Cronaca Nera
Bossetti parla per la prima volta del caso Yara su Netflix: “La giustizia non mi ucciderà”
La domanda che emerge è se credere o meno alla verità giudiziaria. Se Bossetti fosse innocente, significherebbe che un colpevole è ancora a piede libero. I tre gradi di giudizio hanno dato una risposta, ma per crederci è fondamentale avere fiducia nel sistema giudiziario italiano. Con “Il caso Yara: oltre ogni ragionevole dubbio”, Netflix offre uno sguardo approfondito su una delle vicende più sconvolgenti della cronaca italiana, lasciando agli spettatori il compito di formarsi una propria opinione.

Oggi esce su Netflix la docuserie “Il caso Yara: oltre ogni ragionevole dubbio”, un approfondito viaggio nei misteri dell’omicidio di Yara Gambirasio. La serie, composta da cinque episodi, è sviluppata e diretta da Gianluca Neri, con la collaborazione di Carlo G. Gabardini ed Elena Grillone nella scrittura. Attraverso uno studio minuzioso dei 60 faldoni dell’inchiesta, e con le testimonianze di esperti, giornalisti e protagonisti della vicenda, si esplora ogni dettaglio dell’omicidio di Yara e della caccia al colpevole. Il percorso narrativo ci porta dall’arresto di Massimo Bossetti fino alla sua condanna definitiva, ascoltando anche le sue parole per la prima volta davanti alle telecamere.
Le parole di Massimo Bossetti
Massimo Bossetti, condannato all’ergastolo per l’omicidio di Yara, appare solo nel secondo episodio della docuserie, concludendo la puntata dicendo: “È difficile parlare”. Nel terzo episodio, Bossetti esordisce dicendo: “È più facile puntare il dito contro una persona, condannarla, che ammettere di aver fatto un grosso sbaglio”.
“Sono innocente”
Nel corso della serie, continua a dichiararsi innocente: “Mi sono sempre chiesto il perché sono finito in questo caso e me lo chiedo tuttora”. Racconta anche di un presunto incontro avvenuto nei primi giorni di isolamento in carcere: un comandante gli avrebbe dato una penna, suggerendogli di arrivare a un compromesso, al che Bossetti avrebbe lanciato il foglio addosso al comandante, seguito dalla rimozione della sua sedia e tavolo e la privazione del vitto per due giorni.
Dramma familiare
Bossetti parla del dramma personale e familiare che vive: “Provate a immedesimarvi. Come persona. Come marito. Come padre. Come figlio”. Spiega come le accuse abbiano complicato i suoi rapporti familiari, non solo con la moglie a causa dei dettagli intimi emersi, ma anche con la madre, per via della controversia sulla comparazione dei Dna.
Ergastolo
Alla fine, si lascia andare alla commozione ricordando il momento della condanna e la sua attuale condizione di ergastolano: “È difficile parlare quando ti piomba addosso una parola così pesante. ‘L’ergastolo’. Mi stai toccando delle cose che mi fanno male. Però è anche giusto che la gente deve capire […] Non riesco a vedere il mio futuro. Cerco con forza di vivere il presente giorno per giorno, di dare la forza ai miei figli, di non preoccuparsi, di non cercare di farli sentire come mi sento. E mi fa male perché non riesco a essere compreso della realtà di quello che sono. Ma cerco di farmi valere, cerco di non farmi uccidere dalla giustizia che ha tentato di abbattermi”.
La vicenda di Yara Gambirasio
Yara Gambirasio scomparve da Brembate di Sopra il 26 novembre 2010. Era una ragazza di soli 13 anni, appartenente a una famiglia affettuosa e religiosa, e promettente atleta di ginnastica ritmica. Purtroppo, tre mesi dopo, il suo corpo fu trovato in un campo a Chignolo d’Isola, vittima di un brutale omicidio. Le indagini, inizialmente difficili, portarono alla scoperta di un Dna maschile sugli indumenti di Yara, etichettato come “Ignoto 1”.
Dopo uno sforzo immenso da parte degli inquirenti, che coinvolse la raccolta di migliaia di campioni genetici nella zona, si risalì a Massimo Bossetti, arrestato nel 2014 e condannato all’ergastolo nel 2018. Tuttavia, Bossetti ha sempre proclamato la sua innocenza.
