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Sport

A Napoli arriva Conte… e parla già in dialetto!

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    Il neo Mister del Napoli Antonio Conte, a quanto pare, si è già perfettamente ambientato nella città di Pulcinella, di Totò, di Troisi, di Pino Daniele… e di Maradona! Talmente a suo agio da cominciare a parlare in dialetto. Il messaggio rivolto ai tifosi è chiaro: “Messaggio ai tifosi? Posso dire una cosa: “amma faticà”. Che la dice lunga sia sulla voglia di entrare subito nel vivo dell’azione, con la consapevolezza che non si tratterà certo di una passeggiata di salute.

    La magia di una città

    Agglomerato di usi, costumi e tradizioni diverse, che qui riescono a trovare il modo di coesistere, legate al tessuto sociale e in grado di unire tutte le generazioni, dai bambini agli anziani, passando per gli adolescenti. Le tradizioni non sono legate solo a eventi religiosi (San Gennaro su tutti) ma si legano soprattutto ad avvenimenti storici e politici della città. Il tutto unito da un collante comune: l’amore per la squadra del Napoli!

    Tanta voglia di ricominciare…

    Dopo una stagione decisamente deludente, l’obiettivo della squadra è quello di tornare subito ai vertici del calcio nazionale. Per farlo, sulla panchina partenopea è quindi arrivato un allenatore di prestigio come Antonio Conte. Il quale, nel corso della sua prima intervista ai canali ufficiali del club, ha voluto tracciare qualche liena guida iniziale su quello che si aspetta da questa avventura. In una città dove, oltre alla pizza, agli spaghetti e al caffè… si campa di calcio!

    Un’occasione unica

    Queste sono state le sue prime parole: “Se mi dicono Napoli mi vengono in mente tante cose: una delle città più belle al mondo, per prima cosa. Sarà una grandissima esperienza professionale e di vita e ho tanta voglia di viverla. Avendo l’opportunità di fare questo mestiere, vivere un’esperienza al Napoli deve essere qualcosa di unico che devi fare se ti capita l’occasione”.

    Con Diego nella mente

    I ricordi di Conte giocatore corrono ad una data per lui fatidica: “Lo stadio Maradona mi evoca un grande ricordo: Napoli-Lecce, ebbi il privilegio di marcare Maradona. Perdemmo 3-2, ma il ricordo più grande è stato quello del mio primo gol in Serie A, il tutto mentre dovevo marcare Maradona. Fu una grandissima soddisfazione”.

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      Calcio

      Grazie Inter, grazie Barcellona: la notte di San Siro che ha incantato il calcio europeo

      Una partita leggendaria, da standing ovation planetario. L’Inter vince 4-3 e vola in finale, dopo due ore di dramma calcistico, emozioni surreali e un gol da centravanti di Acerbi al 93’. Una semifinale che resterà negli annali.

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        Se il calcio fosse una disciplina olimpica dell’anima, Inter-Barcellona sarebbe la finale dei sogni. Ma a volte i sogni diventano veri, e lo stadio diventa teatro, tempio, arena, incubo e redenzione insieme. Nella notte di San Siro, la Champions League ha vissuto una delle sue partite più belle di sempre, e non sono solo i tifosi interisti a dirlo. Lo dice la BBC, che ha rilanciato le parole di Alan Shearer: “Forse la semifinale più epica della storia”. Lo dice The Telegraph, che ne elenca sei motivi. E lo dice Le Figaro, parlando di “sfida leggendaria”. Il calcio europeo si è fermato per assistere a una battaglia campale, un 4-3 da brividi, il seguito perfetto del 3-3 dell’andata al Camp Nou. Tredici gol in due partite. Tredici lampi che resteranno impressi nella memoria.

