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Curiosità

Tamarri e teste calde: i ricordi di un bagnino degli Anni 70

Le memorie di Mister Ok, celebre bagnino di Ostia: “Eravamo tamarri, teste matte: ora siamo dei professionisti”.

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    Si chiama Maurizio Palmulli, conosciuto come “Mister Ok“, è una figura leggendaria tra i bagnini di Ostia e di Roma. Settantun anni, è nato nel 1953, Palmulli ha iniziato la sua carriera da bagnino nel 1970, quando le spiagge erano molto diverse da come sono oggi. All’epoca, le famiglie si portavano il pranzo da casa, gli ombrelloni avevano tende che servivano come spogliatoi. E soprattutto il mare era un luogo di socializzazione e di festa. In una felice intervista a Repubblica Roma, Palmulli ricorda i tempi di quando era bagnino con un pizzico di nostalgia. Quando lui e i suoi colleghi bagnini, definite “teste matte” o “tamarri”, erano i re delle spiagge, rispettati e temuti. E soprattutto degli sciupafemmine…

    Oltre al salvataggio dovevano garantire ordine e sicurezza

    Negli anni ’70 e ’80, le spiagge erano molto animate rispetto ad oggi, e con non pochi problemi. Palmulli racconta delle sfide quotidiane, come il dover mantenere l’ordine e la sicurezza, spesso usando la forza, in un contesto in cui la droga era molto presente. Nonostante queste difficoltà, tra i bagnini c’era un forte senso di comunità e sostegno reciproco. Si faceva tutti parte della stessa famiglia.

    Dalla fine degli Anni 80 iniziano i corsi di formazione specializzati

    Il cambiamento è arrivato alla fine degli anni ’80, quando il comportamento dei bagnanti è diventato più irrispettoso e i bagnini hanno dovuto affrontare nuove sfide per mantenere l’ordine. Oggi, grazie a campagne di sensibilizzazione e a una maggiore formazione da parte dei bagnini, la situazione è migliorata. I bagnini sono diventati professionisti rispettati. Grazie a corsi di formazione mirati dispongono di una conoscenza approfondita del mare e un ruolo fondamentale nella sicurezza dei bagnanti.

    Salari più dignitosi e assistenza più specialistica

    Dal punto di vista contrattuale, Palmulli riconosce i progressi fatti, con salari migliori e condizioni di lavoro più dignitose rispetto al passato. Oggi, i bagnini possono contare su un supporto organizzato in varie parti d’Italia. A ostia, per esempio, è attiva l’associazione nazionale assistenti bagnanti e le unità cinofile, che contribuiscono alla sicurezza in spiaggia.

    Damme una mano…

    In quanto a conquista da spieggia erano all’ordine del giorno. Palmulli ricorda il suo amico e collega Carlo, che poi ha lavorato sulla Roma-Lido. Era un bel ragazzo, biondo con gli occhi azzurri, faceva i fotoromanzi per la Lancio. Aveva sempre un harem intorno a sé era circondato da belle donne soprattutto straniere. Ogni volta mi diceva: “Quando vedi che ho il grappolo di belle ragazze damme una mano e portamene via qualcuna“.

    Missione salvataggio

    Palmulli ricorda che in tutta la nostra costa ogni accadono episodi che tragici, nonostante gli sforzi fatti dalla categoria. Ma nonostante queste sfide per garantire più sicurezza ai bagnanti, il lavoro del bagnino rimane per lui una missione, e i successi, come il recente salvataggio di un uomo in mare da parte del suo collega, sono motivo di grande orgoglio.

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      Curiosità

      Dal Medio Oriente a Greccio: la lunga storia del presepe

      Dai primi richiami iconografici delle catacombe alla svolta di San Francesco nel 1223: ecco come è nato il presepe e perché è diventato un simbolo radicato nella cultura italiana.

