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Storie vere

Lando, dai surgelati a suole e tomaie: a 52 anni rinasce come calzolaio

Un cambio di vita radicale, una nuova passione. La storia di un uomo che dopo i 50 anni ha deciso di seguire il suo cuore e diventare calzolaio.

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    A 52 anni il signor Lando Lunardi ci ha pensato un po’ su prima di decidersi. Con un passato da rappresentante di surgelati alle spalle, Lando ha deciso di ascoltare il suo cuore e seguire una passione che lo accompagnava da sempre. E così ha fatto il salto. Ha cambiato il suo paradigma di vita riscrivendola completamente partendo da zero. Ma proprio da zero. O quasi. Stanco di un lavoro che non lo soddisfaceva più si è tuffato in una nuova avventura: diventare calzolaio. Un’ attività che gli è sempre piacita. Fin da quando da piccolo il nonno lo portava ‘a giro’ come si dice a Firenze. E ogni volta che insieme passavano davanti alle botteghe dei calzolai lui esigeva che il nonno lo lasciase entrare e si esaltava per davvero a guardare quelle abili mani alle prese con suole e tomaie. E in più si inebriava di quell’odore intenso di colle e vernici misti a cuio che venivano usate per creare e riparare.

    Un inizio in punta di piede

    Senza alcuna esperienza pregressa nel settore, un giorno ha deciso di presentarsi in prova da un vecchio calzolaio, pronto a imparare tutto. E proprio da quella bottega, in una piccola via di Firenze, è rifiorita una sua antica passione. “Mi presentai, venni a parlarci il venerdì e il lunedì ero già a fare pratica. L’unica cosa che gli ho detto è di essere chiaro: ‘Dimmi se sono bravo e posso fare questo lavoro o no’. Lui dopo un po’ ha risposto: ‘Penso diventerai più bravo di me‘”, racconta il signor Lando. E così è stato. Con dedizione e passione, Lando ha imparato tutti i trucchi del mestiere, dalla riparazione delle suole alla sostituzione delle cerniere. E oggi, dopo tre anni, la sua bottega è un punto di riferimento per chi cerca un calzolaio esperto e affidabile.

    La scelta di cambiare vita a 52 anni

    La decisione di Lando di cambiare radicalmente vita a 52 anni è stata molto coraggiosa. Ma si sa certe volte l’incoscienza va aiutata quando il cuore ti trascina. Molti, di fronte a una simile scelta, avrebbero optato per la strada più sicura, quella del posto fisso e della routine. Ma Lando ha preferito seguire il suo istinto e inseguire un sogno. Del resto non è mai troppo tardi per cambiare strada e reinventarsi. L’importante è avere passione, determinazione e voglia di mettersi in gioco. Del resto Lando vive e lavora in una città che nei secoli è sempre stata vocata alla lavorazione delle pelli.

    Firenze è culla degli artigiani del cuoio tra calzolai e conciatori

    La città del Rinascimento, da sempre oltre a essere sinonimo di arte, cultura è un simbolo di un artigianato di alta qualità. Tra le tante eccellenze che hanno reso famosa la città nel mondo, un posto di rilievo spetta all’arte della lavorazione della pelle e, in particolare, alla figura del calzolaio con radici che risalgono nel Medioevo, quando a Firenze si costituì l’Arte dei Calzolai, una delle corporazioni di mestiere più importanti della città. I calzolai fiorentini erano apprezzati per la loro maestria e la qualità delle loro creazioni, che venivano esportate in tutta Europa. Una tradizione che si è tramandata di generazione in generazione, adattandosi ai cambiamenti dei tempi ma mantenendo inalterata la sua qualità. Oggi a Firenze, sono presenti numerose botteghe artigiane dove i calzolai realizzano – a prezzi discretamente alti – calzature su misura e riparano scarpe con la stessa passione e maestria dei loro antenati. Ed è in questo clima sociale e culturale che Lando ha deciso di cambiare e di seguire la sua passione. Ma non è il solo che di punto in bianco decide di cambiare vita…

    La scelta di Lando non è un caso isolato

    Sono sempre numerose le persone che, a qualsiasi età, decidono di cambiare lavoro e di seguire una nuova passione. Dall’agricoltore che diventa chef e decide di trasformare i prodotti della sua terra in piatti gourmet, come Beppe Zullo lo chef contadino di Orsara di Puglia, all’avvocato Morgan Payrot che diventa artigiano del legno e si mette a creare mobili e oggetti unici fino a creare una propria azienda e gestire corsi per falegnami in erba.

