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Spettacolo

Niente Cavallino per Justin Bieber e Kim Kardashian

La Ferrari non fa eccezioni: Justin Bieber e Kim Kardashian bloccati dall’acquisto di modelli esclusivi a causa di violazioni delle regole del marchio. Nonostante in passato abbiano posseduto Ferrari, entrambi hanno infranto le linee guida dell’azienda, che richiede ai proprietari di rispettare rigorosamente il codice etico e le norme di proprietà per mantenere il prestigio e l’integrità del marchio.

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    La Ferrari ha dimostrato che nemmeno le celebrità più famose possono sfuggire alle sue rigide regole. Justin Bieber e Kim Kardashian sono stati limitati nell’acquisto di determinati modelli di Ferrari a causa di specifiche violazioni delle regole stabilite dall’azienda.

    Nonostante siano stati visti in passato a bordo di modelli Ferrari, entrambi non hanno rispettato le linee guida del produttore. L’azienda sottolinea l’importanza che i propri proprietari rappresentino il marchio con decoro e rispetto, mantenendo l’autenticità e il valore dei veicoli.

    Justin Bieber e la Ferrari: cosa è successo?

    Amid swirling rumors, fans are wondering whether Ferrari has banned Justin Bieber. Speculation has grown over recent reports suggesting that the car manufacturer might have banned Bieber along with a few other celebrities.

    Ecco cosa abbiamo scoperto sul caso di Justin Bieber e la Ferrari.

    Perché Justin Bieber è stato bloccato dalla Ferrari?

    Ferrari ha chiarito che non ha bandito Justin Bieber. Tuttavia, l’iconico produttore di auto ha precisato che non gli permetterà di acquistare modelli esclusivi e edizioni speciali. Bieber potrà solo acquistare modelli di produzione di serie. Questo lo pone nella stessa categoria di altre celebrità come Kim Kardashian, Tyga, il defunto Preston Henn e 50 Cent.

    Il motivo di questa decisione risale al fatto che Bieber non ha rispettato il codice etico e i termini di proprietà della Ferrari. Dopo aver acquistato una Ferrari 458 Italia con esterno bianco e cerchioni bianchi, il cantante ha apportato modifiche drastiche al veicolo, violando le linee guida di Ferrari che vietano cambiamenti significativi come verniciature stravaganti e manomissioni al motore. Inoltre, Bieber ha tentato di mettere all’asta l’auto senza informare Ferrari, un’ulteriore violazione delle regole che stabiliscono che i clienti non possono vendere le auto entro il primo anno di possesso senza il permesso della casa automobilistica.

    Kim Kardashian e la Ferrari: una storia simile

    Anche Kim Kardashian non ha rispettato le regole della Ferrari. La socialite non ha prestato molta attenzione alla sua Ferrari, che era un regalo di nozze, preferendo ora guidare un Tesla Cybertruck.

    La Ferrari è inflessibile sulle sue regole e non fa eccezioni nemmeno per le star di fama mondiale. La loro politica mira a mantenere il prestigio e l’integrità del marchio, assicurandosi che ogni proprietario rispetti le norme stabilite.

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      Cinema

      Sergio Rubini: sono stato uno scatenato “sciupafemmine”

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        Le fidanzate sono sempre state una specie di “ossessione” per Sergio Rubini. Il cinema non ha rappresentato quindi il suo unico amore. Noi siamo abituati a conoscerlo come talentuoso regista e attore, noto per le sue interpretazioni intense e appassionate. Con una carriera ricca di successi – a partire dall’emozionante esordio con La stazione – , Rubini ha dimostrato di essere un artista versatile e apprezzato dal pubblico. La sua capacità di trasmettere emozioni autentiche lo rende un vero e proprio punto di riferimento nel panorama cinematografico italiano. Con un preciso “debole” però…

        Il supporto dell’analisi

        Nato in provincia di Bari nel 1959, dopo la separazione dalla collega Margherita Buy ha cominciato a collezionare fidanzate. Con la Buy il matrimonio è stato intenso ma breve, dal 19921 al 1993. Successivamente, fino all’età di 38 anni, ha combinato davvero parecchi guai. A 39 anni però ha incontrato Carla Cavalluzzi, che successivamente ha sposato, Un cambiamento avvenuto anche attraverso un percorso di analisi, un viaggio introspettivo che gli ha permesso di vedere la sua vita e i rapporti con l’altro sesso sotto un’altra prospettiva.

