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Angelina non vince, ma brilla all’Eurovision

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    Un po’ di delusione per la mancata vittoria di Angelina Mango, resta. Ma in una gara come L’Eurovision sono tanti i fattori che determinano il podio. E Nemo, il frontman della Svizzera, ha dimostrato di poter vincere con la sua The Code, un pezzo orecchiabile e carino.

    Nemo represents Switzerland performs during the dress rehearsal of the Grand final of the 68th edition of the Eurovision Song Contest (ESC) at Malmo Arena, in Malmo, Sweden, May 10, 2024. Photo: Sanjin Strukic/PIXSELL

    Bella, brava e spigliata. Angelina sul palco dell’Eurovision di Malmoe ha spaccato. Bella la canzone, bella la coreografia, grande voce. A differenza di tanti altri suoi colleghi non ha avuto bisogno di trovate coreografiche speciali per brillare. La potenza della voce cristallina ereditata da papà Pino Mango, ha interpretato una cumbia della noia che sembra fatta apposta per far ballare tutta l’Europa.

    Quello di quest’anno è stato un bel festival, con almeno una decina di canzoni capaci di contendersi la vittoria finale. L’esibizione di Angelina è stata accolta dall’ovazione della Malmoe Arena. Outfit nero brillante ed energia da vendere, la vincitrice di Sanremo è salita sul palco accompagnata dalle sue cinque ballerine.

    “Ho messo il peperoncino in valigia e ce l’ho al collo, anche se non si vede, ma ho capito che la fortuna non serve, ma serve amore e sono contenta di averne così tanto attorno”. Angelina Mango, a pochi minuti dall’inizio della finale dell’Eurovision Song Contest, dove rappresenta l’Italia con La Noia, risponde così in collegamento con il Tg1. “L’emozione più forte spero di provarla stasera, ma per ora sono stati gli sguardi delle persone del pubblico: mi hanno insegnato che la musica è una lingua e parla a tutti”, ha aggiunto la giovane cantante.

    La serata si è aperta con una sorpresa non proprio piacevole. La squalifica per non meglio precisati comportamenti violenti del cantante olandese Joost Klein nei confronti di un membro dello staff. Abbastanza gravi da richiedere l’intervento della polizia svedese, anche se dall’entourage del cantante di Europapa si parla in un comunicato di “esagerazione” e “sorpresa”.

    Inutile come nelle precedenti semifinali la presenza di Mara Maionchi, incapace non solo di dare quel pizzico di competenza e di verve in più, ma assolutamente molesta nel suo ridacchiare forzatamente e nel suo commentare a monosillabi liquidando con una banalità imbarazzante ogni canzone.

    Mentre dentro si pensava alla musica, fuori dall’Arena non sono mancati scontri di piazza e momenti di tensione. La leader ecologista svedese Greta Thunberg è tra i dimostranti arrestati oggi durante le proteste contro la partecipazione di Israele all’Eurovision. I manifestanti si sono concentrati di fronte l’ingresso dell’arena, scandendo lo slogan «vergogna» mentre il pubblico entrava, secondo quanto riferisce il giornale svedese ‘Aftonbladet’. 

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      Musica

      Sanremo cerca un nuovo partner (ma guai a far flop): addio Rai? Forse sì, forse no

      Via alla gara pubblica per il Festival di Sanremo 2026-2028: niente più assegnazioni dirette alla Rai, e una clausola anti ascolti bassi che fa tremare i polsi. Tra cifre milionarie, fiori da mandare in onda e targhe da posare, chi ci prova deve sapere che qui non si scherza. O forse sì.

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        Che Sanremo fosse una cosa seria lo sapevamo. Ma che diventasse anche un concorso a eliminazione diretta per broadcaster, forse no. E invece eccoci qui: dopo la storica sentenza del Tar Liguria dello scorso dicembre, il Comune di Sanremo si è visto costretto a fare quello che nessuno aveva mai fatto davvero in 74 anni di Festival: mettere il Festival all’asta.