Il contenuto della docuserie
“Il caso Yara: oltre ogni ragionevole dubbio” analizza dettagliatamente l’intera vicenda, includendo testimonianze inedite e filmati d’archivio. Vengono esplorate anche piste alternative, come le similitudini tra l’omicidio di Yara e la morte, archiviata come suicidio, di Sarbjit Kaur, trovata sulle sponde del fiume Serio con circostanze che richiamano il caso della giovane bergamasca.
La docuserie rende omaggio alla dignità e al riserbo con cui la famiglia Gambirasio ha affrontato la tragedia. Assediati dalla stampa, i genitori di Yara hanno sempre mantenuto un basso profilo, guadagnandosi il rispetto dell’opinione pubblica.
Oltre alle parole di Bossetti, la serie presenta le testimonianze di persone a lui vicine, come la moglie Marita Comi e l’avvocato Claudio Salvagni. Tuttavia, è la stessa voce di Bossetti a risuonare per la prima volta in un’intervista, fornendo una prospettiva personale mai vista prima.
Qual è la verità?
Chi segue la cronaca nera sa che esiste una verità giudiziaria e una verità fattuale. La verità giudiziaria sull’omicidio di Yara Gambirasio è che Massimo Bossetti è colpevole, condannato in tre gradi di giudizio. Tuttavia, molti non sono convinti della sua colpevolezza.
La docuserie esplora i motivi per cui alcune persone dubitano della colpevolezza di Bossetti. Vengono analizzate le altre piste, gli errori iniziali nelle comparazioni del Dna, il filmato del furgone mostrato alla stampa e la questione dei reperti. Questi fattori hanno contribuito a creare dubbi nell’opinione pubblica.
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Cronaca Nera
L’estate calda dei “casi freddi”. Dopo Garlasco, si riapre anche il mistero McCann: ritrovati frammenti di vestiti e ossa.
Un’area di 50 ettari setacciata da investigatori portoghesi e tedeschi riaccende le speranze: i reperti saranno ora analizzati nei laboratori. L’obiettivo è trovare la prova definitiva contro Christian Brueckner

A diciott’anni dalla scomparsa della piccola Madeleine McCann, qualcosa finalmente si muove. Dopo l’improvvisa riapertura del caso Poggi a Garlasco, un altro cold case si riaccende sotto il sole di giugno. E stavolta siamo in Portogallo, precisamente nella regione dell’Algarve, vicino a Lagos. È lì, a circa 30 miglia dal luogo dove Madeleine svanì nel nulla nel maggio del 2007, che nei giorni scorsi una squadra mista di investigatori tedeschi e portoghesi ha concluso una nuova perquisizione. Una tre giorni di ricerche intense che, inizialmente, sembravano non aver portato a nulla. Ma ora emerge un dettaglio inquietante: sono stati trovati frammenti di vestiti e resti ossei.
Una notizia che, se confermata dalle analisi in corso, potrebbe dare una svolta decisiva all’indagine più seguita e discussa degli ultimi decenni. Madeleine McCann, tre anni appena, era in vacanza con i genitori nel resort Praia da Luz quando sparì dal lettino in cui dormiva. Da allora, ipotesi, avvistamenti, depistaggi e teorie complottiste si sono susseguite senza tregua. Ma di prove, nessuna. E soprattutto: del corpo della bambina, mai traccia.
Ora però qualcosa sembra cambiare. Secondo quanto riportato dalla Cnn Portugal, “durante la perquisizione sono stati sequestrati diversi oggetti che saranno ulteriormente esaminati dalla polizia tedesca”. Oggetti che comprenderebbero anche “campioni di vestiti e ossa”, come riportato anche dal quotidiano Correio da Manhã. Gli inquirenti, per il momento, mantengono il più stretto riserbo. Ma fonti vicine all’indagine confermano che “i materiali saranno ora analizzati attentamente nel laboratorio della polizia per valutarne la potenziale rilevanza ai fini delle indagini”.
Il sospettato numero uno resta sempre lui: Christian Brueckner, cittadino tedesco già detenuto in Germania per reati sessuali, incluso l’abuso su minori. All’epoca della sparizione, Brueckner viveva non lontano dal resort della famiglia McCann. Da anni gli inquirenti tedeschi cercano di incastrarlo, ma senza mai trovare una prova inconfutabile. Potrebbero essere proprio questi frammenti a segnare il punto di svolta.
