Mondo
Il dolore della giornalista tedesca: «Mio nonno nazista ordinò una strage, chiedo scusa»
A ottant’anni dal tragico massacro di San Polo, Laura Ewert, giornalista tedesca, si confronta con il passato oscuro del suo nonno, il comandante nazista responsabile. La sua testimonianza apre un capitolo di riflessione e ricerca della verità su uno dei capitoli più dolorosi della Seconda Guerra Mondiale in Italia.

Nel cuore della Toscana, tra le dolci colline che circondano Arezzo, risuona ancora il dolore di una tragedia che ha segnato profondamente la comunità di San Polo. Ottanta anni fa, il destino di questa piccola frazione venne sconvolto dall’orrore della guerra e dalla brutalità del regime nazista. Il 14 luglio 1944, mentre l’Italia si preparava alla liberazione, il colonnello Wolf Ewert, al comando del 274° reggimento della Wehrmacht, emise un ordine che avrebbe segnato per sempre le vite di decine di persone innocenti. Tra loro, c’erano civili, presunti partigiani e anche chi non aveva alcuna colpa se non quella di trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato.
“È una storia che mi riempie di tristezza, dolore e vergogna, anche per la mia famiglia”, ha dichiarato Laura Ewert, giornalista tedesca e pronipote del colonnello Ewert, durante un commovente intervento a un convegno sulle stragi dimenticate. La sua voce, carica di emozione e consapevolezza, ha portato alla luce una verità a lungo taciuta. Laura si trova in una posizione delicatissima, portando con sé non solo il peso di un nome infame, ma anche il desiderio ardente di giustizia e riconciliazione.
Ma oggi, a distanza di decenni, un raggio di speranza si affaccia sul buio della memoria. Da una conferenza in Germania, Laura ha fatto sentire la sua voce, portando con sé non solo il peso di un nome infame, ma anche il desiderio ardente di giustizia e riconciliazione.
Il massacro di San Polo, che ha visto coinvolte circa ottanta vittime innocenti, è stato un episodio tragico della Seconda Guerra Mondiale. Guidati dal tenente Klaus Konrad, i soldati tedeschi hanno giustiziato civili e presunti partigiani, provocando un dolore indelebile nella comunità locale.
Laura Ewert ha sottolineato l’importanza di educare le future generazioni sulla tragedia, non nascondendo la colpa della sua famiglia. “Dobbiamo chiedere perdono per i lutti causati dal nonno”, ha dichiarato, evidenziando il suo impegno a narrare la verità attraverso il giornalismo e la memoria storica.
Il convegno ha riunito esperti come lo storico Carlo Gentile e giornalisti tedeschi come Udo Gumpel e Christiane Kohl, impegnati nella ricerca della verità su episodi di violenza nazista in Italia. Gumpel, in particolare, ha raccontato la storia di Konrad e del colonnello Ewert, evidenziando il percorso di giustizia e memoria che ancora continua.
Laura Ewert ha concluso il suo intervento con un appello alla consapevolezza collettiva: “L’orrore del fascismo non deve mai ripetersi”. Il suo contributo alla ricerca della verità su San Polo è stato commovente e significativo, rappresentando un passo verso la comprensione e la riconciliazione storica.
Il 14 luglio, Laura Ewert intende partecipare all’anniversario della strage a San Polo, testimoniando il suo impegno personale per la memoria delle vittime e per un futuro di pace. La sua storia, piena di emozioni e riflessioni, continua a stimolare un dialogo importante sulla memoria storica e sulle responsabilità individuali e collettive nel contesto delle tragedie del passato.
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Mondo
Trump e quel livido viola sulla mano: mistero sulla salute del presidente tra gonfiori, trucco e smentite
La Casa Bianca parla di semplici “strette di mano” e di aspirina, ma il gonfiore alle caviglie e la diagnosi di insufficienza venosa alimentano nuove speculazioni sulla resistenza fisica del presidente più discusso del mondo.

Donald Trump, 79 anni, non è nuovo a polemiche, ma questa volta non c’entrano né la politica né i comizi incendiari. Stavolta al centro dell’attenzione c’è un dettaglio fisico: un livido viola, vistoso, comparso sulla mano destra del presidente. L’ematoma, immortalato dai fotografi durante l’incontro con il presidente sudcoreano Lee Jae Myung nello Studio Ovale, ha immediatamente fatto il giro del mondo.



Trump di solito copre le imperfezioni con un velo di fondotinta: stavolta, però, il segno era troppo evidente per passare inosservato. Una macchia che ha alimentato il tam tam sui social e che ha risvegliato vecchi sospetti sulla sua salute.
La portavoce della Casa Bianca, Caroline Leavitt, si è affrettata a minimizzare: «Si tratta solo di una lieve irritazione dei tessuti molli, causata da frequenti strette di mano e dall’uso quotidiano di aspirina». Una spiegazione ribadita anche dal suo medico personale, il dottor Ronny Jackson, che ha assicurato: «Il presidente gode di buona salute».
Eppure il livido non è l’unico segnale che fa discutere. Già il mese scorso la stessa Casa Bianca aveva rivelato che a Trump è stata diagnosticata una “insufficienza venosa cronica”, responsabile del gonfiore alle caviglie. Una condizione che di certo non mette a rischio immediato la vita, ma che per l’opinione pubblica suona come un campanello d’allarme: soprattutto per un uomo che ha appena riconquistato lo Studio Ovale e che si presenta come simbolo di forza e resistenza.
Nelle foto trapelate, oltre al livido sulla mano, spiccano i piedi gonfi nelle scarpe lucide. I detrattori ne fanno motivo di ironia, i sostenitori parlano invece di “attacchi strumentali”. Ma l’immagine resta: quella di un leader che non riesce più a mascherare i segni del tempo, nonostante il fondotinta e la retorica muscolare.
Per i suoi avversari,non è più l’uomo in grado di reggere la pressione di un secondo mandato. Per i suoi fan, invece, il livido è solo un dettaglio: “anche gli eroi stringono mani e portano cicatrici”. La verità, come spesso accade con Trump, resta sospesa tra propaganda, ombre e immagini che parlano da sole.
Mondo
Caviglie gonfie e lividi sulle mani: mistero Trump, la rete impazzisce di nuovo per la salute del presidente
Una foto basta. Una caviglia un po’ troppo gonfia, un livido dimenticato sul dorso della mano. E il web si incendia. L’ultimo mistero firmato Donald Trump nasce così: uno scatto rubato durante una partita di calcio e centinaia di teorie che esplodono in rete come popcorn sotto pressione. Sta bene o no? È solo il caldo o c’è sotto qualcosa di più serio?

