Lifestyle
Usa, nello Utah boom di sosia di Gesù: modelli richiesti per foto di famiglia e cartoline divine
Dai ritratti familiari alle immagini virali sui social, la figura di Gesù diventa protagonista di un curioso fenomeno nello Utah. Fotografi e famiglie ingaggiano modelli che incarnano l’iconografia sacra, creando immagini che uniscono fede e marketing.

Nello Utah, terra di mormoni e paesaggi mozzafiato, la somiglianza con Gesù può trasformarsi in un’opportunità di guadagno. Se siete alti, magri, con barba e capelli lunghi, potreste incassare fino a 200 dollari l’ora semplicemente posando per ritratti di famiglia o cartoline personalizzate. Qui, il desiderio di rendere la fede più tangibile ha preso una piega inaspettata, portando a un boom di richieste per modelli che ricordano il Messia.
L’idea è semplice ma efficace: non più solo immagini di santi o versi della Bibbia stampati su carta, ma un’immagine che includa un “Gesù” in carne e ossa. Non un vero miracolo, certo, ma qualcosa che nella sua semplicità emoziona e fa sentire protetti. “Le foto senza un tocco divino non bastano più,” spiega Bob Sagers, uno dei modelli più richiesti.
Sagers, 25 anni, commesso in un negozio di salumi e formaggi, è stato scoperto per caso. “Ero a un festival di musica indie a Salt Lake City quando qualcuno mi ha detto che assomigliavo a Gesù,” racconta. Dopo essere stato avvicinato da un fotografo, ha accettato di posare per una serie di scatti che gli hanno fruttato tra i 100 e i 200 dollari l’ora. Da allora, non si è più fermato.
Foto di famiglia con Gesù
Le richieste sono incredibilmente varie. Alcune famiglie vogliono immortalare momenti che uniscano tradizione e spiritualità, magari con “Gesù” che accarezza i bambini o appoggia una mano rassicurante sulla spalla dei nonni. Una donna, racconta il Wall Street Journal, ha ingaggiato un modello per posare con i suoi figli, dicendo di voler lasciare loro una foto che trasmettesse protezione e serenità.
Il risultato? Immagini suggestive che mescolano il sacro e il quotidiano. In una delle foto più iconiche, un Gesù in abiti bianchi tiene tra le braccia un bambino sorridente, con la sorellina accanto e un paesaggio al tramonto sullo sfondo. Uno scatto che sembra trasportare la Giudea nel cuore dello Utah.
Non tutti i bambini amano Gesù
Nonostante l’entusiasmo, non sempre l’esperienza si rivela semplice. “Se tuo figlio non ama stare sulle ginocchia di Babbo Natale, probabilmente non amerà nemmeno farsi fotografare con Gesù,” scherza una fotografa. “Alcuni bambini sono entusiasti e trovano la cosa bellissima. Altri, invece, vivono momenti terribili e traumatici.”
Sfide e aneddoti mistici
Diventare un modello di Gesù non è privo di momenti imbarazzanti. Terry Holker, un altro “Gesù” molto richiesto, ricorda un episodio particolare. Mentre posava a Salt Flats, una donna gli si è avvicinata chiedendo di camminare mano nella mano con lui. “Sai che non sono il vero Gesù, vero?” le aveva chiesto. La risposta? “Lo so, ma oggi cercavo un segno divino e l’ho trovato in te.”
Curiosamente, la somiglianza con il Messia è un dono raro nello Utah, dove molti uomini lavorano per la Chiesa mormone, che richiede capelli corti e visi rasati. Eppure, il mercato dei “sosia sacri” continua a crescere, alimentato da una domanda che sembra unire fede, arte e una buona dose di marketing.
Che si tratti di ispirazione divina o di semplice moda, il fenomeno dimostra ancora una volta come i confini tra spiritualità e commercio possano intrecciarsi in modi inaspettati. Dopotutto, chi non vorrebbe una foto con “Gesù” sul camino?
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Cucina
Grigliata di Ferragosto, i segreti del “re della carne” Dario Cecchini: come scegliere i tagli e non sbagliare
Dario Cecchini, volto iconico della macelleria italiana e protagonista della serie Netflix Chef’s Table, racconta a Cook la sua filosofia: qualità prima di tutto, niente sprechi, attenzione alle cotture lente e ai tagli meno conosciuti. Ecco come arrivare al Ferragosto con il fuoco giusto e la carne perfetta.