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      Storie vere

      Nel paese tutti vedono il video hard di una minorenne: condannato il mittente

      Gira video a luci rosse e li invia ad un 26enne che, a sua volta, li inoltra nelle chat di gruppi del paese. Il fattaccio è accaduto in un comune del Salento, dove il ragazzo è stato condannato a quattro anni di carcere.

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        Ha convinto una ragazzina di appena 13 anni, sua conoscente, a girare col telefonino due video erotici e a inviarglieli. In seguito, tradendo la sua fiducia, ne ha inoltrato uno su un gruppo whatsapp di amici. Per questo vergognoso atto il Tribunale di Lecce l’ha condannato a quattro anni di carcere con l’accusa di pornografia minorile.

        Il cattivo esempio

        Secondo l’accusa il ragazzo, che all’epoca dei fatti aveva 20 anni, avrebbe anche inviato alla minore un video dai contenuti espliciti, per mostrarle come avrebbe dovuto farne uno simile. I giudici hanno disposto anche l’interdizione perpetua da qualsiasi ufficio inerente la tutela, curatela e amministrazione di sostegno, nonché dai pubblici uffici per la durata di cinque anni e l’interdizione in perpetuo da incarichi nelle scuole di ogni ordine e grado e da ogni ufficio o servizio in istituzioni, o in altre strutture pubbliche e private, frequentate abitualmente da minori. L’accusa, in partenza, aveva chiesto una condanna a sette anni di reclusione.

        Tutto si svolse nel 2019

        I fatti sono avvenuti nel 2019; secondo gli accertamenti fatti nel corso del processo, la vittima naturalmente credeva di potersi fidare dell’allora ventenne, con il quale aveva sviluppato un rapporto di stretta conoscenza. Un giorno del maggio di quell’anno il ragazzo le aveva inviato un video intimo, per stimolare la ragazzina a fare lo stesso. Una specie di “video tutor” che aveva convinto la 13enne a realizzare a sua volta due brevi filmati. Lei non poteva sapere, che quei video di pochi secondi sarebbero poi diventati di dominio pubblico in paese.

        Anche i genitori vengono informati e denunciano

        Sono bastati pochi giorni perchè anche i genitori della tredicenne venissero a conoscenza del fatto che stessero circolando dei video “strani” della figlia. Per bloccarne la diffusione hanno fatto un’immediata denuncia. Cosa che ha fatto avviare le indagini da parte della Polizia Postale, sequestrando il telefonino del ragazzo. I video in quel modo vengono rimossi ma la vergogna rimane…

        I risvolti della vergogna

        Per questo brutto episodio la ragazzina sprofonda in una pericolosa crisi depressiva, con risvolti negativi sia sul suo rendimento scolastico ed anche nelle sue abitudini sociali: per mesi si chiude in casa. Nel frattempo l’inchiesta prosegue e il giovane viene iscritto nel registro degli indagati e poi condannato.

        Uno scherzo che non fa assolutamente ridere

        La diffusione non consensuale di materiale pornografico privato è una piaga sociale che ha assunto proporzioni allarmanti con l’avvento dei social e delle app di messaggistica istantanea. Spesso giustificata con leggerezza o spacciata per “scherzo”, questa pratica rappresenta una violazione della privacy e un atto di violenza digitale, con conseguenze devastanti per le vittime.

