Sport
“Sono italiana, punto.” Sara Curtis risponde agli insulti razzisti: “Il mio mix culturale è una ricchezza, non una colpa”
Nuova star del nuoto italiano, Sara Curtis ha battuto lo storico primato nei 100 stile e scelto gli USA per crescere come atleta e come donna. Ma sui social c’è chi la insulta per il colore della pelle. “Essere mulatta non mi rende meno italiana. Mi fanno ribrezzo, dovrebbero rileggere la Costituzione”

Non si diventa un simbolo per caso. E Sara Curtis, 18 anni, piemontese di Savigliano, lo sta diventando. Per il talento cristallino, certo, ma anche per la dignità con cui affronta la parte più squallida della notorietà: l’odio. Soprattutto quello razzista.
Ha appena cancellato un pezzo di storia del nuoto italiano: 53″01 nei 100 metri stile libero, nuovo record nazionale agli Assoluti di Riccione, meglio di quel 53″18 che Federica Pellegrini aveva stampato nel 2016. Ma mentre tutti dovrebbero celebrarla, c’è chi preferisce insultarla. Perché “non sembra italiana”.
«Sentirmi dire che non sono italiana perché sono mulatta è ripugnante», ha detto al Corriere della Sera Sara, con la lucidità di chi ha già imparato a convivere con certi attacchi. Sua madre è nigeriana, suo padre italiano. E per chi ancora non ha letto la Costituzione, la cittadinanza non si assegna in base al colore della pelle. «Gente ignorante, dovrebbero sapere che tra i requisiti per avere la cittadinanza c’è quello di avere almeno un genitore italiano. Il mio è italiano. E comunque io sono orgogliosa di portare dentro di me due culture diverse. È il mio arricchimento, non certo un limite».
I commenti più odiosi – nemmeno a dirlo – arrivano dai social. Dove il coraggio spesso coincide con l’anonimato e l’ignoranza galoppa libera: “Quello non è un record italiano, ma nigeriano”, scrivono alcuni. «Frasi che mi fanno ribrezzo, ma per fortuna so farmi scivolare addosso certe cattiverie. Uso l’ironia, non mi faccio avvelenare», replica lei. E con una classe che certi adulti non avranno mai, aggiunge: «Nel mio istituto siamo nove in classe, e solo una ha entrambi i genitori italiani. L’Italia è cambiata, chi la insulta vive fuori dal tempo».
A far discutere è anche la sua scelta di vita: andrà a studiare e nuotare in America, alla University of Virginia, allenata da Todd DeSorbo, il coach della nazionale USA. Ma chi ha provato a leggere in questa decisione una rinuncia all’italianità ha sbagliato completamente mira. «Non sto andando negli Usa per smettere di essere italiana – chiarisce – ma per migliorarmi. Come persona e come atleta. Il tricolore lo vestirò per sempre, perché sono e resto italiana».
E non è un addio, ma un salto in avanti. Uno di quelli che ti cambia la vita. «Ci pensavo da settembre. Poi ho capito che i treni passano per un motivo. E se hai il coraggio di salirci, può iniziare qualcosa di straordinario».
Sara Curtis non ha ancora vent’anni ma ha già battuto record, ricevuto minacce e dato lezioni. Non solo di stile libero, ma di stile, e basta.
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Sport
Ci vediamo… dopati! A Las Vegas debutta la prima Olimpiade con steroidi liberi
Gli organizzatori promettono record mondiali e un nuovo approccio “scientifico” al doping: test medici, protocolli clinici e uno studio di monitoraggio a cinque anni. Ma per il mondo dello sport è una follia: “Si rischia di normalizzare l’abuso di sostanze pericolose, anche tra i giovani”

Ci sarà chi correrà più veloce, chi solleverà più chili e chi nuoterà come un siluro. Ma non sarà per merito dell’allenamento, del talento o della grinta: ai primi “Enhanced Games” in programma nel maggio 2026 a Las Vegas, saranno benvenute – anzi, incoraggiate – le sostanze dopanti. Dimenticate il fair play, le medaglie al merito, la lealtà sportiva: qui si gareggia con steroidi, testosterone, EPO e ormone della crescita. Tutto dichiarato, tutto “monitorato”. E ovviamente tutto pagato profumatamente, come nel caso del nuotatore bulgaro Kristian Gkolomeev, che ha incassato un milione di dollari per aver battuto il record mondiale dei 50 metri stile libero. Con tanto di tuta vietata e protocollo “potenziato”.