        E se c’è una richiesta unanime, è questa: UEFA, non fateci aspettare altri 15 anni per rivedere Inter-Barcellona in semifinale. Perché da Mourinho contro Guardiola nel 2010 a Inzaghi contro Xavi oggi, ogni volta che queste due squadre si incrociano in Europa, succede qualcosa che travolge schemi e statistiche. Succede il calcio allo stato puro. Succede la follia.

        San Siro, pieno come non mai, ha trattenuto il respiro fino all’ultimo minuto. Al 93′, quando tutto sembrava perduto, è arrivato l’uomo inatteso: Francesco Acerbi, 37 anni, difensore di mestiere, bomber per un attimo. Si è ritrovato in area come un attaccante navigato, ha controllato di destro e ha segnato di sinistro, con l’eleganza di chi non dovrebbe trovarsi lì e invece ci sta benissimo. Un gol da volpe, come lo ha definito L’Équipe, che ha rimandato tutto ai supplementari. Da lì, altri trenta minuti di apnea collettiva, un’altalena emotiva in cui è successo tutto, e il contrario di tutto.

        Nel delirio, c’è spazio anche per un paradosso: l’uomo partita è un portiere che ha subito tre gol. Yann Sommer, 35 anni, svizzero, è stato semplicemente magico. Le sue parate su Lamine Yamal al 76’ e al 116’, quella su Eric Garcia al 57’, il riflesso su Raphinha al 119’: interventi da poster. Più che un portiere, un portale antipanico, l’ultimo baluardo in una difesa spesso lasciata scoperta. Eppure Sommer non ha tremato. Ha tenuto. E ha permesso all’Inter di restare viva.

        Sul versante opposto, resta il rimpianto di un Barcellona meraviglioso e incompiuto, capace di dominare a tratti, ma punito da un’Inter che si rifiuta di morire. Lamine Yamal, a 16 anni, ha fatto impazzire la fascia, è stato “il divino maranza” come lo ha battezzato qualcuno, ma è uscito con le cuffie rosa in testa e la delusione sulle spalle. Marca titola: “Mancava solo un minuto”, con la foto del prodigio catalano stremato a terra. El Mundo Deportivo saluta con un “Addio epico”, mentre Sport si spacca tra le lacrime e l’orgoglio.

        Ma il pathos non ha confini. Persino la CNN parla di “puro dramma”, The Athletic di “sensazionale”, Olé celebra Lautaro Martinez, sempre decisivo nelle notti pesanti. E A Bola, giornale portoghese, azzarda: “Se il calcio fosse esistito nel Cinquecento, questa partita l’avrebbe dipinta Leonardo da Vinci”. Improbabile, forse. Ma quanto ci piacerebbe crederlo.

        L’Inter, nel suo spirito più autentico, quello della “pazzia” trasformata in identità, conquista così una finale di Champions che mancava dal 2010, anno dell’ultima cavalcata vincente. Ma questa è un’altra storia, scritta da altri uomini. Quella di oggi è la storia di una squadra che non si arrende mai. Che va sotto. Che pareggia. Che trema. Che segna. Che prende gol. Che si rialza. E che alla fine vince.

        E se oggi in Europa si parla dell’Inter come del miglior spot per il calcio, non è solo per il risultato. È per lo spettacolo puro, per il ritmo forsennato, per l’adrenalina collettiva. È per aver riportato tutti a quello stato d’animo primordiale in cui la partita è più grande del torneo, del business, della tattica. Dove conta solo correre, segnare, crederci.

        La finale ora aspetta. Ma intanto, una cosa è certa: questa semifinale resterà. Nei ricordi, nei video, nei titoli dei giornali, nei bar di tutta Europa. Perché Inter-Barcellona, 4-3, è stato calcio allo stato selvaggio. E ogni tanto, il calcio deve ricordarsi di essere anche questo.