        La Rai, da sempre regina indiscussa della kermesse, non ha più il monopolio, almeno per ora. E oggi è arrivata la pubblicazione della determine comunale con cui si apre la caccia al nuovo partner: un operatore economico, con canale generalista in chiaro, esperto in eventi nazionalpopolari e possibilmente capace di fare miracoli in prima serata. Perché? Perché se anche solo un’edizione fa flop, fuori dai piedi senza tanti complimenti.

        La tagliola anti flop

        È scritta nero su bianco, firmata dalla dirigente comunale Rita Ruffini e già sta facendo tremare più di una emittente: “Nel caso in cui una o più edizioni ottengano risultati d’ascolto inferiori di 15 punti rispetto alla media delle precedenti cinque edizioni, il contratto si straccia. Senza risarcimenti. Senza arrivederci. Senza neppure un mazzo di fiori”.

        Ora, mettiamola così: la media delle ultime cinque edizioni – tra l’epopea di Amadeus e il ritorno di Carlo Conti – è alle stelle, tra picchi record e share da capogiro. Mantenere quel livello è come chiedere a chi subentra a Messi di vincere il Pallone d’Oro il primo anno. E segnare anche di tacco.

        Chi può partecipare (e cosa deve fare)

        Il bando è chiaro: possono candidarsi solo operatori economici che trasmettono in chiaro a livello nazionale e che abbiano esperienza nell’organizzare eventi “di particolare rilevanza” – e no, la sagra del cinghiale di Roccapipirozzi non basta. Ci sarà una prima fase di selezione, con analisi dei progetti, seguita da una seconda fase negoziale, per discutere nel dettaglio la convenzione.

        E non basta “trasmettere le canzoni e via”: il futuro partner dovrà versare almeno 6 milioni e mezzo di euro al Comune, più l’1% su tutti i ricavi pubblicitari e quelli legati allo sfruttamento dei marchi. E non finisce qui.

        Tutto quello che il partner dovrà fare (oltre a sopravvivere)

        Chi si aggiudica il Festival dovrà:

        • Trasmettere Sanremoinfiore (sì, anche i carri fioriti);
        • Riprendere e mandare in onda almeno due manifestazioni extra, una delle quali d’estate;
        • Garantire la partecipazione dei due vincitori di Area Sanremo (quelli che tutti si dimenticano, ma guai a scordarseli);
        • Inserire l’Orchestra Sinfonica di Sanremo, senza farla finire in un angolo;
        • E organizzare ogni anno la posa della targa del vincitore in via Matteotti. Sì, quella cosa molto sobria che pare un premio alla carriera con sei ore di cerimonia sotto il sole di febbraio.

        Tutto questo, ovviamente, a spese proprie.

        Il Consiglio di Stato incombe

        E la Rai? Per ora tace, ma è tutt’altro che fuori gioco. Il 22 maggio, infatti, il Consiglio di Stato si esprimerà sull’appello presentato dalla stessa Rai (insieme al Comune) contro la sentenza del Tar. Se i giudici dovessero ribaltare tutto, si potrebbe tornare al vecchio amore. Se invece confermassero la decisione, la partita si fa seria: chi vuole Sanremo, se lo deve conquistare. E tenerlo stretto.

        Il sindaco Mager: “È il nostro Super Bowl”

        A raccontare la svolta è il sindaco di Sanremo, Alessandro Mager, che rivendica con orgoglio il lavoro fatto: “Per la prima volta, abbiamo aperto la procedura per l’evento mediatico più importante d’Italia. I nostri uffici hanno lavorato duramente, e questa manifestazione di interesse rispecchia le nostre aspettative di crescita”.

        Tradotto: se volete il Festival, non basta mandare una mail con la scaletta. Serve visione, soldi, esperienza, e una buona assicurazione sugli ascolti. Perché qui si fa la storia (o si finisce nelle retrovie dell’Auditel).

        La vera domanda

        E ora? Chi si farà avanti davvero? Mediaset? Warner Bros? Amazon Prime? Qualche pazzo visionario con troppi soldi e nostalgia per Pippo Baudo?

        Qualcuno che abbia coraggio da vendere, nervi saldi e una spiccata tendenza all’eroismo. Perché Sanremo è come un animale mitologico: se lo accarezzi bene, ti fa vincere tutto. Ma se sbagli mossa, ti mangia vivo. E in diretta.

