai confini della tangenziale può essere anche molto inquinante.

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                E’ tempo di semina per chi desidera coltivare un orto urbano per autoconsumo. Un idea romantica, risparmiosa ma spesso coltivare sulla tangenziale può essere anche molto inquinante. Mantenere un orto sul terrazzo o in un piccolo appezzamento di terra a ridosso della città da sempre è stato considerato un passatempo ecologico. Un’importante risorsa per l’autoconsumo a chilometro zero. Inoltre l’auto produzione potrebbe essere una scelta che privilegia la sostenibilità ambientale. Tuttavia, questa pratica, presenta sia vantaggi che svantaggi.

                Pregi e difetti della coltivazione cittadina

                Tra i pregi, va sottolineato il suo ruolo nel favorire l’autoapprovvigionamento alimentare, riducendo la dipendenza da filiere lunghe. E in più contribuisce all’adozione di uno stile di vita più sano e sostenibile. Inoltre, l’orto urbano può fungere da spazio di socializzazione e aggregazione, promuovendo il senso di comunità e il coinvolgimento dei cittadini nella cura dell’ambiente.

                Non tutti sono d’accordo

                Come evidenziato da uno studio americano, l’orto urbano può comportare un’impronta ecologica più elevata rispetto all’agricoltura tradizionale. Uno dei pochi ortaggi e frutti a salvarsi è il pomodoro. Se cresce in città produce meno anidride carbonica rispetto a quello di campagna. Ma la frutta e la verdura coltivata all’interno degli spazi delimitati dalle tangenziali cittadine, può rilasciare una quantità di emissioni fino a sei volte superiore a quella dell’agricoltura convenzionale.

                Ma chi lo dice?

                Lo dice uno studio della Michigan University che ha calcolato come una porzione di prodotti della terra coltivati in città ha un’impronta ecologica di 0,42 chilogrammi di anidride carbonica contro gli 0,07 di quelli di quelli che arrivano dai campi tradizionali. Un divario ecologico calcolato sulla base dei diari di ortolani urbani reclutati come citizen scientist in 73 tra aziende agricole. L’indagine ha riguardato orti privati e collettivi di Francia, Germania, Polonia, Regno Unito e Stati Uniti.
                I principali motivi dei possibili inquinamenti sono determinati soprattutto dalle infrastrutture necessarie per la produzione di materiali, che possono generare un rilascio maggiore di emissioni di anidride carbonica. E’ importante considerare che tale impatto può essere mitigato attraverso l’adozione di pratiche agricole sostenibili e l’ottimizzazione delle infrastrutture.

                Tra una zucchina e un peperone la crescita è del 18%

                Sebbene manchino dati specifici sull’impatto ambientale degli orti urbani, nel nostro Paese si sta assistendo a un crescente interesse e diffusione di pratiche agricole sostenibili. Come confermato dall’aumento del 18% degli orti urbani negli ultimi anni. Le regole e le tecniche agronomiche che promuovono la sostenibilità ambientale, come il ricorso al metodo biologico, l’utilizzo di materiali riciclati. E inoltre la limitazione di fertilizzanti e pesticidi, contribuiscono a ridurre l’impatto ambientale di queste coltivazioni fai da te.
                Inoltre, in Italia, l’orto urbano è spesso gestito dalle autorità locali o da associazioni di cittadini, il che favorisce la promozione di pratiche sostenibili e il rispetto delle normative ambientali. Le limitazioni rigide sull’uso di prodotti chimici e l’adozione di tecniche come il controllo biologico dei parassiti contribuiscono a ridurre l’impatto ambientale degli orti urbani.

                Compost e paciamatura per rispettare l’ambiente

                In tutte le città italiane ci sono limiti molto rigidi sui prodotti che si possono utilizzare negli orti urbani. Si coltiva solo con metodo biologico e sarebbero banditi fertilizzanti, pesticidi e diserbanti consentiti per legge nell’agricoltura tradizionale. Per l’autoconsumo come fertilizzante si dovrebbero utilizzare il compost (scarti organici) e pacciamature (un misto di foglie e stecchetti di albero). Un sistema che rispetta l’ambiente e la biodiversità vegetale molto più di una monocoltura intensiva.

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