Mondo
Trump e la salute dei bambini: un report farlocco pieno di studi che non esistono
Il documento parla di disturbi mentali, farmaci e mense scolastiche, ma i riferimenti scientifici sono inesistenti o sbagliati. Accuse di superficialità, sospetti sull’uso dell’intelligenza artificiale e un pasticcio che mina la credibilità dell’intera iniziativa

L’amministrazione Trump torna a far discutere, e stavolta non c’entrano i tweet infuocati dell’ex presidente o le sue intemperanze pubbliche. Nel mirino c’è un documento pubblicato la scorsa settimana dalla Commissione presidenziale Make America Healthy Again (Maha), diretta dal segretario alla Salute Robert F. Kennedy Jr. Si tratta di un report dedicato alla salute mentale e fisica dei bambini americani, che avrebbe dovuto rappresentare un punto fermo nelle politiche sanitarie del governo. Invece si è rivelato un pasticcio degno del peggior ufficio stampa, infarcito di citazioni a studi scientifici che non esistono.
A lanciare l’allarme è stata l’agenzia Notus, ripresa a ruota dal New York Times, che ha scovato nel report “fantasmi bibliografici” degni delle fake news più scadenti. Il caso più eclatante riguarda la professoressa Katherine Keyes, epidemiologa alla Columbia University. Il suo nome compare come autrice di un articolo scientifico sulla salute mentale e l’uso di droghe, ma lei stessa ha dichiarato di non averlo mai scritto. «Mi preoccupa il rigore del rapporto se non viene seguita la prassi per le citazioni scientifiche», ha detto Keyes al Nyt, con un tono a metà tra lo sconforto e l’incredulità.
Ma non è finita qui. Il documento fa riferimento a un articolo di Lancet del 2005, presentato come uno studio scientifico sulla pubblicità dei farmaci. In realtà si trattava solo di un editoriale, privo di dati o verifiche sperimentali. E ancora: il rapporto attribuisce una ricerca sul legame tra sonno, infiammazione e sensibilità all’insulina a un coautore che, semplicemente, non aveva mai lavorato a quel tema. Una catena di strafalcioni che, in un testo con ambizioni sanitarie, rischia di minare la fiducia dei cittadini.
Dietro questa serie di errori, come ha notato Ivan Oransky, docente di giornalismo medico alla New York University e co-fondatore di Retraction Watch, potrebbe esserci l’uso dell’intelligenza artificiale. «Gli errori sono caratteristici dell’uso dell’IA per redigere testi – ha spiegato Oransky all’agenzia Agi – Non è detto che la sostanza sia sempre sbagliata, ma è evidente la mancanza di quei controlli rigorosi che rendono scientificamente valido un rapporto».
La Casa Bianca ha cercato di correre ai ripari in fretta e furia. Dopo l’articolo del Nyt, ha pubblicato una nuova versione del report con correzioni alle citazioni. Ma ha anche provato a minimizzare l’accaduto: Emily Hilliard, portavoce del dipartimento della Salute, ha parlato di «errori di formattazione» che «non cambiano la sostanza del rapporto». Una difesa che però non ha convinto molti, visto che le “formattazioni” sbagliate sembrano essere in realtà vere e proprie invenzioni.
Le polemiche rischiano di far deragliare un progetto che, almeno nelle intenzioni, avrebbe dovuto affrontare temi centrali come l’ansia e la depressione infantile, l’uso eccessivo di farmaci e l’alimentazione scolastica. Temi cruciali, soprattutto negli Stati Uniti, dove la salute mentale dei più giovani è diventata un’emergenza nazionale, complici la pandemia e l’esposizione incontrollata ai social network.
E invece, con un documento zeppo di fonti inesistenti, la Commissione Maha rischia di perdere ogni credibilità. Gli avversari politici di Trump hanno subito colto la palla al balzo, parlando di “propaganda senza basi” e di “disinformazione mascherata da scienza”. Ma anche tra i repubblicani più moderati serpeggia l’imbarazzo: un report ufficiale non può permettersi errori così grossolani, tanto più se riguarda la salute dei bambini.
La vicenda riaccende un tema più ampio, che va oltre i confini dell’amministrazione Trump: l’affidabilità delle fonti e la necessità di verifiche serie in un’epoca in cui l’intelligenza artificiale produce testi sempre più credibili. Ma la credibilità non può essere lasciata alle macchine, e i genitori americani – quelli che questo report dovrebbe rassicurare – meritano qualcosa di più solido di un pasticcio di citazioni inventate.
In attesa di spiegazioni più convincenti, la “grande America sana” evocata da Kennedy Jr. resta per ora un sogno. O peggio, uno slogan da campagna elettorale scritto con la superficialità di un post su X.
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Mondo
Anche due italiani nella prigione da incubo tra le paludi della Florida
Gaetano Mirabella Costa e Fernando Eduardo Artese sono detenuti ad Alligator Alcatraz, struttura iper-sorvegliata voluta da Trump per i migranti “pericolosi”. Uno ha scontato sei mesi per droga, l’altro è accusato di overstay e guida senza patente. La Farnesina segue il caso.

