Connect with us

Uncategorized

Il caso Calderone arriva in Procura: aperto un fascicolo sul percorso accademico della ministra. Lei: “Querelo”

Esami anche di domenica, promozioni-lampo e docenze prima della laurea: sotto osservazione il percorso universitario della ministra Marina Calderone. Lei replica: “Nessun reato, la storia finisce qui. Ora valuto azioni per diffamazione”.

Avatar photo

Pubblicato

il

    Un esposto presentato da un docente universitario e una serie di incongruenze accademiche che, nel giro di poche settimane, sono arrivate al vaglio della magistratura. La Procura di Roma ha aperto un fascicolo, al momento senza indagati né ipotesi di reato, in relazione a un esposto firmato da Saverio Regasto, professore ordinario di Diritto pubblico comparato dell’Università di Brescia, sul percorso accademico della ministra del Lavoro Marina Elvira Calderone.

    Al centro dell’attenzione, le modalità con cui la ministra avrebbe conseguito due titoli universitari presso la Link Campus University, rispettivamente nel 2012 e nel 2016. Il docente ha chiesto che siano accertate eventuali irregolarità e, se esistenti, che si valutino possibili ipotesi di reato.

    Tra le anomalie evidenziate nell’esposto — corredato da articoli di stampa e documenti — figurano esami sostenuti in modo ravvicinato, anche due al giorno e in giorni festivi, il tutto con una docenza assegnata alla ministra quando era ancora studentessa e una laurea magistrale ottenuta con lode a fronte di una carriera universitaria ritenuta poco brillante. Non solo: si segnala anche l’assenza delle doppie commissioni obbligatorie per legge negli esami di laurea.

    Ma a far discutere è anche il contesto. Il marito della ministra, Rosario De Luca, all’epoca dei fatti membro del consiglio di amministrazione e docente presso lo stesso ateneo, figura al centro di una rete di incroci tra incarichi accademici e istituzionali che solleva più di un’interrogazione pubblica. La ministra, inoltre, in quegli stessi anni ricopriva anche la presidenza del Consiglio nazionale dei Consulenti del Lavoro, ente che aveva siglato una convenzione con la Link Campus.

    In questo clima, il caso è approdato in Parlamento: durante il question time del 26 marzo, Calderone ha parlato genericamente di “dossieraggio politico”, ma non ha fornito chiarimenti puntuali. La ministra dell’Università, Anna Maria Bernini, ha risposto alle richieste di chiarimento con un laconico “sono d’accordo con lei”, senza però dare seguito a un’informativa formale.

    Nel frattempo, la Link Campus ha rimosso dal proprio sito alcune pagine, comprese quelle che indicavano Calderone e il marito come docenti. Anche Wikipedia è stata modificata, eliminando riferimenti a una presunta laurea a Cagliari mai confermata. Nessuna nota ufficiale è arrivata dal Ministero dell’Università, dall’Anvur o dalla Crui.

    Non è la prima volta che l’università finisce sotto i riflettori. Un’inchiesta parallela a Firenze, ancora in corso, riguarda presunte “lauree facili” concesse a funzionari della Polizia di Stato grazie a convenzioni sindacali. Tra le accuse, modalità d’esame irregolari e facilitazioni sospette. La sentenza di primo grado è attesa per giugno.

    La ministra Calderone, interpellata dopo la notizia dell’apertura del fascicolo, ha però rivendicato con fermezza la correttezza del proprio percorso:

    «Prendo atto con grande soddisfazione quanto comunicatomi dal mio legale, avvocato Cesare Placanica, ossia della determinazione del procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma che, con riferimento all’esposto sporto nei miei confronti in relazione al mio percorso universitario, ha sancito l’inesistenza di ogni ipotesi di reato e di conseguenza non ha iscritto alcun indagato nel registro delle notizie di reato. Per me, dopo tale autorevole avallo, la storia finisce qui».

    Non solo: Calderone ha anche annunciato la volontà di tutelarsi giuridicamente:

    «A questo punto ho il dovere di procedere per il reato di diffamazione per ogni malevola illazione contro la mia persona».

    Resta il fatto che, al di là dell’aspetto giudiziario, la vicenda tocca un nervo scoperto della società italiana, quello della meritocrazia e della credibilità dell’istruzione. In un Paese in cui studenti e famiglie si confrontano ogni giorno con prove, selezioni e sacrifici, casi come questo rischiano di alimentare sfiducia e frustrazione.