        Bulimia d’amore

        Rubini racconta: «Prima ero alla ricerca dell’amore. A mia madre da piccolo chiedevo: sono bello? Lei: sei un tipo. E mi distruggevo. Andavo a caccia di conferme. Mi innamoravo alle 10 del mattino, il pomeriggio mi annoiavo, la sera fuggivo. Non fingevo mai, ci credevo… Ho fatto grandi casini, ho ferito e mi sono ferito».

        Predatore o preda?

        Parlando di lavoro e donne, viene facile la citazione col caso delle accuse di molestie mosse al collega (e amico) Gerard Depardieu. Sergio sulla questione appare molto tranquillo: «Credo nella sua innocenza. Gérard può mettere in imbarazzo, è volgare ma in senso mozartiano, come Mozart quando diceva cacca-cacca. Non è l’attore che in accappatoio aspetta l’attrice in camerino, non è un orco, è dolce e fragile. Secondo me è più preda delle donne che predatore».

        L’eredità del padre ferroviere

        Rileggendo l’evoluzione della sua vita attraverso la figura del padre, il regista insegue il filo dei ricordi e dice: «Mio padre e mio nonno erano ferrovieri. E i ferrovieri una volta erano tutti socialisti. Forse perché viaggiando erano aperti al mondo e alle sue diversità. La stazione è il mio primo film e il mio primo luogo. Mio papà era frustrato, voleva fare il pittore ma non gli fu permesso. Per questo non voleva che andassi da lui in stazione. Non voleva che mi sentissi costretto a fare il suo mestiere. Da lui ho ereditato tantissime cose. Con i suoi amici gestiva una Filodrammatica e io, pur se con sospetto, accettai di farne parte. Tutto ciò che sono diventato lo devo a quelle serate».

        Mai completamente soddisfatto

        «Ho un’ansia del fare che mi porto dentro. Ma ho la sensazione che il meglio di me lo devo ancora dare. Quel che mi resta da fare è tutto quel che non ho ancora fatto».

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          Televisione

          Affari Tuoi, chi è davvero Gennarino: il vero nome, l’età e i segreti del cane che ruba la scena a Stefano De Martino

          Il cane di “Affari Tuoi” ha dieci anni, viene da Roma ma è cresciuto in Toscana, e ha già lavorato in film, pubblicità e serie tv. Tutto merito dell’intuizione di Stefano De Martino.

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            È piccolo, veloce e irresistibile. Ogni sera entra in scena ad “Affari Tuoi” e conquista il pubblico con un semplice scodinzolio. Si chiama Gennarino. O almeno così lo chiama Stefano De Martino. Ma il vero nome del cane più famoso del preserale Rai è Seven. E no, non è un attore improvvisato: è una vera e propria star.

            A svelare i retroscena della vita del cagnolino è stato il suo addestratore, Gianni Orlandi, che a Il Tirreno ha raccontato la storia dietro le quinte. Seven è un Jack Russell romano di dieci anni, ma ha fatto carriera in Toscana, dove Orlandi lo ha addestrato fin da piccolo. È lui ad avergli insegnato a restare fermo sotto i riflettori, a rispondere ai segnali, a muoversi sul palco senza sbagliare un colpo. E quando la Rai ha cercato un cane per dare un tocco ironico e affettuoso al programma, è stato proprio Stefano De Martino a volerlo.

            Il nome “Gennarino” è nato quasi per gioco, per dare un’impronta partenopea a un compagno di scena che ormai è parte integrante dello show. “Con Stefano è stato amore a prima vista – racconta Orlandi – e da allora non si sono più lasciati”. Ogni puntata, Seven arriva negli studi Rai con la sua famiglia romana e si prepara a entrare in scena come un vero attore. Non ha battute, ma è sempre al centro dell’attenzione.

