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Curiosità

Agli italiani l’auto piace grigia

Quando si cerca un’auto usata, è importante dare priorità alle condizioni del veicolo rispetto al colore. E’ consigliabile portare con sé uno strumento per misurare lo spessore della vernice durante l’ispezione, per verificare eventuali riparazioni o danni precedenti.

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    Senza essere troppo psicologi il colore dell’auto spesso rispecchia il carattere dell’acquirente. In alcuni casi invece si acquistano auto a secondo del loro prezzo e della convenienza. Oppure, ma è raro, non si ha voglia di aspettare il modello con il colore preferito e quindi si ripiega su un colore disponibile in concessionaria. Questo per chi può permettersi di acquistare mndelli nuovi. Se andiamo sull’usato, invece, si acquista scegliendo il modello ma soprattutto il prezzo. E se l’offerta è vantaggiosa ma la carrozzeria è verde mela, amen… Un affare è un affare.

    Grigio, bianco e nero… mai un giallo ocra

    Quando scelgono il colore delle loro automobili gli italiani tendono a preferire tonalità pratiche e monocromatiche. Secondo i dati dell’UNRAE, tre auto su quattro immatricolate in Italia sono grigie, bianche o nere. Seguono il marrone, il blu metallizzato, il rosso, verde marcio, giallo e arancione. Questi ultimi tre colori sono scelti nell’1% dei casi. Interessante notare che nelle ragioni del Nord ovest e Nordest il grigio prevale con una media del 36%. Nelle isole e nel Centro Italia si preferisce il bianco colore preferito dagli under 30 con il 28,4% dei casi e dai 50enni. La predilezione per i colori monocromatici è dovuta principalmente a motivi di praticità: sono più facili da mantenere e tendono a richiedere meno attenzione rispetto ai colori vivaci. Infatti, i colori come il grigio, il nero e il bianco sono più funzionali e tendono a non sbiadire rapidamente, il che aiuta a preservare il valore del veicolo nel tempo.

    Dai Suv monocromatici alle cabrio tinte pastello

    Tra le station wagon e i Suv dominano i colori monocromatici mentre tra le auto piccole (coupé, cabriolet) la maggiore presenza è il blu, seguito dal rosso e altre tinte pastello, Per i minivan va forte il bianco seguito dal nero e del grigio. I colori vivaci come il giallo e il rosso non sono molto popolari. Secondo carVertical le auto gialle rappresentano solo lo 0,8% delle auto mentre quelle rosse sono il 2,9% e le blu il 12,4%. La diminuzione della popolarità dei colori vivaci è evidente anche nelle statistiche storiche. Il giallo, che rappresentava il 4,3% delle auto nel 2000, è sceso all’1,7% nel 2010 e allo 0,7% nel 2020. Il rosso ha subito un calo simile, passando dal 4% nel 2000 al 2,6% nel 2020.

    Quanto pesa la personalità sulla scelta del colore

    Diversi studi suggeriscono che la scelta del colore di un’auto può riflettere aspetti della personalità. Per esempio scegliete il bianco? Sarete persone che si sentono in un livello “medio” della società. Il nero denoterebbe chi vuole passare inosservato. Il grigio metallizzato piacerebbe alle persone scrupolose, il verde agli ottimisti, il blu alle personalità forti. Infine i colori pastello sarebbero i preferiti dai timidi che cercano di attirare l’attenzione senza esporsi troppo.

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      Curiosità

      In Giappone spopolano i “crying cafè”: i locali dove si va per piangere

      Nati a Tokyo e diffusi in tutto il Giappone, i “crying cafè” offrono ambienti accoglienti in cui i clienti possono dare libero sfogo al pianto. Non solo un’esperienza emotiva, ma un fenomeno sociale che affonda le radici nella cultura nipponica e nei dati preoccupanti sulla solitudine.

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      crying cafè

        Sedersi a un tavolino, ordinare una tisana e lasciarsi andare alle lacrime senza sentirsi giudicati. È l’esperienza che offrono i cosiddetti crying cafè, locali sempre più diffusi in Giappone, dove il pianto diventa non un momento di debolezza, ma un atto catartico. Una tendenza che, dal 2020, è passata da curiosità di nicchia a fenomeno consolidato, con nuove aperture sia a Tokyo che nelle città di provincia.

        Come funzionano i bar delle lacrime

        Il pioniere è stato il Cafè Mori Ouchi di Shimokitazawa, con un cartello programmatico all’ingresso: “Solo persone negative”. La regola è semplice: ordinare almeno una bevanda, dopodiché è possibile restare e piangere in tranquillità. L’ambiente è progettato nei minimi dettagli: luci soffuse, musica malinconica, film drammatici e libri commoventi. Il personale è formato per offrire ascolto empatico, fornire fazzoletti e perfino asciugamani caldi per ridurre il gonfiore agli occhi.

