Milano violenta: rapinata la mamma di Emanuela Folliero
Milano violenta, anzi… ancora di più! Emanuela Folliero, il volto televisivo de I Bellissimi su Rete 4, si sfoga via social dopo un episodio che rappresenta – purtroppo – la difficile situazione della sicurezza nella metropoli milanese. Una vittà dove la Folliero è nata 59 anni fa e in cui ha sempre abitato.
Senza accorgersi di nulla
“Non è possibile rubare ad una persona disabile. Non si può. Ma di cosa parliamo? Non si può andare in giro a Milano. Queste persone non hanno una coscienza”: queste alcune delle frasi che non si può non sottoscrivere. Protagoniste con lei di questo “fattaccio” la madre, una signora 96enne che si muove solo con il deambulatore e la zia di 93 anni.
In metropolitana
Questo il racconto di una Emanuela giustamente furibonda: “Erano circa le 13. Dovevo accompagnare mia madre e mia zia a fare una visita dall’otorino. Abbiamo preso la metropolitana rossa da Porta Venezia. Ho chiesto a mia madre di darmi la sua borsa e me la sono messa a tracolla. Che ingenua: pensavo che così sarebbe stata più al sicuro. Invece è sparita senza che me ne accorgessi”.
Una lama per tagliare la tracolla
Proseguendo nel racconto: “Come mi hanno suggerito le forze dell’ordine, hanno usato una lama per tagliare la tracolla. È sicuramente successo nel tragitto Porta Venezia-Loreto, ma in tutta sincerità io non ho visto chi sia stato: mi sono accorta di essere stata derubata solo quando mia madre mi ha chiesto indietro la sua borsa. Capito quanto successo in piazza Argentina, mia zia ha cominciato ad agitarsi e mia madre si è sentita male. E pensare che 5 anni prima un ladro era entrato in casa di notte e lei aveva avuto il sangue freddo di avvertire la polizia nascondendosi sotto le lenzuola. Stavolta invece è stato diverso, ha subìto il colpo”.
Il dispiacere per i ricordi persi
La Folliero conclude l’esposizione dei fatti: “Le ho riportate entrambe a casa e ho chiamato il dottore. Poi sono andata in metrò a “frugare“ nei cestini a meno nude e, non contenta, ho percorso tutto corso Buenos Aires. Non pensavo certo che avrei potuto ritrovare i soldi (200 euro) ma, magari, il ladro poteva essersi liberato della borsa che conteneva documenti, chiavi, occhiali da vista e soprattutto una serie di fotografie a cui mia madre è affezionatissima, perché mantenevano vivi i suoi ricordi, anche di mio padre che non c’è più”. Purtroppo nulla è stato rinvenuto. La Polizia ha garantito l’acquisizione delle telecamere per cercare di risalire al colpevole. A questo va aggiunta la spesa di 900 euro per cambiare la serratura di casa, lei cui chiavi erano contenute nella borsetta rubata.
Una violenza che ci tocca tutti e che influenza la nostra immagine all’estero
Ma la rabbia di Emanuela ha un elemento scatenante diverso, più intimo e comune a tante persone: “Non solo mi fa rabbia esser stata colpita nel momento in cui ero vulnerabile. Questa raffica di furti a cadenza quotidiana ci sta trasformando dentro. Con la percezione di insicurezza e il senso di impunità sono aumentate collera, diffidenza e paura. Io voglio essere libera di passeggiare nella mia città, andare in un bar senza abbracciare la borsa tenendola sulla pancia, non guardarmi sempre alle spalle. Vorrei essere serena anche quando mio figlio che ha 16 anni esce di casa: suoi amici sono stati derubati di scarpe e vestiti. Il punto è che non può essere la nostra libertà ad essere minata. Mi fa male ammetterlo, ma Milano non è più la stessa. La reputazione all’estero, con tutto questo stillicidio di notizie, è precipitata: me lo dicono le mie amiche che abitano fuori. Lo so che il problema non è solo milanese e riguarda tante altre città. Ma non è una consolazione”.
