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Musica

Ma che gli piglia a Celentano? Non vuole vedere neanche il parroco!

Di recente qui su LaCity Mag avevamo raccolto lo sfogo del suo amico (o forse è meglio scrivere “ex amico”) Teo Teocoli, che si lamentava di non ricevere nessuna risposta alle sue telefonate. Ora gli fa eco don Erasmo, parroco di Galbiate.

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    Il sacerdote a capo della comunità di Galbiate dichiara: “Non apre la porta nemmeno a me”. Lo stesso dicono i suoi amici più stretti. Che cosa sta succedendo al “molleggiato” nazionale? Che abbia scelto la vita da eremita? Chissà se almeno nell’intimità delle mura di casa rivolge la parola almeno alla sua Claudia…

    In tanti si lamentano di non riuscire più a parlargli

    «Celentano non risponde più al suo vecchio amico Teo Teocoli? Se per questo non apre neanche al prete». Sono le precise parole di don Erasmo, parroco di Galbiate, che parlando con un giornalista della rivista Oggi, che si fa portavoce delle segnalazioni dei concittadini di Celentano, insieme ad Al Bano, Iva Zanicchi e Bobby Solo. Tutte persone che hanno condiviso con lui l’epoca d’oro della musica leggera italiana e che non riescono più ad interagire con lui.

    Un silenzio che lascia aperti diverse ipotesi

    «Una volta Celentano frequentava la messa domenicale», ha detto il sacerdote, «ma da quando sono arrivato, non ho mai visto né lui né la moglie. Tutti gli anni mandiamo l’avviso per la benedizione delle case. Arriviamo davanti al loro cancello e suoniamo il campanello, ma non ci hanno mai aperto. Anzi, per la verità non hanno mai nemmeno risposto». Il silenzio totale, suo e di Claudia, non può che suggerire che qualcosa non va…

    Teo comunque non ci sta

    Tecoli è il primo a non rassegnarsi al silenzio del vecchio amico, tanti altri prendono atto di una scelta e la accettano per quello che è. Teo, ha ripercorso il lungo silenzio tra lui e il Molleggiato anche di recente nel programma Un giorno da pecora, nel quale è stato ospite. Ribadendo che mancano da quattro anni contatti diretti con il cantante smuovendo così l’interesse del pubblico per una delle amicizie più iconiche del panorama dello spettacolo italiano.

    Colpa di… Adrian?

    L’attore ha citato anche un monologo di Roberto Saviano, secondo cui non rispondere a un amico potrebbe rappresentare un modo per proteggerlo da un dolore. Teocoli ha commentato con una certa nostalgia il fatto che l’ultimo scambio con l’amico si è verificato durante il controverso programma Adrian, che ha faticato a decollare come sperato, nel quale Teocoli lo impersonava. Dopo quell’esperienza, guarda caso, l’attore ha smesso di sentire il suo amico…

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      Musica

      I Jalisse non mollano mai: dopo il 29° no di Sanremo esce “Taratata”, il brano rifiutato dal Festival

      Ancora un rifiuto dal Festival di Sanremo, il ventinovesimo, ma Alessandra Drusian e Fabio Ricci non si fermano. Il 19 dicembre esce “Taratata”, il brano proposto a Carlo Conti e non selezionato. Ironia, ostinazione e una storia che continua a far parlare.

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        Ci sono artisti che al primo no si fermano. E poi ci sono i Jalisse, che al ventinovesimo continuano dritti per la loro strada. Ancora una volta il Festival di Sanremo ha detto no al duo formato da Alessandra Drusian e Fabio Ricci, ma la risposta è arrivata puntuale: “Taratata”, il singolo rifiutato, esce ufficialmente il 19 dicembre in radio e su tutte le piattaforme digitali.