        L’idea si è estesa anche al settore alberghiero. Alcuni hotel, come il Mitsui Garden Yotsuya di Tokyo, propongono le crying rooms, camere attrezzate con selezioni di pellicole e comfort per favorire le lacrime, disponibili soprattutto per le ospiti donne.

        Le origini: il rui-katsu

        Alla base di questo fenomeno c’è il rui-katsu (letteralmente “caccia alle lacrime”), un movimento nato formalmente nel 2013 grazie a Hidefumi Yoshida, autoproclamato “maestro delle lacrime”. Yoshida organizza sessioni collettive in cui i partecipanti, esposti a contenuti emotivi come poesie e cortometraggi, vengono incoraggiati a piangere. La sua filosofia si basa su studi scientifici: il pianto libera ossitocina ed endorfine, riduce i livelli di stress e aiuta a eliminare il manganese in eccesso, minerale associato a stati di ansia e irritabilità.

        La solitudine in Giappone

        Il successo dei crying cafè non sorprende se si guarda al contesto sociale. Il Giappone è uno dei Paesi con i più alti tassi di solitudine. Secondo un’indagine del Cabinet Office, quasi il 40% dei cittadini dichiara di sentirsi spesso o sempre solo. Tra i più colpiti ci sono i giovani e gli anziani, vittime di isolamento, carichi di lavoro opprimenti o lutti familiari.

        Il fenomeno degli hikikomori — ragazzi che scelgono di ritirarsi dalla vita sociale e restano chiusi in casa per mesi o anni — riguarda ormai oltre un milione di persone. Solo nei primi tre mesi del 2024 si sono registrati più di 22mila kodokushi, ovvero anziani morti in solitudine senza che nessuno se ne accorgesse.

        Lacrime come terapia

        Il governo giapponese ha approvato nel 2023 una legge specifica contro la solitudine e l’isolamento sociale, ma la strada appare ancora lunga. Intanto, i crying cafè si propongono come luoghi di rifugio emotivo, spazi protetti in cui il pianto diventa una pratica terapeutica.

        Così, mentre in Occidente la socialità viene spesso celebrata attraverso locali rumorosi e conviviali, in Giappone qualcuno sceglie di ordinare una tisana, chiudere gli occhi e lasciarsi andare alle lacrime. Perché piangere, a volte, può essere la più semplice delle cure.

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          Curiosità

          Lacrime a fiumi: ogni anno produciamo una “vasca da bagno” di pianto, ma le donne battono gli uomini 47 a 7

          Le statistiche parlano chiaro: le donne piangono quasi 50 volte all’anno, mentre gli uomini appena 7. Le differenze emozionali e culturali sono ancora profonde, ma le lacrime – vere protagoniste – hanno un ruolo cruciale nella gestione delle nostre emozioni.

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            Un fiume di lacrime scorre ogni anno dai nostri occhi: secondo le ultime stime, una persona media produce dai 60 ai 110 litri di lacrime all’anno, praticamente il volume di una vasca da bagno. Una quantità sorprendente che testimonia come il pianto sia un processo fisiologico tanto comune quanto importante per la nostra salute emotiva. Nell’arco della vita, questo numero cresce fino a cifre quasi incredibili: si stima che ognuno di noi possa produrre fino a 9.000 litri di lacrime.

            Ma non siamo tutti uguali di fronte al pianto, e qui emerge un aspetto interessante: le donne piangono in media 47 volte all’anno, mentre gli uomini soltanto 7. Un dato che non solo rispecchia un’abitudine culturale e sociale radicata, ma che apre anche a domande sulle differenze emozionali tra i generi. Perché piangiamo e perché alcuni piangono più di altri? Le risposte coinvolgono tanto la biologia quanto la cultura.

            Perché piangiamo? Un atto terapeutico

            Il pianto è un fenomeno naturale, che si manifesta non solo per tristezza o dolore, ma anche per gioia, stress o addirittura frustrazione. Psicologi e studiosi concordano nel dire che le lacrime hanno una funzione catartica: liberano tensione, permettono al corpo di rilassarsi e aiutano a stabilizzare le emozioni. In effetti, la composizione chimica delle lacrime varia in base all’emozione, con livelli diversi di ormoni dello stress e di altre sostanze biologicamente attive.

            In particolare, piangere può abbassare i livelli di manganese, un minerale che influisce sull’umore. Per questo, dopo un pianto liberatorio, ci si sente spesso più leggeri e sollevati, come se il corpo avesse espulso le emozioni negative.