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In primo piano
Papa Francesco e la musica: arte, preghiera e incontro di anime

Il compianto Jorge Maria Bergoglio è senza dubbio il pontefice che ha saputo portare la musica nel cuore del messaggio spirituale. Amava il tango, apprezzava Claudio Baglioni, suggeriva Arvo Pärt per la meditazione e – unico nella storia recente – ha persino citato il grande musicista brasiliano Antonio Carlos Jobim in un documento ufficiale. La fede, per lui, aveva un ritmo tutto suo: profondo, inclusivo e – per certi versi sorprendentemente “rock”. Capace di riportare la Chiesa ai valori fondamentali di misericordia e accoglienza, in grado di fare sentire tutti accettati, ognuno coi propri difetti. Un potente che rinuncia alla sua potenza e si mostra al mondo con la sua sofferenza: soprattutto di questi tempi si tratta di un messaggio potentissimo, la straordinarietà della normalità Un uomo che arriva dalla fine del mondo che crede in un mondo migliore… non lo puoi facilmente fermare, proprio come il rock.
Un papa con la musica nel cuore (e nella mente)
Che Papa Francesco avesse un’anima musicale si era capito fin dall’inizio del suo pontificato. Cresciuto nei quartieri popolari di Buenos Aires, dove il tango era parte della quotidianità, ha sempre riconosciuto alla musica un potere unico: quello di unire le anime, parlare senza parole e guarire il cuore. Ma il suo rapporto con la musica non si fermava alla tradizione argentina.
L’arte che unisce
Fra gli artisti italiani più vicini a Papa Francesco c’è senza dubbio Claudio Baglioni, più volte ospite in Vaticano per eventi benefici. Il pontefice ha elogiato pubblicamente i testi del cantautore romano, capaci di raccontare le sfumature dell’umanità con delicatezza e profondità. Baglioni, da parte sua, ha ricambiato con affetto, definendo Francesco “una voce fuori dal coro” in grado di toccare corde profonde come solo un vero artista sa fare.
Consigli per la meditazione
Nei momenti di dolore o riflessione – come i giorni di lutto personale o collettivo – Papa Francesco ha invitato i fedeli a trovare nella musica una forma di preghiera. Una delle opere più adatte a questo scopo è senza dubbio il Te Deum del grande compositore estone Arvo Pärt, un capolavoro di spiritualità sonora: sospeso, essenziale, capace di trasportare l’anima in uno spazio sacro senza tempo. Perfetto per chi cerca raccoglimento, questo brano si trasforma in un ponte tra la terra e il cielo, tra il dolore e la speranza.
Jobim e l’arte dell’incontro: la musica come linguaggio di pace
In un gesto che ha sorpreso molti, Papa Francesco ha citato Antonio Carlos Jobim, uno dei padri della bossa nova, in un documento ufficiale. Nella sua visione pastorale, l’“arte dell’incontro” – espressione resa celebre da Jobim – è centrale: significa accogliere l’altro, costruire ponti, abbattere muri. Anche attraverso la musica. Una citazione che racchiude tutta la modernità di questo pontefice: capace di usare riferimenti colti e popolari per lanciare messaggi di unità, dialogo e misericordia.
La fede può suonare come una sinfonia
Papa Francesco è stato un uomo che parlava dritto al cuore della gente, anche con la musica. Con un’attitudine speciale per l’ascolta, citava i grandi della musica mondiale, consigliava brani per l’anima. Impossibile non ricordare il suo videomessaggio andato in onda durante l’ultimo festival di Sanremo, che conteneva un messaggio:
La musica è bellezza, la musica è strumento di pace. È una lingua che tutti i popoli, in diversi modi, parlano e raggiunge il cuore di tutti. La musica può aiutare la convivenza dei popoli.
Penso, in questo momento, a mia mamma che mi raccontava e mi spiegava alcuni brani di opere liriche facendomi conoscere il senso di armonia e i messaggi che la musica può donare. Penso direttamente a tanti bambini che non possono cantare, non possono cantare la vita, e piangono e soffrono per le tante ingiustizie del mondo, per le tante guerre, le situazioni di conflitto. Le guerre distruggono i bambini. Non dimentichiamo mai che la guerra è sempre una sconfitta.
in uno fra i tanti episodi informali che l’hanno visto protagonista nel quale, liberandosi dalle briglie del protocollo, si fece portare in un negozio di dischi a Roma per acquistare un vinile di musica classica. Un negozio che Papa Francesco conosceva bene, fin dai tempi in cui si recava a Roma in veste di sacerdote e poi come cardinale di Buenos Aires, nel periodo in cui aveva preso alloggio nella vicina Casa del Clero di via della Scrofa.
In copertina su Rolling Stone
Più volte in copertina su riviste come Rolling Stone, sia nella sua edizione americana che italiana, nel 2015 uscì Pope Francis – Wake Up!, l’album musicale con parole e preghiere dello stesso Bergoglio la cui uscita era stata annunciata, con gran fanfara mediatica, come il “disco prog” del Santo Padre. In un tempo di rumore stridente e distrazioni di ogni tipo, quasi sempre malsane, il Santo Padre ci ha insegna che anche una nota può diventare preghiera. Soprattutto da oggi dove, senza di lui, in molti si sentiranno un po’ più soli.