        Il brano, scritto, arrangiato e interpretato dai Jalisse, era stato proposto a Carlo Conti per il prossimo Festival di Sanremo 2026. Non è stato accettato, diventando così l’ennesimo capitolo di una storia ormai unica nella musica italiana. Ventinove esclusioni, una presenza sul palco dell’Ariston nel 2024 come ospiti e la voglia, mai nascosta, di riprovarci ancora.

        Il no che diventa canzone
        “Taratata” nasce come risposta ironica e quotidiana a una realtà che i Jalisse conoscono fin troppo bene. Il brano racconta una storia con leggerezza, quasi a fotografare il quotidiano, e diventa simbolo di un atteggiamento che li accompagna da anni: trasformare ogni rifiuto in un nuovo inizio. Niente lamenti pubblici, ma musica che continua a uscire.

        Una coppia che resiste al tempo
        Alessandra Drusian e Fabio Ricci sono una coppia nella vita e nel lavoro, un dettaglio che rende il loro percorso ancora più compatto. Dopo la vittoria nel 1997 con Fiumi di parole, il loro rapporto con Sanremo si è trasformato in una lunga rincorsa. Ogni anno, all’annuncio del cast, i loro post diventano un piccolo evento social, atteso e commentato.

        Il rituale del “no” diventato virale
        Negli anni hanno imparato a raccontare l’esclusione con ironia. Lo scorso anno avevano stappato birre in diretta Instagram, quest’anno hanno scelto una scenetta con palloncini rossi, gonfiati per festeggiare il “29mo compleanno di no”. Un modo leggero per ribaltare una delusione e farla diventare racconto condiviso.

        “Non ci arrendiamo” come manifesto
        Sempre sorridenti, Ricci e Drusian hanno spiegato senza giri di parole la loro posizione: “Tanto noi non ci arrendiamo. Continuiamo a portare avanti la nostra musica, i nostri progetti e anche i nostri sogni”. E poi la speranza, detta senza sarcasmo: “Chissà che il prossimo anno si riesca a festeggiare il nostro trentennale sul palco dell’Ariston”.

        Che Sanremo li voglia o no, i Jalisse restano lì, puntuali, testardi e perfettamente riconoscibili. E mentre il Festival passa, “Taratata” arriva. Il resto, come sempre, lo dirà il tempo.

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          Musica

          Mahmood firma “Le Cose non Dette”, la canzone originale del nuovo film di Muccino tra musica, cinema e silenzi che pesano

          Una canzone che nasce per il cinema e diventa parte del racconto. Mahmood è la voce e l’autore di “Le Cose non Dette”, brano originale dell’omonimo film di Gabriele Muccino, con un cast corale e una colonna sonora diretta da Paolo Buonvino.

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            Quando cinema e musica si incontrano sul terreno delle emozioni non dette, il risultato difficilmente passa inosservato. Mahmood interpreta e firma “Le Cose non Dette”, la canzone originale dell’omonimo nuovo film di Gabriele Muccino, mettendo la sua voce al servizio di una storia che ruota attorno a parole mancate, scelte sospese e legami complessi.

            Il brano accompagna un film corale che vede protagonisti Stefano Accorsi, Miriam Leone, Claudio Santamaria e Carolina Crescentini, volti diversi ma complementari di un racconto che, già dal titolo, promette introspezione e tensione emotiva. La musica non è un semplice contorno: è parte integrante della narrazione, un filo invisibile che lega le scene e ne amplifica il peso.

            Mahmood tra pop e cinema
            Per Mahmood non si tratta solo di prestare la voce, ma di entrare nel cuore del progetto anche come autore. “Le Cose non Dette” nasce pensata per il film, cucita su immagini e atmosfere, lontana dall’idea di una canzone inserita a posteriori. La sua scrittura, spesso attenta alle fragilità e ai silenzi, trova qui un terreno naturale, dialogando con il linguaggio cinematografico di Muccino.

            Il mondo emotivo di Muccino
            Il cinema di Gabriele Muccino ha sempre fatto delle relazioni e dei conflitti interiori il proprio centro gravitazionale. Affidare la canzone originale a Mahmood significa puntare su una sensibilità affine, capace di raccontare l’irrisolto senza urlarlo. Il titolo condiviso tra film e brano rafforza questa fusione, trasformando la musica in una sorta di voce parallela della storia.