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          Musica

          Vasco Rossi, autoritratto ironico di un “tossico indipendente”

          Dopo l’ultima impresa estiva dei concerti sold out a Milano, nel catino di San Siro, si torna a parlare del rocker di Zocca per un aspetto che lo accompagna da sempre: il suo rapporto con la droga. Lui ne approfitta per fare un excursus, sul filo dell’ironia, di una vita “al massimo”.

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            Vasco Rossi non ama particolarmente le interviste e, di conseguenza, ne concede di rado. Preferendo il dialogo diretto e senza filtri instaurabile con il suo “popolo” attraverso la sua pagina Facebook. Nonostante l’età quello di vasco è un uso intelligente e creativo del mezzo, sempre presente con video, foto ed anticipazioni varie.

            La prima volta negli stadi, ignaro di quello che gli avrebbe riservato la fama

            Col passato ha un rapporto sano, almeno così parrebbe: lucidi ricordi senza sciocche nostalgie, ma con il desiderio di crescere, anche da eventuali errori e ingenuità. Le date di qualche mese fa sono, comunque, ancora motivo di riflessione: “Sono passati 24 anni dalla prima volta che ho messo piede in uno stadio da protagonista: era il 1990 e lo stadio era, allora come oggi, il San Siro di Milano. A quei tempi, gli stadi li facevano solo gli stranieri, noi italiani suonavamo nelle grandi discoteche o alle feste dell’Unità. Alla fine degli anni Ottanta ricordo che feci 15 mila persone a Reggio Emilia. Pensavo di aver raggiunto il massimo”. E’ chiaro che ai tempi non si sarebbe neanche potuto lontanamente immaginare il ruolo che oggi tutti gli riconoscono: il primo rocker d’Italia!

            Il matrimonio con la sua Laura

            Anche se il tempo, è quasi sciocco ricordarlo, ti cambia e il “Blasco” è un uomo diverso, rispetto a quegli anni. Col tempo s’è calmato è un certo gusto per l’introspezione ha preso il sopravvento, aspetto che si evidenzia anche nelle sue canzoni più recenti. Sicuramente un ruolo importante su tutto questo l’ha giocato il matrimonio con Laura Schmidt, sul quale scherza: “La fede non la porto, ma solo perché ho il terrore degli anelli”.

            Una fobia che è legata ad un racconto paterno

            Un dettaglio che però, non lo sanno in molti, è legato ad un ricconto che gli fece suo padre. “Mi disse che un tizio si era strappato un dito saltando giù da un camion perché l’anello era rimasto impigliato da qualche parte. Ma, comunque, la fede la porto sempre con me in una borsina, è il mio portafortuna”.

            Il suo rapporto con le “sostanze”

            Con 3 milioni di fan che lo idolatrano e che per lui sono in grado di fare “pazzie”, il rocker può vanntare una sorta di esercito personale e fedelissimo, paragonabile ad un movimento politico. Già… la politica, sulla quale ha idee precise: “In Italia bisognerebbe cambiare praticamente tutto. Intanto la burocrazia: farraginosa, costosa e inefficiente. E poi la giustizia, con processi troppo lenti”. Non si reputa certo un militante in materia: “La politica o la fai o stai zitto, perché è lo stesso che discutere di calcio davanti alla Tv: non serve a niente, visto che l’allenatore non siamo né io né lei. E poi meglio cambiar discorso sennò finisco nei guai. Già l’estrema sinistra mi odia… ma io mi ritengo un artista libero e indipendente”.

            Marco Pannella era il mio alter ego politico

            Pochi giorni fa la città di Torino ha deciso di omaggiare il grande Marco Pannella dedicandogli un viale. Lui commenta: “Un’idea straordinaria. Era il mio alter ego politico, un uomo sempre in contatto con la gente. Grazie a lui abbiamo ottenuto diritti civili fondamentali”. Il viale alberato di circa 300 metri, recentemente ristrutturata, si trova in una zona simbolica del centro storico di Torino, tra via Garibaldi e via Cernaia, vicina ai luoghi delle prime sedi del Partito Radicale negli anni ’70 e all’obelisco dedicato alle Leggi Siccardi del 1853, emblema della laicità del nostro Stato.