Secondo quanto riferito dai media lusitani, l’intera area setacciata dagli investigatori la scorsa settimana — circa 50 ettari di territorio collinare attorno a una vecchia diga — era già stata indicata in passato come luogo potenzialmente interessante. Ma solo oggi, con l’ausilio di nuove tecnologie e la pressione crescente della magistratura tedesca, si è deciso di intervenire in modo più sistematico. Una fonte investigativa ha dichiarato: “Non possiamo confermare ufficialmente la correlazione con Madeleine, ma è chiaro che questa è la nostra speranza”.
Una speranza che tiene col fiato sospeso non solo i genitori della piccola, ma milioni di persone che da anni seguono la vicenda con apprensione. Kate e Gerry McCann, che non hanno rilasciato dichiarazioni ufficiali dopo la notizia dei ritrovamenti, si sono detti in passato “determinati a conoscere la verità, qualunque essa sia”. Negli ultimi anni hanno più volte ribadito di voler semplicemente “sapere cosa è accaduto a Madeleine, per poter finalmente trovare pace”.
Questa nuova fase dell’inchiesta è stata condotta in stretta collaborazione con l’autorità giudiziaria tedesca, che da tempo coordina il fascicolo contro Brueckner. Le autorità tedesche credono che Madeleine sia stata uccisa poco dopo il rapimento, e Brueckner — attualmente in carcere per altri crimini — sarebbe il responsabile. Ma finora, nessun corpo, nessuna prova. Solo indizi e testimonianze, spesso contraddittorie.
Resta da capire se i frammenti ritrovati possano davvero parlare dopo tutto questo tempo. Gli esami in laboratorio inizieranno in settimana, ma i risultati — avvertono gli inquirenti — non saranno immediati. L’obiettivo è isolare tracce di Dna compatibile con quello della bambina, o identificare elementi riconducibili alla sua scomparsa.
Nel frattempo, sul caso si sono riaccesi anche i riflettori mediatici. In Germania, Gran Bretagna e Portogallo i principali quotidiani hanno rilanciato la notizia con grande evidenza. E in Italia, proprio mentre la cronaca riporta in primo piano altri cold case riaperti dopo anni di silenzio, il nome di Madeleine torna a scuotere coscienze e interrogare giustizia e opinione pubblica.
Forse, dopo diciott’anni di buio, il mistero più inquietante del nuovo millennio si prepara ad avere un epilogo. Forse.
Cronaca Nera
Guerrina Piscaglia: “Uccisa dal prete, il suo corpo mai ritrovato”
A dieci anni dalla scomparsa di Guerrina Piscaglia, il tribunale di Arezzo ha dichiarato la sua morte presunta, svelando un capitolo di mistero e controversia legato al caso di Ca Raffaello. Con il parroco condannato per l’omicidio della donna e una causa civile in corso, il corpo di Guerrina resta ancora introvabile, mantenendo viva l’intricata trama di questa storia.

Dieci anni sono trascorsi dalla scomparsa di Guerrina Piscaglia, un enigma che continua a gettare ombre su Ca Raffaello, nel comune di Badia Tedalda, Arezzo. Il tribunale di Arezzo sta per dichiarare la sua morte presunta, riaprendo un capitolo intricato di questa storia. Un capitolo in cui il parroco don Gratien Alabi è stato condannato per l’omicidio della donna, ma il corpo di Guerrina resta ancora disperso, alimentando interrogativi e rivelazioni che si intrecciano con una causa civile in corso.
Il parere di Mirko Alessandrini
Mirko Alessandrini, il marito di Guerrina, ha trascorso mesi nella speranza che sua moglie fosse ancora viva. “L’ho creduto sino alla sentenza di primo grado”, confessa a Corriere della Sera. “Poi ho capito con grande dolore che non sarebbe più tornata a casa con me e nostro figlio.” Alessandrini, visibilmente commosso, rivela di non aver mai avuto altre relazioni dopo di lei e di continuare a sentire profondamente la sua mancanza. “Guerrina era una casalinga amorevole. Non avrebbe mai lasciato nostro figlio per fuggire o farla finita”, afferma con fermezza, evidenziando la natura tossica della relazione tra la sua defunta moglie e l’assassino.
