Musica
Quella notte che Milano diventò la Capitale del Reggae

Il 27 giugno 1980 lo stadio di San Siro a Milano fu testimone di uno degli eventi musicali più straordinari della storia italiana. Circa 90.000 persone provenienti da ogni angolo d’Italia si riunirono per assistere al concerto di Bob Marley. La folla, carica di energia elettrizzante, anticipava con fervore l’arrivo dell’icona reggae, in un momento storico in cui la musica di Marley rappresentava un potente simbolo di resistenza e speranza.
Esibizioni indimenticabili
Il concerto iniziò con le esibizioni di Roberto Ciotti e Pino Daniele, che prepararono il terreno per l’entrata trionfale di Marley sul palco. Quando finalmente Marley salì sul palco, la folla esplose in un tripudio di gioia. Con la sua presenza carismatica e la voce inconfondibile, Marley incantò il pubblico con brani iconici come One Love, Survival, Jammin e No Woman No Cry. Ogni canzone trasmetteva messaggi potenti di unità, resistenza e speranza, avvolgendo gli spettatori in un’esperienza musicale e spirituale senza precedenti.
Vibrazioni positive e partecipazione collettiva
Una notte magica resa ancora più speciale dalla luce di migliaia di accendini accesi sugli spalti, in grado di creare un’atmosfera suggestiva e partecipativa. Questo gesto simbolico rappresentava l’impegno e la connessione tra Marley e il pubblico, uniti in un’esperienza di vibrazioni positive. Il concerto non fu solo una esibizione artistica… ma un rito partecipativo di massa in cui le persone ballavano, riflettevano e si emozionavano, sentendosi parte di un movimento di resistenza contro le ingiustizie sociali. Col senno di poi, si può considerare come l’ltimo atto epico di un sogno di movimento che aveva infiammato di rivoluzione il mondo giovanile. Il sipario più degno che si potesse immaginare, anche se in quel momento nessuno era in grado di capirlo…
L’omaggio di Antonello Venditti a Marley
Quel concerto ha avuto un impatto così profondo sulla cultura italiana che, anni dopo,Antonello Venditti gli ha reso omaggio nella sua canzone Pietro e Cinzia, nel quale il cantautore romano fa riferimento a Marley e alla sua influenza culturale.
L’Eredità di Marley
Il concerto di Bob Marley a San Siro ha segnato uno degli ultimi grandi eventi della sua carriera prima della sua prematura scomparsa nel 1981. Lasciando un segno indelebile nei cuori di molti, Marley ha consolidato la sua eredità come icona di pace, uguaglianza e resistenza. La sua musica e il suo messaggio continuano a ispirare e influenzare generazioni di persone in tutto il mondo, promuovendo un impegno duraturo per un mondo più giusto e equo.
INSTAGRAM.COM/LACITYMAG
Musica
La figlia di David Bowie debutta in musica, in nome del padre
Lexi Jones, figlia di David Bowie e Iman, lancia il suo primo album “Xandri”, un mix tra pop, indie ed elettronica. Un’opera che fonde sperimentazione, introspezione e ricordi del padre. Ecco tutto quello che c’è da sapere sul debutto musicale di questa giovane artista.

Dopo mesi di indizi pubblicati su Instagram, tra teaser musicali e video d’infanzia, Lexi Jones ha pubblicato il suo primo album in studio, intitolato Xandri. La figlia ventiquattrenne di David Bowie e Iman Abdulmajid entra così ufficialmente nel mondo della musica, proponendo un sound originale che unisce pop, indie ed elettronica. L’album, composto da 12 tracce, rappresenta un viaggio emotivo e artistico, tra atmosfere oniriche e una forte carica personale. La copertina dell’album, che mostra due volti uniti alla stessa testa ma in tensione verso la separazione, simboleggia il dualismo tra identità e distacco.
Il significato del titolo
Il titolo dell’album non è casuale. Xandri deriva dalla parola greca per “difensore dell’umanità”, un riferimento che suggerisce la volontà di Lexi di raccontare esperienze intime e universali al tempo stesso. Il suo lavoro fonde sperimentazione sonora con un forte senso di nostalgia, rendendo omaggio all’eredità artistica del padre pur tracciando una strada autonoma.