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          Sport

          Perché la Ferrari è bianca e blu al Gran Premio di Miami: il look inedito che accende la Formula 1

          In occasione del GP di Miami, la Ferrari rompe con la tradizione e si presenta in pista con una livrea divisa a metà: davanti Rosso Ferrari, dietro blu e bianco. Non è la prima volta che Maranello sperimenta nuovi colori, ma mai così vistosamente. Una scelta che mescola spettacolo, strategia e un pizzico di nostalgia.

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            Il Gran Premio di Miami non è solo una tappa del mondiale: è una sfilata, uno show, una celebrazione della Formula 1 in versione americana. E per l’occasione, la Ferrari ha deciso di vestirsi a festa. Ma non con il consueto Rosso Corsa: stavolta sulla SF-25 brillano il bianco e l’azzurro, in una livrea tanto scenografica quanto inedita, che ha già fatto discutere i puristi.

            Il frontale resta fedele al DNA della Scuderia, ma la parte posteriore sfuma nel blu e nel bianco, colori che celebrano la partnership con HP, sponsor che festeggia proprio a Miami il suo primo anniversario con Maranello. A presentare la nuova veste, Charles Leclerc, Lewis Hamilton e il Team Principal Fred Vasseur, svelando l’auto in mezzo a una folla festante. Sul telo che la copriva, i messaggi dei tifosi, scritti nell’ambito dell’iniziativa Messages of Forza, quasi a voler caricare di emozione un gesto altamente simbolico.

            Ma la Ferrari che cambia colore non è una novità assoluta. Già un anno fa, sempre a Miami, il Cavallino aveva giocato con l’azzurro — nelle sue due sfumature ufficiali: La Plata, più chiaro, e Dino, più intenso — tingendo non solo la monoposto ma anche le tute dei piloti. Un colore che fa parte della tradizione della scuderia, anche se di solito resta in secondo piano dietro al rosso iconico.

            E poi c’è il giallo. Il Giallo Modena, tanto caro a Enzo Ferrari, che rimanda alle radici emiliane del marchio e che ogni tanto riappare, soprattutto al GP di Monza, come già accaduto nel 2022 e nel 2023. Non è solo estetica: è un omaggio alla storia. Lo stesso vale per il Rosso Amaranto, scelto nel 2020 per celebrare le 1000 gare in Formula 1 al Mugello, una tonalità che rievocava le prime corse degli anni ’50.

            A Las Vegas, nel 2023, la Ferrari aveva scelto una livrea che mescolava rosso e bianco, richiamando gli anni ’70 e ’80 — decenni d’oro per la scuderia negli Stati Uniti. Stavolta, però, a Miami, il salto è più audace: la divisione visiva tra le due metà della vettura è netta, quasi grafica, e si impone sullo sfondo di un evento che è già di per sé una festa dello sfarzo.

            Dietro alla scelta, ovviamente, c’è anche la strategia. In un mondo dove immagine, marketing e performance convivono sempre più strettamente, una Ferrari diversa serve a ribadire una presenza forte, a colpire l’occhio e a far parlare. E se Miami è la vetrina perfetta per farlo, perché non sfruttarla fino in fondo?

            Ora resta da vedere se questo nuovo look porterà anche fortuna. Perché va bene il colore, va bene lo spettacolo, ma alla fine quello che conta — in pista e fuori — è sempre e solo una cosa: la vittoria. E lì, come sempre, a parlare dovrà essere il cronometro.

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              Sport

              Da Messi a Yamal: il talento è genetico o un’arte tramandata?

              Il giovane fenomeno del Barcellona Yamal incanta con dribbling da serpente e un’intelligenza di gioco fuori dal comune. Il paragone con la Pulce è inevitabile, ma la sua evoluzione potrebbe riscrivere le regole del calcio moderno.

