Televisione
Amadeus prova a incollare i cocci ripartendo da La Corrida
Nel tentativo di riguadagnare quella leadeship che poteva vantare in Rai, dopo il suo difficile inizio su Nove, il popolare conduttore ci riprova con uno storico programma in diretta.
Appuntatevi questa data: 6 novembre. E’ il giorno nel quale Amadeus affronterà una nuova sfida su Canale Nove: la conduzione di un programma storico del piccolo schermo – e ancora prima della radio – come La Corrida. Per l’occasione, il conduttore ha rilasciato un’intervista a Tv Sorrisi e Canzoni, raccontando alcuni dettagli inediti di quello che vedremo.
Il pubblico, ingrediente fondamentale
“Ama” ha svelato che il pubblico de La Corrida possiede una caratteristica oggi sempre più rara: “Ha un ruolo vero. Mi capita di incontrare persone che mi chiede di poter venire proprio per fischiare o applaudire”. Affermando con grande convinzione che il pubblico del suo programma vuole metterci la faccia in totale libertà.
Ama ci riprova
Amadeus quindi insiste, nonstante il flop di ascolti registrato con Chissà chi è. D’altronde non potrebbe fare altrimenti Il debutto del conduttore sulla rete ammiraglia Discovery non è stato certo benedetto dalla fortuna, nonostante gli auspici della vigilia. Il conduttore, infatti, ha registrato meno di un milione di telespettatori con le nuove puntate di Chissà chi è. Adesso ha gli occhi tutti puntati sul prossimo appuntamento de La Corrida, in onda a partire dal 6 novembre in prima serata. Per l’uomo che registrava anche il 20% di share su Rai 1 si tratta di una vera e propria sfida, necessaria a dimostrare di essere ancora sulla cresta dell’onda. E un format di grande storicità come questo potrebbe fare al caso suo.
Ha combattuto perchè il programma andasse in diretta
L’intervista in questione è stata rilasciato dopo la sua recente ospitata ad Amici di Maria De Filippi. La Corrida verrà trasmessa rigorosamente in diretta su Canale Nove. Una decisione, quella di andare live che, sulla scorta di cinque Festival di Sanremo, gli suggerivano l’impossibilità di prepararsi agli imprevisti. Ha voluto fortemente che il programma andasse in diretta, in quanto il pubblico si deve gustare tutto ciò che avviene sul palcoscenico.
Chi sono i concorrenti
Sul palco de La Corrida ci saranno esibizioni che faranno ridere ed emozionare e saranno tradizionalmente giudicate dal pubblico in studio. Alla domanda come sono i concorrenti, Amadeus ha dichiarato: “Sono persone con mestieri normali anche di un certo livello che con grande autoironia non vogliono perdere i quattro minuti di popolarità.” Amadeus, scherzosamente, ha concluso ammettendo che parteciperebbe a La Corrida con una canzone.
Un programma storico
La Corrida – Dilettanti allo sbaraglio è un programma televisivo e radiofonico italiano ideato dall’indimenticabile Corrado e dal fratello Riccardo Mantoni, in onda in radio dal 4 gennaio 1968 al 1º gennaio 1977 e dal 2 settembre 1978 al 7 luglio 1979. In televisione apparve a periodi alterni, dal 5 luglio 1986 al 28 febbraio 2020. Andato in onda inizialmente su Canale 5, il programma è stato condotto dal 1986 al 1997 da Corrado, dal 2002 al 2009 da Gerry Scotti e nel 2011 da Flavio Insinna. Nel 2018, a cinquant’anni dalla prima edizione radiofonica, il programma è ritornato in onda su Rai 1 con la conduzione di Carlo Conti, venendo poi riconfermato anche nel 2019 e nel 2020, anno in cui è stato annullato dopo due sole puntate a causa della pandemia.
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Televisione
Heston Blumenthal, genio e fragilità: “Sono bipolare, ma la diagnosi mi ha salvato la vita”
Dalle allucinazioni al ricovero coatto, dalla stabilità ritrovata alla paura dell’ansia: Heston Blumenthal si confessa e riflette sul prezzo della genialità, tra medicina, creatività e il bisogno di equilibrio.
Heston Blumenthal, 58 anni, uno degli chef più innovativi e influenti del mondo, ha deciso di raccontarsi senza filtri. In un’intervista al Corriere della Sera, il fondatore del ristorante tre stelle Michelin The Fat Duck ha parlato per la prima volta apertamente del suo disturbo bipolare, una diagnosi che, come racconta, “ha cambiato tutto”.