L’evento è ufficiale e ha già una sede prestigiosa: il Resorts World di Las Vegas. Il progetto – che promette di far discutere per anni – è stato svelato dal presidente della competizione, l’avvocato australiano Aron D’Souza, che ha definito gli Enhanced Games “la vera evoluzione dello sport moderno”. Altro che Olimpiadi: qui si punta a riscrivere la storia dell’atletica con la spinta della chimica.
Nel programma: atletica leggera, nuoto e sollevamento pesi. Attesi 60-100 atleti, alcuni dei quali “puliti”, altri invece potenziati secondo i protocolli messi a punto dalla commissione scientifica e medica indipendente, presieduta dal cardiologo Guido Pieles. Le sostanze utilizzate? Testosterone (in quattro esteri diversi), steroidi anabolizzanti, ormone della crescita ed EPO, tutte vietate nelle competizioni ufficiali e universalmente considerate pericolose in caso di abuso.
Ma Pieles frena: “Le dosi saranno controllate, leggermente superiori a quelle terapeutiche e lontane dagli abusi da palestra. Gli atleti saranno seguiti, monitorati clinicamente, e dovranno sottoporsi a test per valutare il loro stato fisico, cognitivo e psicologico”.
Non solo: ogni partecipante sarà monitorato per cinque anni dopo l’evento, in quella che gli organizzatori definiscono “una sperimentazione clinica di fase uno sulla sicurezza dei PED (Performance Enhancing Drugs)”. Una sorta di grande esperimento umano travestito da evento sportivo, che ambisce a scardinare le regole imposte da enti come il Comitato Olimpico Internazionale e la WADA (Agenzia Mondiale Antidoping), che hanno già bollato i giochi come “pericolosi, irresponsabili e dannosi per il futuro dello sport”.
Il Comitato Olimpico parla chiaro: “Lo spirito olimpico è fondato sulla salute, sull’etica e sull’uguaglianza. Questo evento calpesta ogni principio”. Ma D’Souza risponde con cinismo e realismo: “L’ipocrisia dello sport ufficiale è che i campioni si dopano già, lo fanno in segreto, senza controlli medici. Noi, almeno, lo facciamo alla luce del sole e in sicurezza”.
Le polemiche non mancano, ma nemmeno l’interesse mediatico. Gli Enhanced Games sembrano destinati a diventare un circo ipertecnologico, un reality ad alto rischio con promesse di record mondiali e la certezza di attirare sponsor e spettatori. Ma anche – denunciano sociologi e medici – il rischio di generare un effetto a cascata tra i più giovani, pronti a seguire i loro nuovi “eroi” caricandosi di ormoni.
“Quando spareranno il primo colpo di pistola – scrive The Economist – il mondo intero starà a guardare. Ma la domanda resta: fino a che punto possiamo spingerci in nome dello spettacolo?”
Calcio
Napoli impazzisce per lo scudetto: centomila al Plebiscito, fuochi d’artificio e primi feriti
Dal Maradona al Lungomare, da via Chiaia ai Quartieri Spagnoli: esplode la festa azzurra per il quarto scudetto. Health point presi d’assalto, mezzi pubblici attivi tutta la notte. E il Comune invita i cittadini a “disperdersi” nelle piazze

Napoli non dorme, Napoli canta. Napoli oggi è una gigantesca curva sud a cielo aperto. Poco dopo il fischio finale, la città ha indossato il tricolore e si è lanciata in una celebrazione che ha il sapore della liberazione, dell’orgoglio e della pura follia collettiva. Il quarto scudetto è solo il pretesto: quello che conta davvero è il modo in cui viene festeggiato. E Napoli lo fa come nessun’altra.
Piazza del Plebiscito è diventata il cuore pulsante della festa: già prima della fine della partita si contavano centomila persone. Bandiere, striscioni, fumogeni, cori, lacrime e spumante. La piazza sembrava una marea azzurra, ondeggiante, densa, impaziente di esplodere. E infatti ha esploso tutto: petardi, abbracci, champagne, gioia pura.
Fuorigrotta, attorno allo stadio Maradona, era già murata dal traffico umano: migliaia e migliaia di tifosi in attesa del segnale per partire con i caroselli. Via Chiaia ha sfoggiato il suo gigantesco tricolore con il numero 4, come una bandiera di conquista che nessuno potrà ignorare. Il Lungomare, invece, ha visto brindisi su brindisi, tra bottiglie stappate e fuochi d’artificio sparati da ogni balcone.