La storia secondo i giudici
Secondo i giudici di ogni grado di giudizio, il sacerdote don Gratien Alabi avrebbe avuto una relazione con Guerrina, culminata con il delitto e l’occultamento del cadavere. Questa versione dei fatti ha portato alla condanna del parroco, ma il mistero del corpo di Guerrina rimane irrisolto.
La ricerca del corpo e la causa civile
Nonostante la condanna del parroco, il corpo di Guerrina non è mai stato trovato. Intanto, una causa civile è ancora in corso, con alcuni parenti della donna che chiedono un milione di euro di risarcimento. Questo scenario aggiunge ulteriore tensione a una situazione già complessa, mentre la comunità di Ca Raffaello continua a chiedersi dove possa essere finito il corpo di Guerrina Piscaglia, e se un giorno sarà possibile trovare risposte concrete a questo oscuro mistero.
Cronaca Nera
Garlasco, spunta la terza presenza nella villetta di via Pascoli mentre Chiara Poggi veniva uccisa

Nuovi sviluppi scuotono il caso Garlasco, a diciassette anni dalla morte di Chiara Poggi. La nuova inchiesta coordinata dalla procura di Pavia e condotta dal procuratore Fabio Napoleone riapre la scena del crimine: nell’abitazione di via Pascoli, mentre la giovane moriva, potrebbero esserci state almeno tre persone, tra cui Andrea Sempio e due figure ancora da identificare.
Al centro delle indagini c’è l’impronta 33 sul muro, “molto carica di materiale biologico” che potrebbe essere sudore misto a sangue. Il dettaglio inquietante è che le tracce lasciate dal contatto sarebbero talmente ricche da permettere agli esperti di condurre analisi approfondite. Ma l’intonaco prelevato non è stato trovato, così come la provetta contenente la soluzione usata per i test.
L’incidente probatorio del 17 giugno si preannuncia quindi cruciale. Verranno esaminate 35 impronte e altre tracce di DNA, comprese quelle presenti sul sacchetto della spazzatura e sul tappetino insanguinato del bagno. La genetista Denise Albani e il dattiloscopista Domenico Marchegiani sono stati incaricati di verificare ogni dettaglio, mentre la difesa di Alberto Stasi osserva da vicino ogni passaggio.
L’avvocata Giada Boccellari, legale di Stasi, parla di una pista che può stravolgere la verità processuale: “L’azione omicidiaria si sarebbe svolta in tre fasi. Almeno nella prima non si può escludere la presenza di altri soggetti”. Boccellari ha raccontato come Stasi stia vivendo questa nuova ondata di notizie “in una bolla di sapone, senza voler vedere i giornali né la tv”.
Il cuore delle nuove analisi è però sempre il DNA di Andrea Sempio, ritrovato sotto le unghie di Chiara. Sempio non è mai stato indagato formalmente, ma ora la procura sta acquisendo i profili genetici anche di amici come Roberto Freddi, Mattia Capra, Alessandro Biasibetti e Marco Panzarasa, oltre a carabinieri e soccorritori intervenuti sulla scena.
A gettare benzina sul fuoco, poi, c’è la frase criptica pubblicata nel 2007 da un amico di Sempio, Michele Bertani: “La verità sta nelle cose che nessuno sa”. Secondo il settimanale Gente, l’analisi del messaggio porterebbe a una misteriosa frase: “C’era una ragazza lì che sapeva”.
In parallelo emergono ricostruzioni sul giorno dell’omicidio. Boscellari ricorda il testimone Marco Muschitta, che disse di aver visto un’auto scura parcheggiata in via Pascoli: non un SUV come si ipotizzava inizialmente, ma una Golf come quella che Bertani aveva a disposizione nel 2007. Muschitta ritrattò subito la testimonianza, ma la memoria della vettura resta una tessera in un mosaico ancora incompleto.
Il movente? Ancora lontano dall’essere accertato. “Solo dopo aver chiarito chi fosse in casa quel giorno, si potrà capire perché Chiara è stata uccisa”, dice Boccellari. E così, la villetta di Garlasco resta il palcoscenico di un dramma mai chiuso.
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