Alligator Alcatraz. Il nome fa già paura da solo. Una struttura di detenzione nascosta nelle paludi della Florida, circondata da zanzare, pitoni e, ovviamente, alligatori. Una prigione modello per l’America di Donald Trump, pensata per ospitare i “peggiori tra i peggiori” dei migranti. Eppure, tra quelle mura ci sono anche due italiani. Uno è siciliano, l’altro italo-argentino. Due storie diverse, stesso destino.
Gaetano Cateno Mirabella Costa, 45 anni, è stato arrestato a gennaio 2025 per detenzione di sostanze stupefacenti e aggressione a un anziano. Ha scontato sei mesi nella contea di Marion. Poi, finita la pena, niente libertà: è scattata la procedura di rimpatrio, e il 9 luglio è stato trasferito a Alligator Alcatraz. Dove è ancora oggi.
L’altro è Fernando Eduardo Artese, 63 anni, doppio passaporto, residente alle Canarie. Entrato dieci anni fa negli Stati Uniti con l’esenzione dal visto, ha superato il limite di 90 giorni. Quando la polizia lo ha fermato, a giugno, ha scoperto anche un vecchio mandato d’arresto per guida senza patente. Sei giorni dopo era già nelle mani dell’Immigration and Customs Enforcement. E il 3 luglio è finito anche lui a Alligator Alcatraz.
La Farnesina ha confermato ufficialmente la loro presenza nella struttura. Il Consolato italiano a Miami e l’Ambasciata a Washington sono in contatto con le famiglie e con le autorità americane. Ma i tempi del rimpatrio restano incerti. E intanto i giorni passano. In un luogo isolato, sorvegliato, ostile. Dove l’unico modo per scappare è su un aereo. Se e quando arriverà.
Mondo
Trump nega la lettera a luci rosse a Epstein: «Non disegno». Ma i suoi schizzi sono stati venduti all’asta per migliaia di dollari
Donald Trump nega di aver disegnato una donna nuda per Epstein in un biglietto d’auguri del 2003, ma schizzi firmati con il suo nome sono stati battuti da Sotheby’s e mostrano un passato da artista improvvisato. Compresi grattacieli, ponti e persino un “albero dei soldi”.