“Non ho un disturbo bipolare: sono bipolare. È parte del mio Dna. Mi chiedo come abbia fatto a sopravvivere per 57 anni prima di scoprirlo.”
La svolta è arrivata nel gennaio 2024, quando la moglie, Melanie Ceysson, è stata costretta a farlo ricoverare con un trattamento sanitario obbligatorio. “Avevo allucinazioni e pensieri suicidi. Lei mi ha salvato la vita.” Dopo due mesi trascorsi in ospedale, Blumenthal ha iniziato un percorso di terapia e cura farmacologica che, pur stabilizzando il suo umore, gli ha cambiato il rapporto con se stesso e con il lavoro.
“Se prima vivevo di picchi di euforia e crolli devastanti, ora sono più stabile, ma mi sento meno brillante. Parlo più lentamente, mi manca un po’ quella follia che mi dava energia. Tuttavia, oggi riesco a raccontare chi sono con una chiarezza che il vecchio Heston non avrebbe mai avuto.”
Lo chef, famoso per la sua cucina sperimentale e scientifica, ha confidato di aver preso peso a causa delle cure e di aver iniziato ad assumere Mounjaro, un farmaco antiobesità oggi diffuso anche tra pazienti non diabetici. “Non è solo una questione estetica”, ha spiegato, “ma di salute e benessere psicologico”.
Blumenthal ripercorre poi le origini della sua passione: un viaggio in Francia, a 15 anni, con i genitori e la sorella. “È stato come cadere nella tana del Bianconiglio: in quell’istante ho capito che volevo cucinare.” Da autodidatta, trascorse anni a studiare libri di gastronomia e a sperimentare senza sosta. “Credo di aver provato più di sessanta versioni di gelato alla vaniglia. Da quella mania è nato, nel 1997, il mio piatto simbolo: il gelato al granchio.”
Negli anni Blumenthal ha costruito un impero gastronomico e una reputazione da visionario, ma non senza ombre. Dopo periodi di stress estremo e perfezionismo maniacale, ha rivisto anche il modo di rapportarsi con la sua brigata:
“Una volta sola ho urlato contro un ragazzo. Poi ho capito che il problema ero io: l’avevo messo in una posizione sbagliata, senza dargli le giuste basi. Da allora non ho più alzato la voce con nessuno.”
Oggi vive con la moglie in Francia, in una casa immersa nella natura. Nonostante la calma ritrovata, confessa di convivere ancora con l’ansia:
“Sono più sereno, ma continuo ad avere pensieri oscuri, anche se non concreti. Prima agivo d’impulso, ora ho paura che le cose possano andare storte. È un’ansia costante, ma è anche il segno che sono vivo.”
Il percorso di Blumenthal è quello di un uomo che, dopo aver reinventato la cucina moderna, ha dovuto reinventare se stesso. Oggi il genio di The Fat Duck sembra aver trovato una nuova forma di creatività, più silenziosa ma più profonda: quella che nasce dalla consapevolezza della propria fragilità.
Televisione
Beppe Convertini lancia il gossip a Ballando con le Stelle: “Andrea Delogu e Nikita Perotti si amano, si vede!”
Il commento di Convertini accende i riflettori sulla sintonia tra la conduttrice e il suo maestro di ballo Nikita Perotti. Un’intesa che per molti va ben oltre la pista. La reazione di Delogu su X? Una sola emoji, ma più eloquente di mille parole.
Un colpo di scena in pieno stile Ballando con le Stelle. A scatenarlo, stavolta, è Beppe Convertini, che nel corso della puntata ha pronunciato una frase destinata a far discutere: «Guardate che sono una bella coppia loro due. Si vede proprio che si amano, ragazzi, è evidente! Ma poi anche quando ballano… il loro ballo è sublime, si nota la passione».
Il riferimento è chiarissimo: Andrea Delogu e il suo maestro Nikita Perotti, una delle coppie più affiatate di questa edizione, protagonisti di esibizioni sempre intense e cariche di energia. La battuta di Convertini, però, ha fatto il giro dello studio come una scintilla, accendendo immediatamente il gossip.