Ma non è tutto. Perché Napoli si è preparata a questa notte da settimane. Il Comune ha schierato 1800 agenti, 1250 steward, e ha tenuto aperti i mezzi pubblici fino all’alba. Nove health point sono stati attivati in punti strategici della città per affrontare l’inevitabile: alle 22, con la partita ancora in corso, si contavano già 42 feriti, tra cui 10 in codice giallo, con cinque ricoveri ospedalieri.
La festa è dappertutto. Nei vicoli dei Quartieri Spagnoli, dove le bancarelle vendono gadget a ritmo di trombe e “Un giorno all’improvviso”. Nelle scale dei palazzi, dove anche chi è troppo anziano per scendere si affaccia e canta. Nelle auto impazzite che girano col clacson bloccato e le bandiere fuori dal finestrino.
Il Comune, travolto dal successo, ha invitato i cittadini a “concentrarsi anche in altre piazze” per evitare che il Plebiscito diventi ingestibile. Ma è tardi: la festa è già ovunque.
Per i napoletani, questo scudetto non è solo una vittoria. È una conferma di identità, è un riscatto continuo, è la prova che si può ancora sognare e vincere con stile, e con il cuore. E chi ha avuto la fortuna di esserci stanotte lo racconterà per tutta la vita. Con la voce roca, e il cuore pieno.
Calcio
Napoli campione d’Italia: il quarto scudetto è azzurro
Una girata di McTominay e la potenza di Lukaku regalano a Napoli la gioia del tricolore. Per Antonio Conte è il quinto titolo personale e il primo tecnico nella storia a vincere la Serie A con tre squadre diverse. Esplode la festa sotto il Vesuvio

Missione compiuta: il Napoli è campione d’Italia per la quarta volta nella sua storia, la seconda negli ultimi tre anni. Lo scudetto torna a colorarsi d’azzurro dopo una stagione vissuta con il fiato sospeso fino all’ultima giornata. A mettere il sigillo sul tricolore è la squadra di Antonio Conte, che al “Maradona” supera 2-0 il Cagliari, chiudendo con un punto di vantaggio sull’Inter, comunque vittoriosa a Como.
Per poco più di venti minuti, tra il 20′ e il 42′ del primo tempo, i nerazzurri sono virtualmente in testa alla classifica. Un brivido che ha attraversato tutto lo stadio partenopeo, tenuto in sospeso da un risultato che sembrava beffardo. Ma a scacciare la paura e ad accendere la scintilla ci pensa l’uomo meno atteso, Scott McTominay, autentico protagonista di questa volata scudetto.
Lo scozzese, arrivato tra lo scetticismo e divenuto colonna del centrocampo azzurro, trova la rete che cambia il destino della serata: mezza girata su cross di Politano, pallone alle spalle di Sherri e bolgia infernale al Maradona. È il gol che toglie la pressione, che scuote la squadra e accende i tifosi.
La festa vera scatta a inizio ripresa, al minuto 51. È Romelu Lukaku, con la forza e la fame dei giorni migliori, a spezzare in due la partita: strappo sulla trequarti, resistenza su Mina e Adopo, e poi la conclusione che trafigge ancora una volta Sherri. A quel punto non resta che aspettare il triplice fischio dell’arbitro La Penna, mentre lo stadio inizia già a vestirsi da carnevale.
È il quarto tricolore per il Napoli, dopo quelli del 1987 e 1990 con Maradona e quello del 2023 con Spalletti. Ma questo ha un sapore diverso, perché arriva dopo un’annata difficile, iniziata tra i dubbi e chiusa con una squadra granitica, a immagine e somiglianza del suo allenatore.
E proprio Antonio Conte entra di diritto nella storia del calcio italiano: con questo scudetto raggiunge quota cinque in carriera, dopo i tre conquistati con la Juve (2012, 2013 e 2014) e quello con l’Inter nel 2021. Ma soprattutto diventa il primo allenatore a vincere il campionato con tre squadre diverse. Una firma pesante, come il carattere che ha saputo infondere a un gruppo che sembrava smarrito.
All’ombra del Vesuvio, stanotte, si balla per un altro scudetto. Quello della determinazione, della compattezza e – sì – anche della sorpresa. Perché nessuno a inizio stagione avrebbe scommesso sul Napoli di Conte. Ma alla fine l’ha spuntata proprio lui, come sempre.
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