    Il fascicolo della Procura non contiene, per ora, né nomi né reati. Ma il dibattito sull’etica pubblica e sulla trasparenza accademica è solo all’inizio.

      SEGUICI SU INSTAGRAM
      INSTAGRAM.COM/LACITYMAG

      Cronaca Nera

      Garlasco, nuove ombre sull’omicidio Poggi: Dna di Chiara e Stasi nei rifiuti, testimone minacciato sul Santuario

      Le ultime analisi sui reperti del caso Garlasco trovano solo il Dna della vittima e di Alberto Stasi. Ma un testimone parla della presenza abituale di Andrea Sempio al Santuario della Bozzola. E finisce sotto minaccia.

      Avatar photo

      Pubblicato

      il

      Autore

        Nel sacchetto dell’immondizia ritrovato in via Pascoli a Garlasco ci sono tracce genetiche di Chiara Poggi e di Alberto Stasi. Nessuna presenza, almeno finora, di Andrea Sempio. È quanto emerge dai nuovi accertamenti disposti dal gip di Pavia, Daniela Garlaschelli, che ha incaricato la genetista Denise Albani di analizzare i materiali rimasti dalla scena del crimine.

        I tamponi effettuati giovedì 19 giugno negli uffici della Scientifica di Milano su un piattino di plastica, un sacchetto azzurro e le linguette di due confezioni di Fruttolo, hanno restituito sequenze biologiche appartenenti alla vittima. In un caso, si è addirittura ottenuta una sequenza quasi completa del Dna di Chiara. L’unico Dna maschile identificato – finora – è quello di Stasi, rinvenuto su una cannuccia di plastica del brick di Estathé.

        Parallelamente si sta lavorando anche su 34 fogli di acetato che in origine avevano conservato le impronte digitali, ma che ai primi test sul sangue sono risultati negativi. Due nuove impronte però sono ora sotto analisi: una scoperta sullo stipite della porta che porta alla cantina – comparabile ma non appartenente né a Stasi né a Sempio – e l’altra sulla cornetta del telefono. Secondo i tecnici, potrebbe essere della stessa Chiara, colta mentre tentava di difendersi.

        Ma il fronte più inquietante, oggi, è quello legato ai testimoni. A parlare è un uomo di nome Maurizio, frequentatore del Santuario della Bozzola fin dagli anni ’90, che ha raccontato in tv – a Mattino 5 – di aver visto spesso Andrea Sempio insieme a un gruppo di amici, tra cui anche Marco Poggi, fratello di Chiara. «Io vedevo le gemelle Cappa, insieme a volte con Chiara. Ma Stasi mai», ha dichiarato.

        Il suo racconto però ha avuto un prezzo. Durante la processione del 31 maggio scorso, al termine della preghiera, Maurizio è stato aggredito verbalmente da altri fedeli, scontenti del fatto che avesse parlato con i giornalisti. Un episodio grave, che getta nuove ombre su un caso mai del tutto chiuso, nonostante le condanne definitive.

        Intanto le indagini alternative proseguono. Ma i reperti sembrano restituire una sola verità: il Dna di Chiara e di Stasi. Nessuna traccia, per ora, di altri possibili indagati. E a Garlasco, chi parla, continua a farlo sottovoce.

          Continua a leggere

          Mondo

          Trump e la salute dei bambini: un report farlocco pieno di studi che non esistono

          Il documento parla di disturbi mentali, farmaci e mense scolastiche, ma i riferimenti scientifici sono inesistenti o sbagliati. Accuse di superficialità, sospetti sull’uso dell’intelligenza artificiale e un pasticcio che mina la credibilità dell’intera iniziativa

          Avatar photo

          Pubblicato

          il

          Autore

            L’amministrazione Trump torna a far discutere, e stavolta non c’entrano i tweet infuocati dell’ex presidente o le sue intemperanze pubbliche. Nel mirino c’è un documento pubblicato la scorsa settimana dalla Commissione presidenziale Make America Healthy Again (Maha), diretta dal segretario alla Salute Robert F. Kennedy Jr. Si tratta di un report dedicato alla salute mentale e fisica dei bambini americani, che avrebbe dovuto rappresentare un punto fermo nelle politiche sanitarie del governo. Invece si è rivelato un pasticcio degno del peggior ufficio stampa, infarcito di citazioni a studi scientifici che non esistono.

