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Televisione

Chi vuol essere americano? Il reality distopico per migranti della Barbie della Sicurezza USA

Negli Stati Uniti prende forma un’idea che sembra uscita da un episodio di Black Mirror: un reality show in cui i migranti si sfidano per ottenere la cittadinanza americana. La proposta, avanzata dal produttore Rob Worsoff e sostenuta dalla discussa segretaria alla Sicurezza Kristi Noem, prevede prove tra miniere d’oro e catene di montaggio. Un format tanto surreale quanto reale, che fa discutere l’America (e non solo). Ecco cosa sappiamo su “The American”, il contest che trasforma il sogno americano in una sfida televisiva.

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    Nel 2025, l’immigrazione negli Stati Uniti non si affronta solo con riforme o decreti. Si può risolvere… con un reality. Sì, perché Kristi Noem, attuale responsabile del Dipartimento per la Sicurezza Interna, starebbe valutando seriamente la produzione di un programma televisivo competitivo dove gli immigrati si sfidano per ottenere la cittadinanza. Il titolo? The American, un format che ha già sollevato un’ondata di critiche.

    Ispirazione tra Duck Dynasty e Hunger Games

    A proporre il progetto è stato Rob Worsoff, produttore canadese noto per Duck Dynasty, show cult ambientato tra paludi e fucili. La nuova idea, però, è ben più controversa: un mix tra Giochi senza frontiere e Hunger Games. I migranti verranno divisi in squadre e sottoposti a prove di resistenza, abilità e lavoro manuale. La vittoria? L’accesso al sogno americano. La sconfitta? Non si sa: nessuna deportazione, dicono, ma il destino degli eliminati resta vago.

    Oro, catene di montaggio e prove da reality estremo

    Tra gli episodi già descritti nel progetto spiccano due location simboliche. A San Francisco, i concorrenti dovranno affrontare una “corsa all’oro” in una vera miniera. A Detroit, invece, verranno impiegati per assemblare il telaio di un’auto Ford. Manca solo una sfida alla Silicon Valley, magari in una fabbrica Tesla (sponsor non ancora ufficiale, ma mai dire mai).

    Kristi Noem tra social, Rolex e polemiche

    Kristi Noem, soprannominata dai detrattori la “Barbie della Sicurezza”, è nota per le sue pose da sceriffo davanti ai detenuti e per i suoi post patinati sui social. L’ultima apparizione? Davanti a carcerati in Salvador, con un Rolex da 50.000 dollari al polso. Anche se non ha confermato pubblicamente il suo coinvolgimento nel reality, secondo fonti interne sarebbe entusiasta del progetto. E non è escluso che appaia anche in video.

    Un reality che divide (e fa tremare)

    Se da una parte il format viene presentato come una “celebrazione dello spirito americano”, dall’altra suscita timori per la banalizzazione della condizione dei migranti. I critici lo vedono come una deriva cinica e pericolosa, dove chi cerca una vita migliore finisce protagonista inconsapevole di uno show televisivo.

    L’America dello spettacolo è già realtà?

    The American non è ancora ufficiale, ma è già simbolo di un’America dove politica e spettacolo si fondono pericolosamente. Dove il sogno americano passa dalla TV prima ancora che dalla legge. E dove l’immigrazione non è più un diritto da difendere, ma un format da vendere.

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      Televisione

      Sigfrido Ranucci: «Ritrovai l’intervista a Borsellino su mafia e Berlusconi. Ma non andò mai in onda»

      Durante il programma “Un alieno in patria” su Rai 3, Ranucci racconta il caso dell’intervista dimenticata a Paolo Borsellino: una registrazione mai trasmessa in tv in cui il giudice parlava dei fratelli Dell’Utri, di Mangano e di un Berlusconi “interessante per la mafia”. Correva l’anno 2000.

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        «C’era un’intervista a Paolo Borsellino, realizzata da due giornalisti francesi, che nessuno aveva mai visto in tv. Un documento straordinario. Eppure non andò in onda». A raccontarlo, davanti alle telecamere di Rai 3, è Sigfrido Ranucci, volto storico del giornalismo d’inchiesta italiano e conduttore di Report. L’occasione è il programma Un alieno in patria, condotto da Peter Gomez. Il racconto che ne viene fuori è un frammento potente della nostra memoria collettiva: quella che spesso viene rimossa.

        Era il 2000 e Ranucci lavorava a RaiNews 24, allora sotto la direzione di Roberto Morrione, «un direttore che tutti vorrebbero». In quegli anni, racconta il giornalista, si trovò tra le mani una videocassetta acquistata da Canal+, contenente una intervista a Paolo Borsellino registrata appena 48 ore prima della strage di Capaci.