Il ricordo di David Bowie
Nel 2022, Lexi ha condiviso su Instagram un toccante video in cui, da bambina, canta Somewhere Over the Rainbow seduta in grembo a suo padre. Nella didascalia ha scritto: “Il mio Mago di Oz”, un tributo affettuoso al legame indissolubile con Bowie. Nata il 15 agosto 2000, Lexi è l’unica figlia nata dal matrimonio tra David Bowie e Iman, un’unione iniziata a Firenze nel 1992 e durata fino alla scomparsa del cantante nel 2016, a causa di un tumore al fegato.
Un percorso segnato dal dolore
Nel 2024, Lexi ha pubblicato un testo personale sui social in cui racconta la difficile elaborazione del lutto: “Ho confuso la vita con la sopravvivenza quotidiana. Nel tentativo di colmare un vuoto gigantesco mi sono lasciata travolgere da tossine e veleni”. Cresciuta a New York, oggi vive a Los Angeles, dove lavora come modella e si dedica a musica e arte visiva. La perdita del padre ha avuto un impatto profondo: “Ho ferito le persone che amavo per far provare agli altri almeno una parte del mio dolore”, ha confessato.
Una nuova voce da seguire
Con questo disco, Lexi Jones dimostra di avere tutte le carte in regola per ritagliarsi uno spazio autentico nel panorama musicale contemporaneo. Un debutto ricco di significati, tra memoria, crescita e ricerca di sé. La figlia del Duca Bianco è pronta a brillare di luce propria.
Musica
Canta il silicio: quando l’intelligenza artificiale scrive canzoni (e le fa pure meglio di noi)
Le macchine non solo parlano: ora cantano, compongono e ti fanno pure il jingle. Mentre artisti e autori si dividono tra entusiasmo e panico, Spotify inizia a popolarsi di canzoni nate da prompt e algoritmi.

Un tempo bastavano una chitarra, un cuore spezzato e un bicchiere di vino per scrivere una canzone. Oggi basta una riga di testo e un’intelligenza artificiale connessa a un generatore musicale. Scrivi qui: “Vorrei una ballata indie sull’abbandono, con un ritornello che spacca”. Et voilà, parte il brano. Accordi, armonia, testo, voce sintetica. In meno tempo di quanto ti serve per trovare il plettro.
Le AI generative musicali stanno facendo irruzione nel mondo della musica con lo stesso tatto con cui un dj entra in chiesa. Strumenti come Suno, Udio, Mubert o Boomy consentono a chiunque – anche al più stonato dei bipedi – di creare canzoni da zero. Senza sapere nulla di teoria musicale, senza suonare uno strumento, senza nemmeno alzarsi dalla sedia. E il risultato? Spesso sorprendentemente credibile. Altre volte, disturbante. Ma comunque virale.
Su Spotify esistono già migliaia di brani pubblicati da “artisti” che non esistono: sono stati scritti da un algoritmo e caricati da utenti che sperano nel miracolo dell’algoritmo. Alcuni incassano anche. Perché alla fine, il pubblico spesso non distingue – e forse neanche vuole farlo – tra un brano umano e uno sintetico, purché sia catchy.
Il punto è: chi sta tremando davvero sono autori, compositori, musicisti, arrangiatori. Gente che ha studiato, che ha fatto gavetta nei locali con i neon bruciati, che ha imparato a mettere in rima dolore e melodia. Per loro, vedere un codice Python sfornare una ballad struggente in 30 secondi è un pugno nello stomaco. O forse una pugnalata nel portafogli.
C’è chi urla al sacrilegio: “La musica è anima, non codice”. C’è chi invece si adegua e inizia a usare l’AI come co-autore silenzioso, magari per superare il blocco creativo o per generare bozze da sistemare a mano. E poi ci sono i produttori che, da sempre attenti al rapporto qualità/prezzo, iniziano a chiedersi se davvero servano sei autori per un ritornello che dice ‘baby baby baby’.
Cosa ci aspetta? Album interi generati in pochi minuti? Festival con cantanti sintetici? Jingle pubblicitari fatti da IA in stile trap-melodico? Tutto è possibile. E in parte sta già accadendo.
Nel frattempo, la musica continua. Umana o artificiale, purché funzioni.