Succede tutto in poche ore. Il presidente – 79 anni portati come può – viene fotografato sugli spalti del mondiale per club in New Jersey. Gamba destra visibilmente gonfia, andatura rigida. A quel punto la rete si divide tra diagnosti improvvisati e commentatori professionisti del sospetto. Chi grida al diabete, chi alla trombosi, chi ipotizza una circolazione da rottamare. E poi ci sono i lividi: piccoli ematomi sulle mani, già notati in passato, oggi di nuovo protagonisti.
La Casa Bianca prova a spegnere il fuoco: “Trump gode di ottima salute, lavora giorno e notte, i segni sono solo effetto di troppe strette di mano”. Niente aghi, niente flebo, solo protocollo sociale. Ma il popolo digitale non ci crede. E non dimentica. Nel 2016 il suo medico personale lo aveva definito “il presidente più sano della storia”. Frase scritta da Trump stesso, poi ammessa pubblicamente. Nel 2019, visita improvvisa al Walter Reed Medical Center e nuove illazioni. Oggi, stesso copione.

Il problema è il personaggio: Trump ha costruito la sua immagine sull’idea di forza, vitalità, invincibilità. E ogni acciacco, ogni piega nel fisico, diventa un varco nella narrazione. Certo, a 79 anni qualche cedimento è fisiologico. Ma non per lui. Non per l’uomo che si dichiara geneticamente perfetto, che snobba l’esercizio fisico, si nutre di fast food e invoca la Coca Cola col vero zucchero.
In piena campagna elettorale, ogni immagine pesa. Il confronto con Biden – più fragile ma clinicamente sorvegliato – è inevitabile. Trump si affida al carisma, ma il suo corpo è diventato terreno di scontro: simbolico, grottesco, iper-politico. Le foto restano lì, a raccontare una verità che nessun comunicato può negare. E stavolta, il gonfiore alle caviglie non è solo un dettaglio: è un indizio. O forse un pretesto. Ma in ogni caso, è già un caso.
Mondo
Elon Musk nel mirino dell’Europa: maxi-multa da 1 miliardo per X?
L’Unione Europea prepara la scure contro Elon Musk e il suo social “X”: secondo fonti interne, Bruxelles potrebbe infliggere una sanzione superiore al miliardo di dollari per violazione del Digital Services Act. Tra i punti contestati: contenuti illeciti, scarsa trasparenza e un approccio troppo “libero” alla disinformazione. Musk grida alla censura, ma intanto si apre un potenziale scontro istituzionale senza precedenti tra Bruxelles e uno degli uomini più ricchi (e influenti) del pianeta.

Altro che tweet. Elon Musk si prepara a una battaglia a colpi di avvocati con l’Unione Europea, che ha messo nel mirino X, la piattaforma social ex Twitter, per presunte violazioni al Digital Services Act (DSA). Secondo fonti autorevoli, Bruxelles starebbe valutando una multa da oltre un miliardo di dollari, la più pesante mai inflitta sotto la nuova legge europea per i servizi digitali.
Il motivo? Disinformazione, contenuti illeciti, scarsa trasparenza sugli inserzionisti e utenti “verificati” senza reali controlli. Insomma, X – secondo le accuse – sarebbe diventata una sorta di centro di smistamento per fake news, odio e propaganda, con buona pace della moderazione promessa.
Non è solo una questione di soldi: il caso è simbolico, perché rappresenta il primo banco di prova per il DSA, e Bruxelles sembra intenzionata a fare di Musk un esempio. O meglio, un monito. Il fatto che Elon sia anche un notorio supporter di Donald Trump non aiuta: i regolatori europei temono che qualsiasi concessione venga letta come un cedimento politico in un contesto già teso tra USA e UE.
Dal canto suo, Musk non ci sta. Dopo la pubblicazione dell’indiscrezione, X ha reagito duramente: “È censura politica, un attacco alla libertà di espressione”, ha dichiarato il colosso tech, promettendo di “fare tutto il possibile per difendere la libertà di parola in Europa”.
Un accordo, tuttavia, resta ancora sul tavolo. Se X decidesse di apportare le modifiche strutturali richieste – migliorando il controllo sui contenuti e aumentando la trasparenza – la sanzione potrebbe essere evitata o ridimensionata. Ma Elon, si sa, non è esattamente tipo da compromessi.
E mentre l’UE costruisce un secondo dossier ancora più esplosivo, che accusa la piattaforma di essere strutturalmente dannosa per la democrazia, Musk ribadisce la sua posizione: pronto a sfidare l’Europa in tribunale e in pubblico, anche a costo di uno scontro istituzionale senza precedenti.
Una cosa è certa: con o senza dazi, censure o meme, questa guerra digitale è appena iniziata. E promette fuochi d’artificio.
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