            A lanciare l’allarme è stata l’agenzia Notus, ripresa a ruota dal New York Times, che ha scovato nel report “fantasmi bibliografici” degni delle fake news più scadenti. Il caso più eclatante riguarda la professoressa Katherine Keyes, epidemiologa alla Columbia University. Il suo nome compare come autrice di un articolo scientifico sulla salute mentale e l’uso di droghe, ma lei stessa ha dichiarato di non averlo mai scritto. «Mi preoccupa il rigore del rapporto se non viene seguita la prassi per le citazioni scientifiche», ha detto Keyes al Nyt, con un tono a metà tra lo sconforto e l’incredulità.

            Ma non è finita qui. Il documento fa riferimento a un articolo di Lancet del 2005, presentato come uno studio scientifico sulla pubblicità dei farmaci. In realtà si trattava solo di un editoriale, privo di dati o verifiche sperimentali. E ancora: il rapporto attribuisce una ricerca sul legame tra sonno, infiammazione e sensibilità all’insulina a un coautore che, semplicemente, non aveva mai lavorato a quel tema. Una catena di strafalcioni che, in un testo con ambizioni sanitarie, rischia di minare la fiducia dei cittadini.

            Dietro questa serie di errori, come ha notato Ivan Oransky, docente di giornalismo medico alla New York University e co-fondatore di Retraction Watch, potrebbe esserci l’uso dell’intelligenza artificiale. «Gli errori sono caratteristici dell’uso dell’IA per redigere testi – ha spiegato Oransky all’agenzia Agi – Non è detto che la sostanza sia sempre sbagliata, ma è evidente la mancanza di quei controlli rigorosi che rendono scientificamente valido un rapporto».

            La Casa Bianca ha cercato di correre ai ripari in fretta e furia. Dopo l’articolo del Nyt, ha pubblicato una nuova versione del report con correzioni alle citazioni. Ma ha anche provato a minimizzare l’accaduto: Emily Hilliard, portavoce del dipartimento della Salute, ha parlato di «errori di formattazione» che «non cambiano la sostanza del rapporto». Una difesa che però non ha convinto molti, visto che le “formattazioni” sbagliate sembrano essere in realtà vere e proprie invenzioni.

            Le polemiche rischiano di far deragliare un progetto che, almeno nelle intenzioni, avrebbe dovuto affrontare temi centrali come l’ansia e la depressione infantile, l’uso eccessivo di farmaci e l’alimentazione scolastica. Temi cruciali, soprattutto negli Stati Uniti, dove la salute mentale dei più giovani è diventata un’emergenza nazionale, complici la pandemia e l’esposizione incontrollata ai social network.

            E invece, con un documento zeppo di fonti inesistenti, la Commissione Maha rischia di perdere ogni credibilità. Gli avversari politici di Trump hanno subito colto la palla al balzo, parlando di “propaganda senza basi” e di “disinformazione mascherata da scienza”. Ma anche tra i repubblicani più moderati serpeggia l’imbarazzo: un report ufficiale non può permettersi errori così grossolani, tanto più se riguarda la salute dei bambini.

            La vicenda riaccende un tema più ampio, che va oltre i confini dell’amministrazione Trump: l’affidabilità delle fonti e la necessità di verifiche serie in un’epoca in cui l’intelligenza artificiale produce testi sempre più credibili. Ma la credibilità non può essere lasciata alle macchine, e i genitori americani – quelli che questo report dovrebbe rassicurare – meritano qualcosa di più solido di un pasticcio di citazioni inventate.

            In attesa di spiegazioni più convincenti, la “grande America sana” evocata da Kennedy Jr. resta per ora un sogno. O peggio, uno slogan da campagna elettorale scritto con la superficialità di un post su X.

              Continua a leggere

              Uncategorized

              Barbara D’Urso si sfoga: «Dopo Mediaset sono spariti tutti. Non potevo restare in Italia, troppo dolore»

              In un’intervista a 7, la conduttrice parla del silenzio di colleghi e amici dopo la sua uscita di scena e ricorda il dolore per la morte della madre: «Ho imparato ad attraversare il vuoto, ma il sorriso di mia madre è rimasto con me».