        Quel click assolutamente da evitare

        Il fenomeno colpisce in particolare le donne, spesso vittime di vendette personali o di manipolazioni affettive. Tuttavia, nessuno è immune: il desiderio di spettacolarizzare la vita altrui e la ricerca di facili consensi spingono molti a inoltrare video o foto intime senza il minimo rispetto per chi ne è protagonista. I contraccolpi sono gravissimi: isolamento sociale, depressione, perdita di fiducia, fino a episodi di autolesionismo o suicidio. Le conseguenze legali sono altrettanto pesanti: in molti paesi, la diffusione non autorizzata di materiale intimo è reato penale. Un solo click può distruggere una vita, ricordiamolo sempre…

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          Storie vere

          L’uomo con le ali Maurizio di Palma ha sfiorato il cielo di Dubai. Nuovo record per il jumper italiano

          Il BASE jumper è un uomo che sfida i limiti della gravità, ma che mantiene uno sguardo lucido sul mondo che lo circonda.

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            Lanciarsi nel vuoto da 500 metri di altezza, lasciando che la gravità faccia il suo lavoro per dieci interminabili secondi di caduta libera, non è un’esperienza per tutti. Ma per Maurizio di Palma, BASE jumper italiano, è la sua vita. Maurizio è stato uno dei soli due italiani, insieme alla collega Roberta Mancino, selezionati per partecipare all’evento Exit#139 a Dubai. Nella capitale degli Emirati Arabi 30 tra i migliori atleti di BASE jump del mondo (chi pratica il lancio con paracadute da una postazione elevata) si sono lanciati dal 139° piano del Burj Khalifa. Ovvero l’edificio più alto del pianeta. Per ogni BASE jumper, questo è il sogno massimo, una sfida che fonde tecnica, coraggio ed emozione pura. Un evento organizzato grazie alla collaborazione di Xdubai, Skydive Dubai, Emaar, Visit.Dubai e Burj Khalifa.

            Da quando aveva 17 anni Maurizio si diverte così

            La storia di Maurizio nel mondo del salto inizia con il paracadutismo, a soli 17 anni. A 23 anni, scopre il BASE jumping, disciplina allora ancora poco diffusa. “Mi ha affascinato subito”, racconta, “Da dieci anni, questo è il mio mestiere”. Nel corso della sua carriera, ha saltato in oltre 600 punti differenti in 36 Paesi, scegliendo solo strutture e scenari naturali con condizioni di sicurezza adeguate. Tra le esperienze più significative Maurizio è saltato giù dalla Torre Eiffel, il Colosseo, la Torre di Pisa, le cascate Angel Falls, le più alte del mondo e ora il Burj Khalifa. Ogni struttura ha le sue criticità: bisogna studiarne i punti deboli, valutare l’altezza minima per l’apertura del paracadute e capire la conformazione dell’aria. Ci prendiamo solo in prestito un po’ di quota”, spiega Maurizio.

            Adrenalina a palla nella caduta libera

            Nel BASE jumping esistono due categorie di salti: quelli vincolati e quelli liberi. Quelli vincolati, come quelli dalla Torre di Pisa o dal Duomo di Milano (47 metri di altezza), prevedono un’apertura immediata del paracadute, che si spalanca completamente in 25 metri di discesa, lasciando pochi attimi di volo prima dell’atterraggio. I salti liberi, come quello dal Burj Khalifa, offrono invece oltre dieci secondi di caduta libera, un tempo che per gli atleti è una combinazione di euforia, controllo e pura libertà. Ma la vera emozione non riguarda solo il volo. “A me piace il momento del salto, l’orgasmo finale,” dice Maurizio, “ma è la preparazione a rendere tutto affascinante”. Il BASE jumping è un mix di strategia, pianificazione e analisi tecnica. Talvolta, quando il salto non è ufficialmente autorizzato, diventa anche un’esperienza da vero James Bond, con lo studio dei percorsi per intrufolarsi nelle strutture, aggirando ostacoli e sorveglianza.