E magari – chissà – fra poco anche l’AI scoprirà quanto è difficile scrivere una canzone che dica davvero qualcosa. Ma se ci riesce prima di noi, forse un paio di domande dovremmo farcele.
Musica
Dimmi che canzone ascolti d’estate e ti dirò chi sei (spoiler: se canti “Vamos a la playa” sei irrimediabilmente vintage)
Dall’invasione reggaeton ai nostalgici degli anni ’80, passando per chi ascolta Battisti come se fosse un mantra zen, la musica estiva disegna profili psicologici più precisi di un test della personalità. E sì, c’è una ragione scientifica se il cervello ama i tormentoni ripetitivi (anche quando tu fingi di odiarli).

Che estate sarebbe senza una canzone da canticchiare – o subire – fino allo sfinimento? Che ti piaccia o no, la tua colonna sonora balneare dice molto di te. Non è solo questione di gusti musicali: è proprio un identikit psicologico da playlist. Perché in fondo, dimmi cosa ascolti sotto l’ombrellone e ti dirò chi sei. E quanto sei disposto a farti compatire.
Cominciamo da quelli che mettono “Vamos a la playa” appena poggiano l’asciugamano. Sono i nostalgici incalliti. Cresciuti a Festivalbar e cocomeri in spiaggia, indossano con orgoglio infradito fluo e credono ancora che Righeira sia uno stato mentale. Li riconosci perché sorridono da soli mentre aprono l’ombrellone: stanno già ascoltando la loro hit nel cervello.
Poi ci sono i devoti del reggaeton. Per loro ogni estate ha un solo suono: quello della cassa dritta che batte come un cuore impazzito. Ascoltano Bad Bunny, Peso Pluma o chiunque abbia una vocale accentata nel nome. Ballano anche se stanno facendo la fila per un ghiacciolo. E hanno una convinzione incrollabile: se la canzone non ti fa venire voglia di muovere il bacino, non è estate.
All’opposto ci sono gli indie-snob del lettino, cuffie grandi, sguardo assorto, e playlist che spazia tra artisti islandesi e remix ambient di canzoni che nessuno conosce. D’estate, fingono di odiare i tormentoni. Ma poi li becchi, a settembre, che canticchiano “Italodisco” sotto la doccia.
E che dire dei battistiani da spiaggia? Sguardo nostalgico verso il mare, leggono Pavese mentre “La canzone del sole” fa da sottofondo. Non cercano il tormentone, cercano l’assoluto. Ma se gli parte “E penso a te”, non rispondono più di loro stessi.
Infine ci sei tu, che ti sei detto “quest’anno cambio playlist” e poi ti sei ritrovato per l’ottava estate di fila a battere il piede con “Despacito”. Perché sì, la colpa è del cervello: in estate la corteccia uditiva si “rilassa” e preferisce suoni semplici, ripetitivi, prevedibili. Il caldo appanna le sinapsi, e i tormentoni sono come granite musicali: dolci, freddi, sempre uguali. E dannatamente irresistibili.
Quindi la prossima volta che senti partire l’ennesimo “oh oh oh” sulla spiaggia, non arrabbiarti. È la tua amigdala che balla.
-
Gossip1 anno fa
Elisabetta Canalis, che Sex bomb! è suo il primo topless del 2024 (GALLERY SENZA CENSURA!)
-
Cronaca Nera12 mesi fa
Bossetti è innocente? Ecco tutti i lati deboli dell’accusa
-
Sex and La City1 anno fa
Dick Rating: che voto mi dai se te lo posto?
-
Speciale Olimpiadi 202412 mesi fa
Fact checking su Imane Khelif, la pugile al centro delle polemiche. Davvero è trans?
-
Speciale Grande Fratello10 mesi fa
Helena Prestes, chi è la concorrente vip del Grande Fratello? Età, carriera, vita privata e curiosità
-
Speciale Grande Fratello10 mesi fa
Shaila del Grande Fratello: balzi da “Gatta” nei programmi Mediaset
-
Gossip1 anno fa
È crisi tra Stefano Rosso e Francesca Chillemi? Colpa di Can?
-
Gossip12 mesi fa
La De Filippi beccata con lui: la strana coppia a cavallo si rilassa in vacanza