Cronaca
Non solo Swift: anche Billie Eilish (e fratello al seguito) per Kamala Harris
Dopo la chiara presa di posizione dell’eroina pop Taylor Swift, un’altra icona della musica giovane si rispecchia apertamente negli ideali democratici di Kamala Harris: è Billie Eilish che, insieme al fratello produttore e musicista, ivita a votarla in nome della libertà e di un futuro di pace a stelle e strisce.

Il mondo della musica che conta, quella che vende milioni di dischi, sembra sempre più appoggiare la candidata democratica per le prossime elezioni presidenziali degli Stati Uniti. Dopo l’appoggio della superstar Taylor Swift, anche Billie Eilish e il fratello produttore e cantante Finneas, attraverso un video sui social si schierano apertamente e senza remore pro Kamala Harris. I fratelli celebrano così il National Voter Registration Day, spronando i propri follower (e sono tanti…) alla registrazione, incitando al voto in favore della sfidante di Donald Trump.
Due fratelli uniti nella lotta contro gli estremismi
Billie quando la guardi in foto sembra ancora un’adolescente… ma ha le idee estremamente precise sulla questione politica attuale: «La scelta è chiara, votiamo per Kamala Harris e Tim Walz perché stanno lottando per proteggere la nostra libertà riproduttiva, il nostro pianeta e la nostra democrazia». Dichiarazione che non ha bisogno di un ulteriore commento, alla quale si accoda il fratello Finneas: «Non possiamo lasciare che gli estremisti controllino le nostre vite, le nostre libertà e il nostro futuro. L’unico modo per fermarli e fermare la pericolosa agenda del Project 2025 è votare ed eleggere Kamala Harris».
Un precedente altrettanto illustre nel 2016
Mentre molti analisti politici vedono in questi sostegni vip un grosso aiuto all’elezione della Harris, a meno di due mesi dalle presidenziali resta, però, il dilemma: serve davvero avere il supporto dei vip? Tutti ricordano l’esposizione di Bruce Springsteen a favore di Hillary Clinton, quando – alle elezioni del 2016 – il leggendario rocker del New Jersey pronunciò un discorso a favore della moglie di Bill Clinton, suonando pure tre suoi brani, Thunder Road, Long Walk Home e Dancing in the dark, durante la convention della candidata democratica. Peccato però che, nonostante il suo appoggio, Hillary perse contro Trump, smentendo i pronostici della vigilia. Per gli scaramantici si tratta di un dettaglio da non farsi sfuggire.
L’altra faccia della musica, quella a favore di Trump
E mentre il Boss riafferma anche stavolta il suo appoggio per gli ideali della Harris… per un rocker democratico come lui un altro famoso personaggio della musica professa idee diametralmene opposte: si tratta del bassista dei Kiss Gene Simmons, che ha più volte dichiarato di appoggiare incondizionatamente il conservatorismo di Donald Trum. Idem ha fatto Kid Rock, controverso protagonista di tweet e post nei quali esibisce la tipica violenza white trash come parte integrante della sua poetica. Insieme a 50 Cent e al famoso cantante country Lee Greenwood, nome che da noi non dirà nulla ma vera e propria fucina di dischi d’oro e di platino in patria, con oltre 25 milioni di copie vendute e cinque Grammy Award.
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Cronaca
Lo schiavismo va di moda, ma si paga: maxi multa da 3,5 milioni per Giorgio Armani Spa
Secondo l’Autorità, il gruppo Armani era a conoscenza delle condizioni dei lavoratori in alcune aziende subfornitrici di borse e accessori. L’azienda annuncia ricorso e rivendica la trasparenza della sua filiera.

Tre milioni e mezzo di euro: tanto costano, secondo l’Antitrust, le dichiarazioni etiche non mantenute. Giorgio Armani Spa, simbolo del lusso made in Italy, è stata multata per pratica commerciale ingannevole: un colpo pesante per l’immagine della maison, che proprio quest’anno celebra cinquant’anni di attività.
La sanzione arriva al termine dell’indagine aperta dopo l’inchiesta per caporalato che aveva travolto Giorgio Armani Operations, la società del gruppo che produce borse e accessori. Nel 2024 la Procura di Milano aveva chiesto l’amministrazione giudiziaria per omissione di controlli sui fornitori, misura poi revocata nel febbraio 2025 grazie – come scrisse il Tribunale – a un «percorso virtuoso» di regolarizzazione.
Ora, però, l’Antitrust accusa il gruppo di aver diffuso dichiarazioni «non veritiere» sulle proprie politiche di responsabilità sociale. Il Codice Etico e i contenuti online della sezione “Armani Values” sarebbero stati presentati come garanzia di filiere etiche, ma non riflettevano la realtà di alcuni laboratori di pelletteria. Gli ispettori hanno documentato condizioni di lavoro irregolari e persino la presenza di un dipendente del gruppo in un laboratorio irregolare, incaricato di controlli qualità mensili: per l’Autorità, la prova che la società fosse consapevole di ciò che accadeva.
Durissima la replica della maison: «Giorgio Armani Spa accoglie con amarezza e stupore la decisione», annunciando ricorso al Tar. L’azienda rivendica trasparenza e correttezza, ricordando che gli episodi contestati «riguardavano due soli fornitori, pari allo 0,7% degli acquisti complessivi».
Resta però l’ennesima macchia su un’industria del lusso che preferisce mostrare passerelle e campagne patinate piuttosto che le ombre delle proprie filiere. Per Armani la partita si sposta in tribunale, ma il danno di immagine – in un mondo in cui l’etica è marketing – rischia di valere molto più dei 3,5 milioni di multa.
Cronaca
Un sushi davvero stupefacente: arrestato a Roma pusher che nascondeva hashish nei “nigiri” al salmone
L’uomo, già noto alle forze dell’ordine, riceveva gli ordini via WhatsApp e consegnava il “menu speciale” tra Montespaccato, Mostacciano e Anagnina. La polizia lo ha fermato in via Enna: nella borsa frigo cinque pacchi di hashish termosaldati e oltre duemila euro in contanti.