            Tecnica, psicologia e controllo

            Molti pensano che il BASE jumping sia una disciplina fisicamente estrema, ma in realtà, la componente chiave è mentale e tecnica. “Quando sei in aria, non ci sono grandi resistenze, è come essere in acqua: se sai nuotare, puoi galleggiare”, spiega Maurizio. Ma come ci si allena per diventare un BASE jumping? Maurizio risponde che al primo posto c’è la preparazione psicologica, bisogna imparare a controllare l’emozione, entrare nel flow prima del salto e mantenere la massima lucidità. Poi c’è la tecnica. Bisogna curare le acrobazie e gestire bene le linee di volo con la tuta alare. Bisogna anche sapersi adattare all’ambiente circostante. Ogni scenario presenta condizioni di vento, temperatura e pressione diverse, e ogni errore si paga caro. Alla domanda su cosa significhi volare sopra Dubai, Maurizio offre una riflessione profonda. “Quello che sembra il paradiso per me è l’incubo del resto del mondo”. Dal cielo, Dubai appare come una città futuristica, ricca di opportunità e bellezza. Ma “dietro la sua modernità, esistono anche disuguaglianze, lavoro sfruttato e una realtà molto diversa da quella che si vede nei video spettacolari“, dice.

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              Storie vere

              Salvare quel castello!! E’ la missione di Isabella Collalto de Croÿ, la principessa del prosecco

              La storia di Isabella dimostra che, a volte, le vere principesse non hanno bisogno di carrozze dorate: basta un bicchiere di Prosecco. Prosit!

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                Un tempo le principesse aspettavano il principe azzurro e vivevano destini incantati. Oggi, molte di loro hanno scelto di rimboccarsi le maniche e di costruire il proprio futuro con determinazione. E con la cazzuola. È questo il caso di Isabella Collalto de Croÿ, che ha trasformato la sua eredità familiare in una missione. Salvare il Castello di San Salvatore a Susegana, un gioiello delle colline trevigiane, uno dei complessi fortificati più grandi d’Europa, grazie alla viticoltura e al Prosecco. Come ha fatto? E soprattutto perché l’ha fatto?

                Isabella ha lasciato la noia di Bruxelles per ritornare alle sue radici

                Nata in una famiglia di origine longobarda, Isabella ha vissuto per anni a Bruxelles, lontana dalle colline trevigiane che avevano visto crescere la sua famiglia per generazioni. Tuttavia, quando il padre, il Principe Manfredo, le chiese aiuto per preservare l’eredità storica del Castello di San Salvatore, decise di tornare. “Avevo qualche timore nell’abbandonare la vita che conducevo,” racconta, “ma il legame con questo luogo era troppo forte”. Questo legame affonda le radici nel Mille, inteso come periodo storico, quando la famiglia Collalto governava Treviso con il titolo di Conti. Nei secoli successivi il Castello si trasformò in un centro culturale, ospitando musicisti, letterati e artisti come Cima da Conegliano, che ne immortalarono la bellezza nei loro dipinti.

                Dalla Prima Guerra Mondiale alla rinascita moderna

                La storia del castello subì una drammatica svolta con la Prima Guerra Mondiale. Quando il fronte si spostò dal fiume Isonzo al Piave, il maniero diventò bersaglio dell’artiglieria italiana, riportando gravi danni. Nonostante la devastazione, la famiglia Collalto non si arrese e avviò un lungo processo di restauro, volto a recuperare lo straordinario patrimonio storico-artistico. Isabella ricorda bene le condizioni in cui ha trovato il castello. “Fino all’inizio del nuovo millennio era ancora un cantiere”, spiega, “le finestre erano chiuse con assi di legno”. Ma a ridare tono e vita al Castello di San Salvatore è stato il vino. In particolare il Prosecco, che ha finanziato i lavori di recupero. “La viticoltura ci ha permesso di ricostruire questo maniero”, dice Isabella.

                I Collalto: viticoltori per tradizione

                Dal Medioevo fino ai giorni nostri, la famiglia Collalto ha coltivato e protetto il territorio, diventando un nome di riferimento nella produzione vitivinicola. Qui si trova la più vasta superficie vitata della zona e la coltivazione di varietà autoctone ovvero il Verdiso e la Bianchetta, due uve tipiche del Trevigiano. Nel 2007, Isabella ha assunto la guida dell’azienda agricola, portando avanti una tradizione secolare con uno spirito innovativo. Il suo impegno ha permesso non solo di salvaguardare il Castello di San Salvatore, ma anche di rafforzare il ruolo del Prosecco nel panorama vitivinicolo internazionale.

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