            Lacrime femminili e lacrime maschili: le ragioni dietro la differenza

            Le statistiche sulla frequenza del pianto tra uomini e donne sono sorprendenti, e non poco: 47 pianti all’anno per le donne contro appena 7 per gli uomini. Le spiegazioni sono molteplici. Da un lato, vi sono fattori biologici legati agli ormoni: la prolattina, un ormone presente in maggiori quantità nelle donne, è associata a una maggiore predisposizione al pianto. Dall’altro, la cultura gioca un ruolo fondamentale: gli uomini sono spesso educati a reprimere il pianto, considerato come segno di debolezza, mentre le donne ricevono un’accettazione sociale maggiore verso l’espressione di emozioni visibili.

            Il risultato è che le lacrime maschili sono rare, ma non per questo meno significative. «Quando un uomo piange – spiega una psicologa specializzata in dinamiche di genere – esprime un’emozione profonda che ha probabilmente accumulato per lungo tempo. Le lacrime, in questi casi, diventano una vera e propria valvola di sfogo».

            Le lacrime: un linguaggio universale, ma diverso per ciascuno

            Le lacrime ci accomunano, ma ogni persona piange a modo proprio e per motivi diversi. Ci sono coloro che si commuovono facilmente guardando un film o leggendo un libro, e chi, invece, versa lacrime solo in circostanze di forte impatto emotivo. Il pianto è un linguaggio universale, uno dei pochi che non richiede parole, ma allo stesso tempo rimane personale e unico per ciascuno di noi.

            Nel mondo attuale, in cui l’espressione delle emozioni è sempre più incoraggiata, è probabile che questi dati sulle lacrime cambieranno nel tempo. Forse, in futuro, piangeremo meno per stress o dolore e di più per la pura gioia di sentirci vivi e connessi agli altri.

            In ogni caso, la prossima volta che una lacrima scorrerà sul viso, non consideriamola solo un segno di fragilità: è una risposta naturale, parte della nostra esperienza umana, e come tale merita di essere accolta.

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              Curiosità

              Google, ma è davvero un bene avere un partner così impiccione?

              Scopriamo come il motore di ricerca ha rivoluzionato l’accesso al sapere, ma affronta anche le preoccupazioni sulla privacy e la diffusione di disinformazione. Impariamo l’importanza del pensiero critico e dell’uso consapevole di Google per proteggere la nostra privacy online.

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                Trovalo su Google!
                È ironia o autoriflessione? Il gigante continua a impattare sulle nostre vite da ¼ di secolo. Dopo l’enciclopedia e la biblioteca, ora pensiamo solo attraverso l’uso del web che ci fornisce risposte immediate. Accesso immediato alla conoscenza. Sì, immediato. Troviamo tutte le risposte e i significati sul motore di ricerca più evoluto al mondo in meno di un secondo. Digitiamo o pronunciamo parole e frasi, cerchiamo risposte, informazioni, comunichiamo, lavoriamo e persino pensiamo con Google.

                Teorie, privacy e disinformazione
                Prima di Google, le risposte erano più difficili da trovare, spesso richiedendo una visita in biblioteca o il consulto di pesanti volumi enciclopedici. Oggi, con una semplice ricerca su Google, è possibile accedere a una vasta quantità di informazioni su qualsiasi argomento in pochi istanti. Tuttavia, mentre Google offre una piattaforma conveniente per accedere alla conoscenza, sorgono alcune preoccupazioni, in particolare riguardo alla privacy e alla diffusione di disinformazione, comprese le teorie del complotto. È importante notare che la presenza di teorie del complotto su Google non implica che siano verificate o accurate. Molte di queste teorie possono essere dannose e prive di evidenze, alimentando la disinformazione e la paranoia.

                E Google che fa?
                Google cerca di bilanciare la sua missione di fornire accesso a una vasta gamma di informazioni con il dovere di combattere la disinformazione. Ad esempio, utilizza algoritmi per identificare e segnalare fonti di informazioni non affidabili e privilegia fonti autorevoli nei risultati di ricerca. Tuttavia, la lotta contro la disinformazione online è una sfida in continua evoluzione, e alcune teorie del complotto possono ancora trovare spazio nei risultati di ricerca di Google.

                Vale il buonsenso
                È fondamentale che gli utenti esercitino il pensiero critico e valutino attentamente le fonti di informazioni trovate online, soprattutto riguardo ad argomenti controversi. Infine, è importante utilizzare Google in modo consapevole e responsabile, tenendo conto dei suoi vantaggi e svantaggi. Sviluppare abilità di pensiero critico è essenziale per valutare le informazioni trovate su internet e proteggere la propria privacy online.

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