            Gli insulti sul web e la sua risposta intelligente

            Una volta Vasco trovò sotto ad uno dei suoi video sulla piattaforma YouTubeche diceva: “Spero che ti venga un ictus, vecchio drogato di merda”. Dopo una notte di turbamento, grazie anche alla sua ironia, rispose: “Vecchio, beh, non posso certo dire di essere giovane. Drogato lo ero vent’anni fa, se lo ero, perché sono sempre stato un tossico indipendente, nel senso che l’eroina non l’ho mai toccata. Diciamo che ho fatto le mie esperienze, non me ne vanto, ma neanche me ne vergogno. Quanto all’ictus, anch’io spero che mi venga”.

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              Marco Carta si confessa: «Dopo l’accusa di furto non uscivo più di casa, ho scoperto che mio padre aveva delle dipendenze»

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                Marco Carta si è aperto come non mai nel salotto di Verissimo. Ospite di Silvia Toffanin, l’ex vincitore di Amici ha ripercorso gli alti e bassi della sua vita, dai successi musicali alle profonde cicatrici personali. Reduce dal San Marino Song Contest, Carta ha spiegato come oggi sia tornato a sorridere grazie a un nuovo amore e a una ritrovata serenità, nonostante il peso di un passato difficile.

                L’amore con Luca e la rinascita personale

                «La vita sentimentale va molto bene», confessa Carta, lasciandosi andare a un sorriso. Dopo la fine della relazione con Sirio Campedelli nel 2022, il cantante cagliaritano ha trovato la felicità accanto a Luca: «È un raggio di sole per me, sono pieno di nuova linfa», ha detto. Un legame che arriva in un momento di rinascita personale e professionale. La partecipazione al contest musicale di San Marino lo ha visto salire di nuovo su un palco importante, emozionato ma determinato: «Era un’occasione per mettermi in gioco, e ne sono felice», racconta.

                L’ombra dell’accusa di furto: «Ho avuto paura di uscire»

                Marco però non nasconde la ferita ancora aperta di un periodo difficile: l’accusa di furto nel 2019 alla Rinascente di Milano, che gli ha cambiato la vita. «Sono stato assolto, ma l’allarme mediatico è stato enorme», spiega. «Quando l’assoluzione è arrivata, molti erano disorientati, ma io mi sono sentito solo e giudicato. Per settimane non uscivo di casa, avevo paura di ciò che avrebbero pensato gli altri». Una vicenda che ha rallentato la sua carriera e lo ha messo davanti al lato più spietato dei social network: «Sui social si esagera, la calunnia è pesante da gestire. Ora però è passato tutto e voglio solo far ascoltare la mia voce».

                Il dramma familiare: «Non ho mai conosciuto mio padre»

                Tra i passaggi più toccanti dell’intervista, Marco Carta ha raccontato il dolore per un padre mai conosciuto: «L’ho odiato per anni, non accettavo l’idea che non volesse sapere nulla di me», confessa. La scomparsa della madre, avvenuta quando era bambino, ha amplificato quel senso di solitudine. «Ero geloso dei miei compagni che avevano entrambi i genitori. Io no».

                Solo dopo la morte del padre, Marco ha scoperto una verità che ha cambiato la sua visione: «Aveva delle dipendenze che lo hanno portato lontano da me. Sapevo che era morto di leucemia, ma scoprire dei suoi problemi mi ha fatto smettere di odiarlo. Ho capito che non era lucido per potermi crescere». Un perdono tardivo ma necessario: «Ho fatto pace con i demoni dentro di me e anche con lui».

                «Lo abbraccerei»

                Alla domanda su cosa direbbe al padre oggi, Marco risponde con sincerità disarmante: «All’inizio qualcosa di brutto. Ma poi lo abbraccerei, perché ne ho bisogno. Ho sempre desiderato l’affetto paterno e non l’ho mai avuto». Un racconto che commuove e che mostra un Marco Carta maturo e più forte, deciso a guardare al futuro con un sorriso. E, questa volta, senza più paura di uscire di casa.

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