        «Non era una toga rossa», precisa Ranucci. «Borsellino era vicino al Movimento Sociale Italiano. Eppure, in quell’intervista parlava senza filtri dei rapporti tra mafia e politica, dei fratelli Dell’Utri, della figura di Mangano, lo stalliere di Arcore, e di Berlusconi, descritto come “un imprenditore che la mafia poteva guardare con interesse per riciclare denaro sporco”».

        Parole pesantissime, soprattutto se si considera il momento in cui vennero pronunciate. E che, secondo Ranucci, non trovarono mai spazio in una trasmissione ufficiale, come avrebbe dovuto accadere. «L’unica volta in cui mi è stato impedito di fare il mio lavoro fu proprio in quell’occasione. Non per volontà di una parte politica specifica: c’era un’amministrazione di centrosinistra. Eppure, quella cassetta non andò mai in onda per intero».

        Qualcosa, però, fu trasmesso. Morrione e Ranucci decisero di inserire alcuni stralci dell’intervista in un servizio frammentato, all’interno di un approfondimento sulla mafia. «Avrebbe dovuto far parte di uno speciale importante», spiega Ranucci, «assieme a interviste esclusive come quella al pentito Salvatore Cancemi, che per primo parlò dei rapporti tra mafia e politica».

        E se oggi Ranucci si dice ancora «libero di fare il mio mestiere», ammette che la difficoltà più grande non è la censura. «È far funzionare una macchina complessa sotto assedio. Ho 196 querele o richieste di risarcimento in corso. Ma, finora, sono andate sempre bene».

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          Serie tv: non ne abbiamo mai abbastanza. Ecco le più attese…

          Dal 21 al 28 giugno Rimini e Riccione diventano la Hollywood della Riviera: 28 serie in concorso, 8 anteprime mondiali e titoli attesissimi come Squid Game 3, il reboot di Sandokan con Can Yaman e il ritorno de I Cesaroni. È nata ufficialmente la prima edizione dell’Italian Global Series Festival, promettendo di essere la nuova Mecca delle serie TV internazionali… con un’anima tutta italiana.

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            Altro che fiction di quartiere: l’Italia si mette l’abito da sera (di lino, con vista mare) e lancia il primo Italian Global Series Festival, evoluzione cosmica del vecchio Roma Fiction Fest, ora trapiantato tra Rimini e Riccione. Un totale di 28 serie in gara, pescate tra oltre 150 titoli candidati, e una missione chiara: far dialogare il mondo seriale internazionale con il talento, spesso sottovalutato, della serialità italiana. Vediamo gli highlight, perché ce ne sono, eccome!

            Sandokan, Can Yaman e la tigre della Malesia

            A cavalcare la nostalgia ci pensa Sandokan, nuova versione dello storico personaggio creato da Salgari. Ad interpretarlo c’è Can Yaman, idolo delle soap e dei red carpet, che rispolvera sciabola, fascino selvaggio e baffi da eroe ottocentesco. Attesissima l’anteprima mondiale, tra meme, attese febbrili e discussioni infinite su Twitter: riuscirà il turco più amato d’Italia a far dimenticare Kabir Bedi?

            Squid Game 3: la resa dei conti

            È un altro colpaccio del festival: la terza (e ultima) stagione di Squid Game, l’epopea survival coreana che ha riscritto le regole dello streaming. L’anteprima mondiale promette di attirare stampa e fan da ogni angolo del globo, con una storyline ancora più cupa e un finale che — assicurano gli autori — “vi farà ripensare all’umanità”.

            Ritorno a casa Cesaroni

            E poi c’è lui: Claudio Amendola, con tutta la tribù della Garbatella. I Cesaroni tornano con una nuova stagione dopo più di dieci anni e lo fanno con spirito rinnovato ma cuore antico. “Portare leggerezza in questi tempi orrendi”, ha detto Amendola, ed è difficile dargli torto. Prepariamoci a litri di vino, saggezza da bar e la solita dose di sentimenti semplici ma efficaci.

            Un festival davvero globale

            Il concorso si divide in tre sezioni: Drama, Comedy e Limited Series, ognuna con una propria giuria d’eccellenza. Da Cristina Comencini a Bille August, passando per Paolo Genovese e Riccardo Scamarcio, il livello è alto e la selezione ancora di più.
            Tra i titoli più chiacchierati:

            • Frust di Danis Tanovic
            • Il Commissario Ricciardi con Lino Guanciale
            • Douglas is Cancelled con Hugh Bonneville
            • Estranei con Ricky Memphis e Elena Radonicich
            • Noi del Rione Sanità di Luca Miniero

            Premi, incontri e tigri… di carta?