            Un cast che moltiplica i punti di vista
            Accorsi, Leone, Santamaria e Crescentini compongono un mosaico di personaggi che promette dinamiche intrecciate e sguardi differenti sullo stesso nodo emotivo. In questo contesto, la canzone diventa un elemento di raccordo, un commento emotivo che attraversa le traiettorie dei protagonisti senza sovrapporsi ai dialoghi.

            La colonna sonora firmata Buonvino
            A dare unità all’universo musicale del film è Paolo Buonvino, che produce e dirige l’intera colonna sonora. Il suo intervento garantisce coerenza e respiro cinematografico, creando uno spazio sonoro in cui “Le Cose non Dette” di Mahmood può risuonare senza stonature, inserita in un disegno più ampio e strutturato.

            Cinema, musica e parole taciute si intrecciano così in un progetto che punta tutto sull’emozione trattenuta. E quando le cose non vengono dette, spesso è la musica a farsi carico di raccontarle.

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              Musica

              L’indomita Mina immagina il ritorno in scena: smoking, Sinatra e un sogno che è anche un incubo

              “Farò uno sforzo per illudervi un po’”. Con poche righe, Mina costruisce il concerto del suo ritorno e insieme lo smonta. Orchestra, coro, smoking alla Sinatra e ospiti leggendari evocati come fantasmi. Un sogno per il pubblico, un incubo dichiarato per lei.

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                Mina non torna. O forse sì. Ma solo a parole, e solo alle sue condizioni. Basta una dichiarazione, apparentemente leggera, per riaccendere un immaginario che non si è mai spento. “Il concerto del mio rientro sulle scene?”, scrive, e da lì parte un racconto che è insieme promessa, parodia e dichiarazione d’indipendenza artistica. Come sempre, è Mina a dettare il ritmo.

                “Farò uno sforzo per illudervi un po’”, dice subito, mettendo le cose in chiaro. L’illusione è concessa, ma resta tale. Poi l’immagine prende forma: grande orchestra schierata a semicerchio, coro, ingresso in smoking, travestita da Frank Sinatra. Non una Mina nostalgica, ma una Mina che gioca con i miti, li indossa e li cita senza mai inginocchiarsi.

                Il concerto immaginato come teatro mentale
                Non è un annuncio, non è una promessa. È una scena costruita con precisione, quasi fosse un numero di teatro. Mina entra, presenta ospiti d’onore come Elvis, Ella, Gardel. Li introduce come se fossero lì, ma sappiamo tutti che non lo sono. Ed è proprio questo il punto: il concerto esiste solo nel racconto, in quello spazio sospeso dove l’artista controlla tutto e il pubblico può solo immaginare.

                Ironia, distanza e controllo totale
                “Non male. Che ne pensate?”, chiede, con quella leggerezza che in realtà è una forma di potere. Mina si concede il lusso di scherzare su ciò che per altri sarebbe un evento epocale. Si diverte persino a concedere dei bis, come se stesse già governando l’applauso, anticipandolo, ridimensionandolo. È il suo modo di restare lontana, pur parlando a tutti.

                Sogno per voi, incubo per me
                La frase che chiude il quadro è la più sincera e la più spietata: “Piccolo sogno per voi, piccolo incubo per me”. In poche parole c’è tutto il senso del suo rapporto con il palco. L’amore del pubblico da una parte, il peso dell’esposizione dall’altra. E poi la conclusione, secca, definitiva: “Per ora non posso fare di più”.

                Non c’è malinconia, non c’è nostalgia. C’è consapevolezza. Mina non annuncia un ritorno, lo evoca per dimostrare che potrebbe farlo, ma non ne ha bisogno. Anche senza salire su un palco, resta lì: centrale, indomita, padrona assoluta del suo mito.

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