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                A soli 17 anni, Lamine Yamal ha già lasciato un segno indelebile nel calcio mondiale. Il talento del Barcellona, protagonista all’Europeo e in Champions League, incanta. Dribbling fulminei, una visione di gioco straordinaria e un’innata capacità di anticipare il movimento degli avversari. Che vuoi di più da un attaccante. Le sue qualità lo pongono nel solco dei più grandi, ma la sua evoluzione sembra procedere su un binario tutto suo, evitando paragoni scontati con Lionel Messi, il fuoriclasse con cui inevitabilmente viene spesso accostato.

                Dribbling da serpente e tocco da artista

                Uno degli aspetti più impressionanti del gioco di Yamal è la sua capacità di saltare l’uomo con un’eleganza che sfiora l’impossibile. A differenza di Messi, che sfruttava il suo baricentro basso e l’accelerazione esplosiva, Yamal è longilineo e gioca con movimenti più sinuosi, quasi fluttuanti, simili a quelli di un serpente. La sua falcata ampia gli permette di attraversare le difese, non con la potenza, ma con una leggerezza studiata che disorienta gli avversari. Questo stile di gioco si traduce nella capacità di adattarsi alle situazioni di gioco con un’intelligenza motoria che gli consente di variare movimenti e direzioni con una fluidità eccezionale. Anche il tocco di palla è fuori dal comune. Mancino raffinato, Yamal ha una sensibilità tecnica che gli permette di calibrare il pallone in soluzioni differenti, che vanno dai passaggi rasoterra agli assist millimetrici, fino ai tiri che sfiorano l’incrocio dei pali.

                Velocità neurale: il potere di prevedere l’azione di gioco

                Se c’è un aspetto che accomuna Yamal e Messi, è la loro straordinaria velocità mentale. Studi scientifici hanno dimostrato che Messi aveva una capacità superiore nel processare le informazioni visive, anticipando i movimenti degli avversari con qualche millisecondo di vantaggio. Yamal sembra possedere una facoltà simile, riuscendo a intuire le intenzioni del difensore, leggendo il gioco con un anticipo quasi innaturale. Si tratta di un’abilità che va oltre la tecnica pura. E’ una capacità neurale, una forma avanzata di comprensione del calcio che gli permette di adeguare il proprio movimento a quello degli avversari, inducendoli spesso a commettere errori. La sua intelligenza nel gioco non si traduce solo in dribbling, ma anche nella costruzione dell’azione: sa quando accelerare, quando rallentare, quando aspettare e quando colpire con precisione chirurgica.

                Tiro in porta: precisione e potenza nei momenti chiave

                Nonostante la sua giovane età, Yamal ha già dimostrato di avere un senso del gol sviluppato. Il suo tiro combina potenza, precisione e sensibilità, permettendogli di trovare la rete anche nelle situazioni più complesse. Un esempio? Il gol decisivo contro l’Inter in Champions League, quando, accerchiato da cinque avversari, è riuscito a scaricare un tiro perfetto, incastrando il pallone nell’unico spazio disponibile per battere Sommer. Una giocata di puro talento e istinto. Ma il gol non è solo un gesto tecnico: per Yamal, è spesso il punto di svolta. Come nel caso della semifinale di Euro2024 contro la Francia, quando, sotto di un gol, ha ribaltato l’inerzia del match con un tiro magistrale che ha colpito il palo interno, cambiando le sorti della Spagna.

                Lamine Yamal: che bellezza, il suo meglio deve ancora venire…

                Grazie al cielo il percorso di Yamal è solo all’inizio. A differenza di Messi, che ha impiegato più tempo prima di imporsi nel Barcellona, il giovane talento sta bruciando le tappe con numeri da predestinato: alla sua 100esima partita con il Barça, ha già 22 gol e 31 assist, un bilancio che lo rende il più giovane protagonista della nuova era blaugrana. Ma la cosa più affascinante è che ogni sua fase di sviluppo sembra solo una tappa intermedia, un preludio di ciò che potrebbe diventare. Un giocatore che sta riscrivendo le regole del calcio moderno, con un mix unico di talento, rapidità e visione di gioco.

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