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      presepe

        Una tradizione che affonda le radici nei primi secoli del Cristianesimo

        Il presepe, oggi presenza quasi scontata nelle case italiane durante il periodo natalizio, ha un’origine molto più antica e complessa. Le prime rappresentazioni della Natività compaiono già tra il III e il IV secolo d.C., soprattutto nelle catacombe romane, dove le comunità cristiane raffiguravano la nascita di Gesù attraverso pitture rudimentali: la Vergine, il Bambino e, talvolta, il bue e l’asino. Non si trattava ancora di presepi nel senso moderno, ma di immagini destinate alla venerazione e alla trasmissione del messaggio cristiano.

        Durante l’epoca bizantina e medievale, la scena della Natività diventò un tema ricorrente nelle chiese, nei mosaici e negli affreschi d’Europa. Tuttavia, la rappresentazione era ancora esclusivamente artistica, non tridimensionale e non legata a un contesto domestico o sociale.

        La svolta di San Francesco: il presepe “vivente” del 1223

        La nascita del presepe come lo intendiamo oggi viene comunemente attribuita a San Francesco d’Assisi. Secondo le Fonti Francescane, nel 1223 il santo organizzò a Greccio, in provincia di Rieti, una rievocazione della Natività con persone, animali e una mangiatoia reale. L’obiettivo non era decorativo ma spirituale: far comprendere, anche ai meno istruiti, il significato concreto e umano della nascita di Cristo.

        Papa Onorio III autorizzò quell’iniziativa, che divenne presto un modello imitato in molte comunità monastiche e parrocchie. Il presepe assunse così un valore catechistico, diventando uno strumento di divulgazione religiosa accessibile e immediato.

        Dal sacro all’arte: l’evoluzione dei presepi in Europa

        Nel tardo Medioevo e nel Rinascimento, il presepe iniziò a trasformarsi in una forma d’arte. Le prime statue in terracotta o legno compaiono nelle chiese italiane tra il XIV e il XV secolo. A Napoli, in particolare, si sviluppò una tradizione destinata a diventare famosa in tutto il mondo: quella del presepe barocco, ricco di personaggi, ambienti quotidiani e figure popolari.

        Tra il Seicento e il Settecento le famiglie aristocratiche commissionavano veri e propri scenari monumentali, arricchiti da pastori, venditori ambulanti, botteghe, locande e paesaggi complessi. Anche il Regno delle Due Sicilie contribuì alla diffusione del presepe artistico, con artigiani come i Ferrigno o gli scultori della scuola napoletana che ne fecero un simbolo culturale.

        In contemporanea, in altre regioni europee — come la Provenza con i santons, la Germania con i presepi in legno intagliato e la Spagna con i belén — la tradizione si diffuse e si radicò, assumendo caratteristiche locali.

        Il presepe domestico: una tradizione popolare del Novecento

        È solo tra Ottocento e Novecento che il presepe diventa una presenza stabile nelle case. Con la produzione industriale di statuine in gesso e, successivamente, in plastica, la scena della Natività diventa accessibile a tutti. L’Italia, in particolare, mantiene un ruolo centrale nella produzione e nell’artigianato, con poli storici come Napoli, Lecce, Trento e Genova.

        Oggi il presepe è un simbolo culturale e familiare più che strettamente religioso: un racconto visivo che unisce storia, fede, tradizione e creatività. Ogni regione ha sviluppato varianti tipiche, dai presepi viventi ai diorami, fino ai presepi meccanici e artistici.

        Una storia che continua

        La tradizione del presepe, partita dalle prime comunità cristiane e consolidata dall’intuizione di San Francesco, è oggi un patrimonio riconosciuto in tutto il mondo. La sua evoluzione dimostra come un gesto devozionale sia diventato un linguaggio artistico capace di rinnovarsi, mantenendo intatto il suo valore simbolico e identitario.

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          Curiosità

          Le tracce dell’intelligenza: cosa rivelano le abitudini di chi ha un QI più alto

          Dalle routine solitarie alla curiosità insaziabile, passando per l’autocontrollo: diversi studi mostrano che alcuni tratti ricorrenti sono più frequenti nelle persone con quoziente intellettivo elevato. Ecco quali.