Il pubblico ha reagito con un misto di risate e applausi, mentre la Delogu ha sfoderato il suo sorriso ironico, lo stesso con cui da settimane risponde alle allusioni sulla sua presunta intesa con Nikita. Ma stavolta la conduttrice ha preferito spostare il campo di battaglia sui social: su X (Twitter) ha pubblicato un’unica emoji — una faccina che alza gli occhi al cielo —, sufficiente per dire tutto senza aggiungere una parola.
Una risposta che ha immediatamente fatto impazzire i follower, divisi tra chi prende sul serio le parole di Convertini e chi le archivia come una semplice provocazione da salotto televisivo. Eppure, la complicità tra Andrea e Nikita è sotto gli occhi di tutti: sguardi intensi, risate fuori copione, mani che si cercano anche dopo la musica.
In molti giurano che tra i due ci sia solo un’amicizia profonda, nata tra prove e coreografie, ma il gossip corre più veloce dei passi di tango. E se Convertini ha voluto scherzare, di certo ha colto nel segno: il suo commento ha regalato a Ballando con le Stelle un nuovo tormentone e alla coppia Delogu–Perotti un’attenzione ancora maggiore.
Che sia solo sintonia artistica o qualcosa di più, poco importa: la loro danza, fatta di ritmo, emozione e complicità, continua a far parlare il pubblico. Anche quando il ballo è finito.
Televisione
Il Mostro di Firenze arriva su Netflix: la serie di Stefano Sollima che divide tra fascino e disorientamento
Dopo il passaggio a Venezia, Il Mostro approda su Netflix e spiazza: Sollima e Fasoli ricostruiscono gli albori dell’inchiesta in un’Italia contadina e patriarcale, dove il male si annida nella paura e nei silenzi. Nessun colpevole certo, solo un Paese che continua a interrogarsi.
Non è un true crime come gli altri. Con Il Mostro, Stefano Sollima riscrive le regole del genere portando su Netflix un racconto che non vuole scioccare, ma scavare. Quattro episodi lenti, tesi, immersi in un’Italia rurale e superstiziosa, dove la violenza non è spettacolo ma abitudine. Insieme a Leonardo Fasoli, già partner di Gomorra e Suburra, Sollima affronta la “pista sarda”, la prima e più controversa ipotesi investigativa del caso del Mostro di Firenze.
Siamo nel 1968, tra le campagne toscane. Una coppia viene uccisa con una Beretta calibro 22: è il primo tassello di una lunga scia di sangue che durerà quasi vent’anni. La serie ricostruisce l’ambiente che circondò gli indagati di allora — Stefano e Giovanni Mele, Francesco e Salvatore Vinci — uomini segnati da povertà, religiosità primitiva e misoginia. Non ci sono detective eroi né serial killer cinematografici, ma un Paese impaurito che cerca un colpevole per non guardarsi dentro.
Sollima rinuncia ai colpi di scena e sceglie una messa in scena asciutta, quasi documentaria. La macchina da presa osserva, non giudica. I delitti avvengono fuori campo, mentre la tensione cresce nei silenzi, nei volti segnati, nei dialoghi sospesi. La Toscana contadina diventa un microcosmo di sospetto e superstizione: un luogo dove il patriarcato è norma e la violenza domestica, più che reato, consuetudine.
Il rigore storico è garantito dal consulente Francesco Cappelletti: fascicoli giudiziari, dialetti, costumi e perfino le divise d’epoca vengono riprodotti con precisione maniacale. Ma la fedeltà ai fatti è solo il punto di partenza. Sollima costruisce un racconto che è anche una riflessione sulla natura del male e sulla fragilità delle verità processuali. Ogni episodio offre un nuovo punto di vista, e ogni certezza si dissolve.
«Il mostro potrebbe essere chiunque», ha dichiarato il regista. E in effetti la serie non cerca un colpevole, ma un senso. Il finale lascia aperta la porta a una seconda stagione: un’inquadratura fugace mostra Pietro Pacciani, preludio alla fase più nota del caso.
L’operazione divide. I critici esaltano la fotografia livida e la scrittura densa; parte del pubblico fatica ad accettare il ritmo ipnotico e l’assenza di emozioni forti. Ma Il Mostro non vuole intrattenere: vuole inquietare. E ci riesce, trasformando un fatto di cronaca in una parabola sul bisogno collettivo di trovare un colpevole — anche quando il vero mostro, forse, è lo sguardo con cui continuiamo a cercarlo.
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