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Tutto quello che forse non sai su Lucio Corsi

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    Al secondo posto sul palco dell’Ariston e, per effetto della rinuncia di Olly, rappresenterà il nostro Paese all’Eurovision. Ecco qualche curiosità sul talentuoso autore di Volevo essere un duro che, in questo video, viene presentata in una suggestiva versione acustica…

    Le origini

    Lucio Corsi nasce il 15 ottobre 1993 a Val di Campo di Vetulonia, un piccolo borgo in provincia di Grosseto, nel cuore della Toscana. Del segno della Bilancia, oggi ha 31 anni. La sua inclinazione artistica potrebbe avere origini familiari: sua madre, Nicoletta Rabiti, è una pittrice, mentre suo padre, Marco Corsi, ha svolto molteplici mestieri, tra cui operatore Rai, muratore e artigiano del cuoio.

    Il primo approccio alla musica
    L’amore per la musica sboccia grazie a un film cult: The Blues Brothers. Ispirato da questa pellicola, nel 2011, all’età di 18 anni, inizia a esibirsi nei locali e nelle piazze della sua città, dando il via al suo percorso musicale.

    Dall’EP d’esordio al primo album
    Il 2014 segna l’uscita del suo primo EP, Vetulonia Dakar, un lavoro che attira l’attenzione del pubblico e della critica. Lo stesso anno ha l’opportunità di aprire un concerto degli Stadio. L’anno successivo pubblica il suo primo lavoro, Altalena Boy/Vetulonia Dakar, un extended play che riceve ottime recensioni e lo consacra tra i talenti emergenti della scena musicale italiana.

    Moda e passerelle
    Il talento di Lucio Corsi non si limita alla musica. Nel 2018 viene scelto dal prestigioso brand Gucci per la campagna Cruise 2018 e ha l’opportunità di sfilare nella prestigiosa cornice di Palazzo Pitti a Firenze, confermando la sua versatilità artistica.

    Il debutto come attore
    Lucio Corsi approda anche nel mondo della recitazione, partecipando alla terza stagione di Vita da Carlo, la serie diretta e interpretata da Carlo Verdone. Nella fiction interpreta se stesso, coinvolto in un intreccio narrativo in cui Verdone, nominato direttore artistico del Festival di Sanremo, consulta Roberto D’Agostino alla ricerca di nuovi talenti. Il giornalista gli suggerisce proprio il nome del cantautore toscano, sottolineando il suo talento unico.

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      Chi trova un cane trova un tesoro

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        Perché i video dei cani spopolano sui social? La risposta è semplice: perché sono l’unico contenuto online che riesce a farci sorridere senza bisogno di filtri, balletti o citazioni motivazionali su sfondo tramonto.​

        Influencer inconsapevoli

        I cani sono gli influencer naturali: non hanno bisogno di trucco, sanno fare la faccia da cucciolo meglio di chiunque altro e, soprattutto, non giudicano se guardi lo stesso video 37 volte di fila.​ Quando un cane balla sotto la pioggia con più grazia di Gene Kelly, o partecipa a una challenge mettendo la zampa sulla mano del padrone, il nostro cuore si scioglie come un gelato al sole.​

        E se un Labrador canta Who Let the Dogs Out con il suo umano, beh, è ovvio che il video diventi virale: è l’unico duetto in cui nessuno stona.​ In un mondo pieno di notizie tristi e bollette da pagare, i video dei cani sono la nostra dose quotidiana di felicità gratuita.​ E se il cane protagonista è anche un po’ goffo o combina qualche marachella, il successo è assicurato: perché, ammettiamolo, ci piace vedere che anche gli altri fanno figuracce… soprattutto se hanno la coda.

        E i gatti?

        Sui social è guerra fredda: da un lato i video dei cani, maestri di goffaggine e coccole, dall’altro i gatti, divinità pelose che ignorano l’umanità con stile. I cani fanno ridere, i gatti fanno meme. I primi ci amano incondizionatamente, i secondi ci tollerano con superiorità. Ma alla fine? Piacciono entrambi: uno ci fa sentire amati, l’altro giudicati… come ogni sana relazione digitale che si rispetti.