A Roma il sushi può dare alla testa. Soprattutto quando non è a base di tonno o salmone, ma di hashish. La polizia ha arrestato un pusher di 45 anni, italiano e già noto alle forze dell’ordine, che aveva trovato un metodo ingegnoso – e grottesco – per distribuire la sua merce: spacciava droga confezionata come nigiri al salmone, pronta da “gustare” solo per i clienti giusti.
Il blitz è scattato lunedì 28 luglio intorno alle 21, quando gli agenti del VII distretto San Giovanni hanno notato una Fiat Panda a noleggio ferma in via Enna. Al volante il 45enne, subito agitato alla vista della pattuglia. La scena non ha convinto i poliziotti, che hanno deciso di procedere con una perquisizione approfondita.
Nel bagagliaio, dentro una borsa frigo, la sorpresa: cinque pacchi di hashish termosaldati, per un totale di 510 grammi, ognuno con l’immagine di eleganti nigiri di salmone stampata sopra. Accanto alla “scorta”, oltre 2.000 euro in contanti, probabilmente frutto delle ultime consegne.
Dalle verifiche sul cellulare è emerso il sistema di ordini e consegne via WhatsApp. I clienti inviavano l’indirizzo e l’uomo partiva per le sue “consegne gastronomiche” in diverse zone della Capitale, tra cui Montespaccato, Mostacciano e Anagnina. Una sorta di delivery illegale, che trasformava il sushi in un piatto davvero stupefacente.
Dopo il fermo, il 45enne è stato accompagnato in commissariato e sottoposto a rito direttissimo, al termine del quale è scattato l’arresto per detenzione ai fini di spaccio di sostanza stupefacente.
Per una volta, il proverbiale “sushi d’asporto” non è finito sulla tavola ma in sequestro, mentre il finto chef della droga dovrà ora rispondere delle sue specialità… proibite.
Politica
Tajani sorride, i Berlusconi comandano: Forza Italia a Cologno fra consigli, statuti e voglia di rinnovamento
Antonio Tajani arriva a Cologno Monzese per un incontro “tra amici”, ma la regia politica di Forza Italia è ormai tutta nelle mani degli eredi del Cav. Pier Silvio parla di “rinnovamento”, e il segretario obbedisce: nuovo statuto, nuova comunicazione, stesso sorriso forzato.

«Parleremo di tutto, del futuro e anche di Forza Italia». Antonio Tajani prova a recitare il copione del leader saldo, mentre si presenta alla villa di Marina Berlusconi a Cologno Monzese. Lo accompagna il mantra di sempre: «Li conosco da quando sono ragazzi, questi incontri li abbiamo sempre fatti». Ma dietro le parole di circostanza, la fotografia è chiara: chi comanda davvero sono gli eredi del Cavaliere.
A tavola con lui ci sono Marina e Pier Silvio, veri azionisti politici e finanziari del partito – il loro credito verso Forza Italia sfiora i 90 milioni di euro – e Gianni Letta, garante della liturgia familiare. L’incontro era stato rinviato due settimane fa tra voci di malumori, ora torna come se nulla fosse: «Un incontro tra amici», dice Tajani, cercando di smussare i rumors su un partito percepito come troppo appiattito sugli alleati e incapace di ritagliarsi uno spazio proprio.
La realtà è che basta una frase di Pier Silvio Berlusconi per orientare la rotta: quando ha parlato di “rinnovamento”, Tajani ha eseguito. In pochi giorni è arrivato il nuovo statuto, è stato scelto Simone Baldelli come coordinatore della comunicazione e si è dato il via a un lifting silenzioso della catena di comando. Tutto senza clamori, ma con un messaggio inequivocabile: Forza Italia è un marchio di famiglia, e chi la gestisce in politica lo fa in affitto.
Intanto, le voci di insofferenza per il segretario crescono: la linea prudente di Tajani, fatta di piccoli compromessi e temi secondari come lo Ius scholae, convince poco i custodi del brand berlusconiano. «Ascolto i consigli che arrivano dagli amici», ripete lui, ma gli amici hanno appena deciso quali note dovrà suonare.
Per ora Tajani sorride e incassa. La regia resta a Cologno, la bacchetta pure.
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