            E la tv non è certo una novità per lui. Seven ha un curriculum che farebbe invidia a molti: ha recitato nella serie Rocco Schiavone, è comparso nei programmi Citofonare Rai 2 e Edicola Fiore, e ha preso parte a spot per Balocco, Poste Italiane, Ikea, Tim, Fonzies e persino Nike. E non finisce qui: lo troviamo anche nei film Nemiche per la pelle e Natale a Londra, con Christian De Sica.

            Insomma, Gennarino–Seven non è solo una mascotte, ma un veterano del piccolo e grande schermo. Un cane che ha attraversato set, città, pubblicità e palchi. E che ora, grazie alla sua simpatia naturale e all’intesa con De Martino, è diventato il simbolo di un programma che ogni sera tiene compagnia a milioni di italiani.

            E pensare che tutto è iniziato da un’idea: mettere un cane in studio. Ma non uno qualunque. Proprio lui.

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              Musica

              I Watussi di Vianello… e quella n-word, politicamente scorretta

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                Edoardo Vianello il cantante ha parlato di quella n-word (“negro”, ndr) che non ha intenzione di togliere dal testo della sua epocale hit. Un termine che in molti identificano come scorretto e offensivo, anche se la canzone fu un geniale tentativo di ambeintare un hully gully nella profonda Africa, creando I Watussi.

                Non vuole modificarne il testo

                La sua teoria per certi versi non fa una grinza: «Non demoliamo mica il Colosseo perché ci hanno ammazzato i cristiani. Quando l’abbiamo scritta era lecito chiamarli come li abbiamo chiamati, quindi non ho nessuna intenzione di cantarla diversamente. I Watussi rimangono come sono nati: cambio il testo solo se nello stesso giorno demoliscono pure il Colosseo».

                Spirito critico

                Così si esprime Vianello, 86enne che nella sua epoca di successo veniva identificato come il re dei tormentoni estivi. Sulla musica attuale dice «Non mi piace, non distinguo i vari interpreti perché mi sembra cantino tutti allo stesso modo. Mi piace molto però Annalisa, ha un genere di canzoni che mi sarebbe piaciuto scrivere, frizzanti e divertenti. Invece non sopporto Giuliano Sangiorgi che ha rovinato una canzone come Meraviglioso con un’interpretazione totalmente sguaiata. Ho avuto l’occasione di dirglielo, chissà perché mi ha guardato male… uno deve cantare con gusto per prima cosa».

                Quando non c’era ancora l’Ariston

                Con il medesimo sarcasmo parla di Sanremo, «qarla di quella cosa che si svolge in provincia di Imperia? Il mio ultimo festival è del 1967, al casinò, non conosco nemmeno il teatro Ariston. Sono un timido, sul palco prima di prendere contatto bene con il pubblico ho bisogno di un quarto d’ora, a Sanremo quel tempo non te lo danno. Il mio Sanremo sono stati i jukebox».

                Il concetto di “tormentone”

                Per arrivare “a tormentare” le canozoni devono avere caratteristiche precise: l’idea presente nel testo, facile ma intrigante, la semplicità della musica, e una certa orecchiabilità sofisticata. In modo da sopravvivere anche ai rivolgimenti sociali e politici: «La situazione politica e sociale è cambiata nel ‘68, mi sono ritrovato estraneo perché le mie canzoni non le volevano ascoltare, mi fischiavano, per un bel pezzo ho smesso di cantare perché non mi dava più gusto. Poi negli anni ’80 c’è stato un movimento di recupero dei ’60 e mi sono subito accodato: ho fatto il testimonial delle mie canzoni».

                Prima delle sponsorizzazioni social

                Lui fu anchel’antesignano delle sponsorizzazioni, che oggi regolano gli algoritmi dei social: «Accompagnavo i miei amici nelle spiagge e nei bar più frequentati e facevo inserire le 50 lire che davano diritto a tre canzoni, ovviamente facevo selezionare i miei pezzi. Io non mi facevo vedere per paura di essere riconosciuto e poi scappavo come un ladro. Evidentemente è una strategia che ha dato i suoi frutti, alla fine le canzoni sono penetrate definitivamente nei cervelli delle persone».

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