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          Quando Satana suona all’Alcatraz, Padre David cerca di redimere le pecorelle metallare smarrite

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            Un sacerdote armato di croce e buona volontà tenta l’impresa impossibile: redimere i fan del metal estremo fuori dall’Alcatraz di Milano a suon di benedizioni. Ma i “seguaci di Satana” avevano già un’altra liturgia in programma: pogo, birra e chitarre distorte. Cronaca semiseria di una serata tra inferi e benedizioni.

            Cronaca di un esorcismo annunciato

            Lo aveva annunciato sulla sua pagina Instagram lanciando un appello ad unirsi alla sua missione «benedire la discoteca Alcatraz con acqua santa e sale benedetto, seguirà poi l’esorcismo per allontanare il maligno». Padre David, personaggio social noto per i suoi esorcismi e per le posizioni ultracattoliche, si è palesato davanti alla discoteca milanese per benedire i fan del gruppo death metal polacco Behemoth e «annullare le devastanti conseguenze spirituali che la “messa nera” in atto con il loro concerto porterà a Milano e ai suoi abitanti».

            Il metal chiama, il prete risponde

            L’Alcatraz brulica di anime dannate, ovvero giovani (e meno giovani) vestiti di nero, borchie, eyeliner sbavato e magliette con scritte incomprensibili. Il concerto metal è l’evento clou della settimana infernale. Ma c’è un plot twist: Padre David si piazza fuori dai cancelli per riportare le pecorelle smarrite all’ovile. Spoiler: non finirà bene…

            Benedizioni vs imprecazioni

            Armato di crocifisso d’ordinanza, Bibbia ed entusiasmo da oratorio estivo, il sacerdote-influencer comincia la sua missione. Benedice, prega, ammonisce. I metallari, però, lo ringraziano con cori da stadio e birre alzate al cielo. Alcuni si fanno anche benedire, giusto per sicurezza spirituale prima del pogo. Un ragazzo urla: “Prete, stasera si va tutti all’inferno, vieni anche tu!”. Invito naturalmente rifiutato con garbo ma… panico negli occhi.

            Redenzione in 7/8

            Il tentativo di conversione sfuma tra riff di chitarra e bestemmie in metrica dispari. L’unico miracolo? Il prete non perde la pazienza. Anzi, a fine serata sembra quasi divertito. Forse, in fondo, l’inferno non è così male… se ha una buona colonna sonora. Alla fine, mentre il fumo dei fumogeni si dissolve e la musica tace, il prete si allontana sconfitto ma sereno. I metallari restano fedeli al loro culto: volume al massimo e dannazione a tempo di batteria. E il buon Dio, che di questi tempi ha problemi più seri da osservare, probabilmente ride sotto i baffi…

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              Amanda Knox canta la sua verità insieme al chitarrista dei Pearl Jam

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                Torna sotto i riflettori, ma questa volta non per questioni giudiziarie: Amanda Kox si esibisce con la Exoneree Band, la band dei “condannati ingiustamente”, alla Innocence Network Conference di Seattle. Ospite d’eccezione: il chitarrista dei Pearl Jam, Mike McCready. Un evento carico di significato, tra musica, giustizia e memoria.

                Da simbolo di un errore giudiziario a voce per l’innocenza

                La donna è salita sul palco della Innocence Network Conference a Seattle, condividendo la sua voce e la sua storia insieme alla Exoneree Band, un gruppo formato da ex detenuti ingiustamente incarcerati. La performance è stata documentata sul suo profilo Instagram, dove Amanda ha scritto: “Con oltre 100 anni di reclusione ingiusta tra noi”.

                La storia della band

                Una formazione musicale composta da persone che hanno vissuto il dramma di essere incarcerate per crimini che non hanno commesso. Ogni brano, ogni nota, racconta storie di sofferenza, resilienza e liberazione. Amanda Knox, assolta definitivamente per l’omicidio di Meredith Kercher dopo aver trascorso 4 anni in carcere in Italia, è oggi una delle voci simbolo del movimento per la riforma della giustizia penale.

                Mike McCready dei Pearl Jam: musica e impegno civile

                Durante la serata, sul palco è salito anche Mike McCready, storico chitarrista dei Pearl Jam, da sempre impegnato in cause sociali e civili. Sua moglie Ashley McCready è presidente del consiglio del Washington Innocence Project, che si batte per la revisione dei processi e la liberazione degli innocenti condannati.

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