«Non disegno». Secco, netto, Donald Trump ha respinto così le accuse del Wall Street Journal, che lo accusa di aver inviato nel 2003 un biglietto osceno a Jeffrey Epstein, contenente un disegno stilizzato di una donna nuda con la firma “Donald” lì dove non batte il sole. Un “augurio” per i 50 anni del finanziere pedofilo, accompagnato da una frase allusiva: «Buon compleanno – e che ogni giorno sia un altro meraviglioso segreto.»
Trump ha reagito come sa fare: una causa per diffamazione da 10 miliardi di dollari e la solita raffica di post indignati. Ma il suo alibi – “non disegno” – crolla sotto il peso delle sue stesse parole.
In un libro del 2008, Trump Never Give Up, il tycoon raccontava infatti di disegnare bozzetti “di edifici o skyline” con un pennarello nero per raccogliere fondi per i senzatetto di New York. Altro che mani pulite.
I suoi schizzi esistono eccome. Sono stati venduti all’asta, firmati in modo inconfondibile. Uno, datato proprio 2003, rappresenta il progetto Riverside South a Manhattan: fu donato a un’organizzazione caritatevole e poi battuto da Sotheby’s. Nel 2017, un disegno dell’Empire State Building firmato Trump è stato venduto per 16.000 dollari. E tra grattacieli e ponti, c’è anche un’opera battezzata Money Tree, l’albero dei soldi, battuta per 8.500 dollari.
Trump, dunque, disegna. Lo dice lui. Lo dimostrano le aste. E la firma in pennarello nero è sempre lì, evidente, in ogni bozzetto. Che sia davvero sua quella lettera a Epstein, non lo sappiamo. Ma una cosa è certa: dire “non disegno” è la più goffa delle smentite. Anche per un ex presidente che si è fatto eleggere a colpi di slogan, e adesso prova a difendersi cancellando la firma. Quella che, però, sta scritta dappertutto.
Mondo
Caviglie gonfie e lividi sulle mani: mistero Trump, la rete impazzisce di nuovo per la salute del presidente
Una foto basta. Una caviglia un po’ troppo gonfia, un livido dimenticato sul dorso della mano. E il web si incendia. L’ultimo mistero firmato Donald Trump nasce così: uno scatto rubato durante una partita di calcio e centinaia di teorie che esplodono in rete come popcorn sotto pressione. Sta bene o no? È solo il caldo o c’è sotto qualcosa di più serio?

Succede tutto in poche ore. Il presidente – 79 anni portati come può – viene fotografato sugli spalti del mondiale per club in New Jersey. Gamba destra visibilmente gonfia, andatura rigida. A quel punto la rete si divide tra diagnosti improvvisati e commentatori professionisti del sospetto. Chi grida al diabete, chi alla trombosi, chi ipotizza una circolazione da rottamare. E poi ci sono i lividi: piccoli ematomi sulle mani, già notati in passato, oggi di nuovo protagonisti.
La Casa Bianca prova a spegnere il fuoco: “Trump gode di ottima salute, lavora giorno e notte, i segni sono solo effetto di troppe strette di mano”. Niente aghi, niente flebo, solo protocollo sociale. Ma il popolo digitale non ci crede. E non dimentica. Nel 2016 il suo medico personale lo aveva definito “il presidente più sano della storia”. Frase scritta da Trump stesso, poi ammessa pubblicamente. Nel 2019, visita improvvisa al Walter Reed Medical Center e nuove illazioni. Oggi, stesso copione.

Il problema è il personaggio: Trump ha costruito la sua immagine sull’idea di forza, vitalità, invincibilità. E ogni acciacco, ogni piega nel fisico, diventa un varco nella narrazione. Certo, a 79 anni qualche cedimento è fisiologico. Ma non per lui. Non per l’uomo che si dichiara geneticamente perfetto, che snobba l’esercizio fisico, si nutre di fast food e invoca la Coca Cola col vero zucchero.
In piena campagna elettorale, ogni immagine pesa. Il confronto con Biden – più fragile ma clinicamente sorvegliato – è inevitabile. Trump si affida al carisma, ma il suo corpo è diventato terreno di scontro: simbolico, grottesco, iper-politico. Le foto restano lì, a raccontare una verità che nessun comunicato può negare. E stavolta, il gonfiore alle caviglie non è solo un dettaglio: è un indizio. O forse un pretesto. Ma in ogni caso, è già un caso.
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