              Avatar photo

              Pubblicato

              il

              Autore

                Barbara D’Urso ha deciso di raccontare tutto. A cuore aperto, senza filtri, come raramente aveva fatto prima. E lo ha fatto dalle pagine di 7, il magazine del Corriere della Sera, dove ha ripercorso il periodo più buio della sua carriera e della sua vita privata. L’addio a Mediaset, avvenuto all’improvviso nell’estate del 2023, l’ha segnata più di quanto molti avessero immaginato.

                «Fino al giorno prima ricevevo una media di duecento messaggi, li ho contati. Il giorno dopo dieci, spariti tutti», confessa Barbara, con quel tono a metà tra ironia e malinconia che le è familiare. Solo gli amici più stretti sono rimasti. Per il resto, un silenzio assordante. Una sparizione che brucia, come bruciano le ferite di chi si è speso a lungo per un mondo – quello della televisione – che non sempre sa restituire lo stesso calore.

                Quando a luglio 2023 Mediaset decise di chiudere la sua era a Pomeriggio Cinque, affidando la conduzione a Myrta Merlino, sembrava quasi una decisione di routine nel frenetico giro di poltrone che caratterizza la tv. Ma per Barbara fu un terremoto. Nessun nuovo programma in cantiere, nessuna chiamata. Solo un vuoto che faceva troppo rumore per restare in Italia. «Dopo l’addio a Mediaset non potevo restare, troppo dolore», ammette. Così ha scelto la fuga, ma non verso le spiagge dorate o le località esotiche. «Altri sarebbero andati a Bali o a Honolulu. Io sono andata a Londra a studiare l’inglese. Mi sono presa in affitto un appartamento, mi sono iscritta a un college. Facevo lezione dalle otto del mattino alle cinque del pomeriggio», racconta. Un modo per sentirsi viva, per riempire quel vuoto che la tv italiana aveva lasciato.

                La rinascita, però, Barbara l’ha costruita passo dopo passo. Tornata in Italia, ha ripreso a recitare in teatro, la sua prima passione. E ha fondato con un’amica una società che si occupa di organizzare eventi. «Ho imparato ad attraversare il dolore e a riempire il vuoto», spiega. Una frase che suona come un mantra e insieme una dichiarazione d’intenti.

                Ma nell’intervista Barbara non si limita a parlare del suo presente. Va a fondo, scavando nella memoria. Racconta la perdita più grande della sua vita, quella della madre, morta quando lei aveva solo undici anni. «Appena nasce mio fratello, mamma rientra dalla clinica, si mette a letto e non si alza più: ha il morbo di Hodgkin», dice con un filo di voce. Quattro anni di speranze, di attese, di paure. «La prima cosa che chiedevo appena varcata la soglia di casa, nemmeno il tempo di poggiare la cartella, era: “Come sta mamma?”. Ero sicura che sarebbe guarita. Non era concepibile un mondo senza mamma». Quel sorriso che la madre conservava anche nella malattia è rimasto inciso in Barbara come un’eredità. «Quel sorriso oggi è il mio», dice, e per un attimo sembra che il tempo si fermi.

                La sua è la storia di una donna che ha sempre saputo rialzarsi. Di una conduttrice capace di reinventarsi, ma che ha conosciuto anche il volto più duro della solitudine e della diffidenza. Oggi Barbara guarda avanti con un sorriso che è insieme un ricordo e un baluardo: «La vita ti mette alla prova, e quando accade, devi solo imparare a trovare un nuovo modo per sorridere».

                Un racconto di resilienza, di nostalgia e di forza. E anche un monito, in un mondo dello spettacolo dove i riflettori possono spegnersi in un attimo. Ma Barbara D’Urso, di riflettori, ne ha visti tanti. E oggi, con una nuova consapevolezza, sembra pronta a illuminarli ancora.

                  Continua a leggere
                  Advertisement

                  Ultime notizie

                  Lacitymag.it - Tutti i colori della cronaca | DIEMMECOM® Società Editoriale Srl P. IVA 01737800795 R.O.C. 4049 – Reg. Trib MI n.61 del 17.04.2024 | Direttore responsabile: Luca Arnaù