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          Le tracce dell’intelligenza: cosa rivelano le abitudini di chi ha un QI più alto

            L’intelligenza non è un concetto semplice: non coincide con la cultura, né con il successo lavorativo, e non può essere ridotta a un numero isolato. Tuttavia, anni di studi psicologici hanno evidenziato che alcune abitudini quotidiane tendono a essere più diffuse tra individui con QI sopra la media, pur senza rappresentare una prova certa del loro livello cognitivo. Sono segnali, non diagnosi—tendenze statistiche che raccontano solo una parte della complessità umana.

            Preferenza per la solitudine

            Una delle correlazioni più discusse arriva da uno studio pubblicato sul British Journal of Psychology, secondo cui le persone con QI elevato mostrano più spesso una propensione a passare del tempo da sole. Non si tratta di antisocialità, ma della necessità di spazi tranquilli per riflettere, ricaricarsi e concentrarsi. La solitudine, in questi casi, diventa un mezzo per elaborare idee complesse o progetti personali.

            Curiosità e voglia di capire

            Un tratto quasi universale è la curiosità intellettuale. Chi possiede un’intelligenza superiore tende a fare domande, indagare ciò che non conosce e non accontentarsi delle prime risposte. La ricerca psicologica parla di “apertura mentale” (openness to experience), un fattore di personalità collegato sia alla creatività che alla capacità di apprendimento continuo.

            Lettura e consumo di contenuti complessi

            Molti studi hanno notato una maggiore propensione alla lettura, soprattutto di testi impegnativi o specialistici, così come alla fruizione di contenuti più articolati — podcast scientifici, documentari, approfondimenti. Non è tanto la quantità quanto la qualità: chi ha un QI elevato cerca stimoli che lo sfidino.

            Autocontrollo e capacità di pianificazione

            Secondo una ricerca pubblicata su Psychological Science, esiste una correlazione tra capacità cognitive e autocontrollo. In esperimenti su decisioni finanziarie e scelte impulsive, gli individui con QI più alto tendevano a rimandare la gratificazione per ottenere risultati migliori nel lungo periodo. Anche la pianificazione a medio-lungo termine risulta spesso più strutturata.

            Autoironia e humor complesso

            L’umorismo può essere un indicatore rivelatore. Lavori pubblicati su Intelligence hanno mostrato che l’apprezzamento per forme di comicità più elaborate — ironia, paradossi, humour nero — è più frequente in chi possiede una maggiore intelligenza verbale e astratta. Un tipo di comicità che richiede di afferrare rapidamente più livelli di significato.

            Disordine creativo (ma non sempre)

            Nonostante il luogo comune che associa l’intelligenza al caos creativo, la scienza non dà un verdetto definitivo. Alcuni studi sostengono che un ambiente leggermente disordinato possa stimolare il pensiero divergente; altri mostrano che un contesto ordinato favorisce concentrazione e autocontrollo. In realtà, la correlazione non è univoca: il disordine non è un indicatore di QI, ma può essere un effetto collaterale di uno stile di lavoro mentale più fluido.

            Pensiero critico e dubbio costante

            Chi ha un QI elevato raramente accetta un’informazione così com’è. Il dubbio non è sfiducia, ma uno strumento cognitivo. Analizzare le fonti, mettere in discussione i propri pregiudizi, valutare pro e contro: tutto questo richiede tempo, energie e una certa abilità nel gestire la complessità.

            Le abitudini possono suggerire molto, ma è bene ricordare che non definiscono l’intelligenza. Una persona può essere brillante senza amare la solitudine, oppure curiosa senza essere ordinata. Ciò che emerge davvero dagli studi è che le persone con QI elevato tendono a coltivare flessibilità mentale, interesse per il mondo e un costante desiderio di apprendere. Caratteristiche che possono essere sviluppate da chiunque, indipendentemente dai test.

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              Curiosità

              Pandoro o panettone? La sfida delle feste tra tradizione, gusti e creatività in cucina

              Dalla storia alle varianti gourmet, fino ai consigli degli esperti per scegliere e servirli al meglio: una guida per affrontare il duello più dolce del Natale.

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              Panettone o pandoro?