Cronaca
Il nostro grazie commosso a Papa Francesco: una luce che continuerà a guidarci
Con la sua umiltà, il suo coraggio e il suo amore per gli ultimi, Papa Francesco ha lasciato un segno indelebile nella storia della Chiesa e dell’umanità.

Oggi, come direttore di LaCity Magazine e a nome di tutta la nostra redazione, desidero esprimere il nostro più profondo cordoglio per la scomparsa di Papa Francesco. La notizia della sua morte ci ha raggiunti all’alba, colpendoci nel cuore in un modo che è difficile descrivere. Non si spegne soltanto una delle figure più amate e rivoluzionarie della Chiesa cattolica contemporanea; si spegne una luce che ha illuminato, per oltre un decennio, il cammino del mondo intero, non solo dei fedeli.
Jorge Mario Bergoglio è stato, e resterà, un esempio di rettitudine, coraggio e straordinaria applicazione del Vangelo nella vita concreta. In un’epoca in cui troppe volte la coerenza tra parole e azioni si è fatta labile, Papa Francesco ha saputo testimoniare con forza che la fede non è un concetto astratto, ma un impegno quotidiano fatto di gesti, ascolto e servizio.
Il suo sorriso disarmante, la sua semplicità autentica, la sua voce ferma ma mai arrogante hanno incarnato una Chiesa capace di parlare al cuore di tutti. Francesco non ha mai cercato il consenso. Ha cercato l’incontro, il perdono, la verità. È stato il Papa dei ponti, non dei muri. Il Papa che non ha avuto paura di chinarsi davanti al dolore dei migranti, degli emarginati, dei poveri, degli scartati dalla società.
Come non ricordare la sua solitudine eroica quella sera di pioggia, in una Piazza San Pietro deserta, durante la pandemia? In quell’immagine, che resterà per sempre scolpita nella memoria collettiva, c’era tutta la grandezza di quest’uomo: fragile e fortissimo, umile e immenso, capace di farsi piccolo davanti a Dio e di elevarsi come guida morale universale.
Papa Francesco ci ha insegnato a vivere il Vangelo non come un elenco di precetti, ma come un movimento dell’anima verso l’altro. “Chi sono io per giudicare?”, disse nel 2013, cambiando in una sola frase la storia della Chiesa moderna. Con quell’umanità disarmante ha aperto nuove strade di inclusione e di misericordia, rimanendo sempre fedele alla verità più profonda della fede cristiana: l’amore.
Anche nel momento più buio della Chiesa, quello delle ferite inferte dagli abusi, non ha taciuto. Non ha coperto, non ha voltato lo sguardo. Ha affrontato il dolore, ha chiesto perdono, ha imposto riforme. Con la forza mite di chi sa che la verità può far male, ma è l’unica strada che salva.
Come direttore, come cristiano, come semplice essere umano, sento oggi il bisogno di dire grazie. Grazie per averci insegnato a non avere paura della tenerezza. Grazie per averci ricordato che il vero potere sta nel servire, e che l’autorità spirituale non si misura in privilegi ma in capacità di chinarsi sulle ferite del mondo.
A Papa Francesco dobbiamo la rinascita di una Chiesa che, senza paura, ha camminato nei deserti dell’indifferenza per portare semi di speranza. Dobbiamo il coraggio di una voce che, sola tra i potenti della terra, ha saputo alzarsi a difesa del creato, degli ultimi, della dignità umana.
La sua morte ci lascia un vuoto immenso. Ma la sua eredità è una promessa. È il Vangelo vivo che continua a chiamarci, ogni giorno, a essere operatori di pace, testimoni di amore, costruttori di fraternità.
In queste ore di lutto e di preghiera, affido al cuore di ciascuno il suo ultimo, silenzioso insegnamento: vivere pienamente il tempo che ci è dato, seminando speranza anche nei terreni più aridi. Come lui ha fatto, instancabilmente, fino all’ultimo respiro.
Da tutta LaCity Magazine, dal nostro cuore più autentico, salga una sola parola: grazie, Santo Padre. Continueremo a camminare sulle strade che ci ha indicato. E porteremo nel mondo, come meglio potremo, la luce che ci ha lasciato.
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Dove rivolgersi
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