            In palio ci sono i Premi Maximo, ma anche gli Excellence Award, che vanno a grandi nomi come Carlo Verdone, Elena Sofia Ricci, Evangeline Lilly, Adjoa Andoh, Giorgio Moroder e la rivelazione Iria Del Río per Dieci Capodanni, la serie dove (spoiler!) non accade quasi nulla, eppure il pubblico ne è ossessionato. Da segnalare anche le masterclass d’autore con Steven Moffat (Sherlock, Doctor Who) e Mark Gatiss, mentre tra gli eventi collaterali spicca il focus Straordinarie, dedicato alle donne dimenticate dalla Storia e riscoperte dalla serialità.

            Un festival da binge-watchare

            L’Italian Global Series Festival si candida fin dalla sua prima edizione a diventare un punto di riferimento per la serialità europea e globale. Il mix tra glamour internazionale e cultura pop nazionale (Cesaroni inclusi) sembra funzionare. Perché se è vero che a Hollywood fanno i conti con gli scioperi e le intelligenze artificiali, qui in Italia… abbiamo ancora i Cesaroni, una tigre in salotto e Can Yaman col turbante. E tanto basta per tenerci incollati allo schermo.

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              Televisione

              Pechino Express è finito… ma cosa c’entra tutto questo col nuovo Papa?!?

              Mentre il mondo cattolico festeggia il nuovo Papa Leone XIV, i fan di Pechino Express hanno avuto la loro “rivelazione”: Jury Chechi e Antonio Rossi, i Medagliati, hanno vinto l’edizione “Fino al tetto del mondo”. Una finale piena di colpi di scena, lacrime, corse a perdifiato e, ovviamente, qualche canzoncina di Dolcenera. Ecco il racconto dettagliato di cosa è successo, comprese le pagelle finali!

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                Dopo 6000 km, tre nazioni (Filippine, Thailandia, Nepal) e una quantità incalcolabile di passaggi improbabili, la corsa è giunta alla fine. Partenza dalla Skywalk Tower di Katmandu, missioni mozzafiato, un’eliminazione e il gran finale: Pechino Express 2025 ha incoronato i suoi vincitori.

                Le tre coppie finaliste: tra amore, muscoli e botox

                I Complici (Dolcenera e Gigi Campanile): rivelazione rock (voto 7)
                La loro corsa è iniziata in salita, tra le ultime posizioni e sguardi perplessi. Ma puntata dopo puntata, Dolcenera e il suo compagno Gigi si sono trasformati in veri e proprio gladiatori del format. Uniti da 30 anni di vita e lavoro, sono riusciti a resistere a tutto… tranne alla simpatia. Se il pubblico li ha amati o odiati, poco importa: hanno lasciato il segno e pure qualche nota musicale di troppo.

                Gli Estetici (Giulio Berruti e Nicolò Maltese): belli, ma non vincenti (voto 6)
                Sguardi magnetici, ironia e un cucciolo di nome Botox: Berruti e Maltese sono stati i più fotogenici dell’edizione. Ma in una corsa dove si conta più la resistenza che l’estetica, si sono fermati a un passo dal podio. Il cuore non basta, soprattutto se l’ultima missione ti condanna all’eliminazione.

                I Medagliati (Chechi e Rossi): oro olimpico e ora anche catodico (voto 10)
                Che fossero favoriti si sapeva. Che fossero simpatici, pure. Ma Jury Chechi e Antonio Rossi hanno superato ogni aspettativa. Un mix di strategia, forza e umanità – la loro – che ha conquistato pubblico e avversari. Nemmeno un tamponamento poteva fermarli. Alla fine, hanno tagliato il traguardo e ballato con Costantino. E noi con loro!

                La vittoria dei Medagliati: la coppia perfetta trionfa

                Alla finalissima tra Complici e Medagliati, la spuntano Jury e Antonio. Meritano? Assolutamente sì. Sono stati i più completi: determinati, intelligenti, mai sopra le righe. Una lezione di stile e amicizia che ha fatto breccia nel cuore degli spettatori.

                Il cuore (e i voti) dei fan

                Il pubblico si è diviso: chi per la dolcezza degli Estetici, chi per la grinta dei Complici, chi per la solidità dei Medagliati. Ma una cosa è certa: Pechino Express resta uno degli show più amati e seguiti. Perché unisce la competizione al racconto umano. E perché, diciamolo, vedere i vip arrancare con zaini e motorini è impagabile.

                Tra reality e spiritualità, vincono sempre le emozioni

                In un mondo dove si elegge un Papa mentre si incorona una coppia vincitrice di un reality, la verità è che abbiamo bisogno di entrambe le cose: fede e intrattenimento. E se Jury e Antonio rappresentano i nuovi “santi” di questa trasmissione, noi fedeli del telecomando possiamo solo dire: amen… preparandoci per la prossima stagione!

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