                Quando il Natale si avvicina, sulle tavole italiane si riaccende un duello che nessuna tregua gastronomica sembra riuscire a spegnere: panettone contro pandoro. Due dolci iconici, diversissimi nella struttura, nelle origini e nella percezione collettiva. Entrambi tutelati dal marchio di “prodotto da forno a lievitazione naturale” secondo un disciplinare del Ministero delle Imprese e del Made in Italy, ma con identità ben distinte.

                Il panettone, nato a Milano tra XV e XVI secolo secondo le versioni più accreditate, è caratterizzato da un impasto lievitato e arricchito con uvetta e canditi, previsti obbligatoriamente dal disciplinare per essere definito tale. Oggi convivono infinite varianti – dal cioccolato alle creme spalmabili, dalla frutta esotica alle versioni senza zuccheri aggiunti – ma l’aroma agrumato della scorza d’arancia rimane la firma più riconoscibile.

                Il pandoro, invece, arriva da Verona e vanta radici ottocentesche. Il suo impasto, morbido e compatto, è ricco di burro e uova e deve la sua soffice fragranza alla lunga lievitazione. Privo di canditi o frutta, è il dolce “neutro” per eccellenza, spesso preferito da chi cerca una dolcezza più semplice. La caratteristica forma a stella a otto punte e lo zucchero a velo – da spargere al momento – ne completano il rito.

                Negli ultimi anni la competizione si è fatta ancora più serrata, complice la crescita dei piccoli laboratori artigianali e delle pasticcerie di alta qualità. Molti consumatori, infatti, cercano prodotti lievitati naturalmente per almeno 24-36 ore, con ingredienti selezionati e senza conservanti aggiunti. Le vendite confermano una tendenza in crescita: secondo i dati dell’Unione Italiana Food, tra panettoni e pandori il mercato supera ogni anno i 100 milioni di pezzi venduti, con il panettone che registra un aumento costante, soprattutto nelle versioni “creative”.

                Ma come scegliere tra i due protagonisti natalizi? Gli esperti suggeriscono di valutare alcune caratteristiche chiave. Nel panettone è fondamentale l’alveolatura dell’impasto: deve essere irregolare e ben sviluppata, indice di una lievitazione corretta. Il profumo deve richiamare burro e agrumi, mentre la cupola deve risultare elastica. Per il pandoro, invece, la qualità si riconosce dalla sofficità: la fetta deve “strappare” con leggerezza e non risultare asciutta. Il colore giallo intenso è un buon indicatore della ricchezza dell’impasto.

                La sfida, però, non si ferma al prodotto: anche il modo in cui vengono serviti cambia il risultato in tavola. Il panettone, ad esempio, dà il meglio di sé se tagliato a spicchi verticali dopo averlo lasciato a temperatura ambiente per almeno un’ora. Il pandoro, invece, può essere porzionato a fette orizzontali per ottenere la classica “stella” che spesso diventa la base per creme al mascarpone, chantilly o gelati.

                Gli abbinamenti sono un altro terreno fertile per la creatività. Il panettone tradizionale si sposa con vini aromatici come Moscato d’Asti o Passito di Pantelleria, mentre le versioni al cioccolato trovano un alleato ideale nei rum o nei distillati morbidi. Il pandoro, più delicato, predilige spumanti dolci e bollicine leggere, ma può diventare sorprendente se accompagnato da creme agrumate che spezzano la sua dolcezza.

                Sul fronte dei consumatori la sfida resta aperta: chi apprezza la complessità del panettone difficilmente rinuncia ai canditi, mentre chi ama le consistenze più soffici dichiara fedeltà assoluta al pandoro. Eppure, nelle cucine di molti italiani cresce una tregua inedita: la convivenza pacifica dei due dolci sulla stessa tavola, spesso affiancati da versioni “limited edition”, glasse artigianali e farciture gourmet.

                Alla fine, forse, il vero vincitore non è l’uno né l’altro, ma la possibilità di trasformare questa rivalità gastronomica in un’occasione per condividere sapori e tradizioni. Perché, sotto l’albero, c’è spazio per tutti: per la cupola profumata del panettone e per la morbida eleganza del pandoro, entrambi ambasciatori di un Natale che, almeno a tavola, riesce sempre a mettere tutti d’accordo.

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