A Ferragosto il profumo della brace è un richiamo primordiale. Giardini, cortili, spiagge: ovunque il crepitio del fuoco annuncia la festa. Ma per trasformare una grigliata in un rito di piacere collettivo serve più di qualche bistecca buttata alla rinfusa. Serve conoscenza, rispetto per la materia prima e un’idea precisa di cosa mettere sulla griglia. Lo sa bene Dario Cecchini, il “re della carne” di Panzano in Chianti, macellaio da mezzo secolo, oggi anche ristoratore in Franciacorta e volto internazionale grazie a Chef’s Table.
Intervistato da Cook, Cecchini parte da un concetto semplice: la quantità. «Calcolate 300-400 grammi di carne a persona — dice —. Per appetiti davvero robusti anche mezzo chilo, ma è una misura da toscani». La vera astuzia, però, è bilanciare: accanto a costate e salsicce, insalate, bruschette e antipasti preparati in anticipo alleggeriscono il pasto e permettono di assaporare tutto senza eccessi.
Poi c’è il cuore della grigliata: il fuoco. Per Cecchini il primo acquisto non è la carne, ma legna e carbone di qualità, rigorosamente vegetali e privi di additivi chimici. «Dal fuoco dipende la riuscita. Se non trovate buona legna, usate carbone, ma che sia pulito», raccomanda.
Sul fronte delle carni, Cecchini mette subito in chiaro la sua filosofia: «Essere carnivori è una responsabilità. Scelgo solo animali adulti, cresciuti bene. Il vitello giovane, oltre a non avere avuto una vita dignitosa, ha una carne troppo tenera e poco saporita». E allora via libera a manzo di qualità, con tagli che vanno dalla costata alla fiorentina — Chianina se possibile — passando per filetto, controfiletto, scamone, codone e pezza. Con un consiglio tecnico: cuocere il filetto intero, così da preservarne la morbidezza delle fibre.
Ma il macellaio toscano invita anche a uscire dalla comfort zone. «Non esistono solo i tagli nobili. Il diaframma, il ragno, la parte alta della pancia: cotti con pazienza, regalano sapori sorprendenti». Tagli poveri, certo, ma capaci di conquistare se rispettati. «La carne è sacra. Nulla deve essere sprecato».
E se il manzo resta protagonista, il maiale ha capitoli da prima fila. Oltre alle classiche costine e braciole, Cecchini mette sul podio la scamerita: coppa fresca di maiale, tagliata a fette spesse e profumata di fiori di finocchio selvatico, come vuole la tradizione toscana. Per chi ama le carni bianche, impossibile non citare il pollo: alette e fusi da cuocere lentamente su fuoco indiretto, con una finitura di limone, pepe e erbe aromatiche.
Alla fine, il Ferragosto secondo Dario Cecchini è un equilibrio di sapori, tempi e scelte consapevoli. «Non serve strafare. Serve rispettare il fuoco, l’animale e il momento di condivisione. Il resto… è solo questione di cuore e brace».
Cucina
Parmigiana leggera un corno: anche d’estate la melanzana si tuffa nel pomodoro e gode come sempre
Dalla versione classica e bollente a quella fredda con stracciatella e basilico, la parmigiana d’estate resta la regina dei piatti italiani. Fritta, grigliata, scomposta o alla napoletana: ogni casa ha la sua liturgia, e guai a toccarla.

C’è un momento preciso in cui la parmigiana smette di essere solo un piatto e diventa una posizione esistenziale: è quando fuori ci sono 32 gradi, il ventilatore tossisce, il forno arroventa l’aria e tu, con un gesto da martire del gusto, scegli di prepararla lo stesso. Perché la parmigiana d’estate non è più una semplice pietanza: è un atto di fede. O meglio, di gola.
Melanzane, pomodoro, mozzarella, basilico. E sopra tutto, un profumo che sa di Sud, di domeniche lunghe, di madri e nonne che “oggi solo due forchettate” e intanto ti affogano l’anima nel ragù. Ma con l’arrivo del caldo, anche lei, la regina, si reinventa. E si divide in almeno cinque correnti di pensiero.
1. La classica (o integralista): fritta, afosa, irresistibile
La melanzana si frigge. Punto. Al forno sì, ma solo dopo. Niente cotture light, niente rivisitazioni: qui si frigge in olio bollente, si stratifica con sugo e mozzarella e si inforna fino a quando il bordo non caramella. È pesante, è rovente, è uno schiaffo al fegato e un abbraccio al cuore. Si mangia tiepida, o il giorno dopo, da sola o col pane. E se non si unge il piatto, non è parmigiana.
2. La grigliata (per chi ci crede ancora)
Versione estiva, più gentile ma non meno dignitosa. Le melanzane si affettano sottili e si grigliano, una a una, come in una Via Crucis gastronomica. Poi si compongono a strati con mozzarella (meglio fiordilatte, ben scolato) e sugo fresco di pomodoro appena saltato con aglio e basilico. Si può evitare il forno: basta lasciarla riposare in frigo e mangiarla fredda. Funziona. Ma guai a chiamarla parmigiana davanti a una nonna del Sud.
3. La scomposta (figlia di MasterChef)
Melanzane a cubetti saltate in padella, quenelle di ricotta o stracciatella, pomodorini confit, gocce di pesto, crumble di pane. Esteticamente perfetta, ma a rischio bestemmia. È buona, sia chiaro. Ma è un’altra cosa. Come il gelato al basilico: interessante, ma non chiamiamolo basilico.
4. La napoletana (con l’uovo dentro, e chi si azzarda a dire niente)
A Napoli la parmigiana ha le uova sbattute tra gli strati. Non sempre, ma spesso. E c’è chi aggiunge anche il salame. In pratica, una bomba calorica che però ha senso anche d’estate. Soprattutto se la mangi fredda, come si fa il giorno dopo, tagliata a quadrotti, con la crosticina che scricchiola sotto i denti e il pomodoro che ha avuto il tempo di sposarsi con tutto. Matrimonio perfetto.
5. La light (o “salutista da terrazza”)
Melanzane cotte al vapore (già qui qualcuno storce il naso), pomodorini crudi, fiocchi di latte o yogurt greco, basilico e un filo d’olio. Freschissima, veloce, ottima per chi vuole restare in forma. Ma diciamocelo: è un’altra cosa. Una bellissima insalata di melanzane, ma non una parmigiana. Lei, la vera, la riconosci perché ti chiede un sorso di vino rosso, una fetta di pane e mezz’ora di riposo sul divano dopo averla mangiata.
Il trucco della nonna: mai usare mozzarella troppo fresca. Va lasciata a sgocciolare in frigo per almeno tre ore. O vi ritroverete un lago al centro della teglia. E se proprio volete una parmigiana perfetta, fatela riposare. Come la vendetta, è un piatto che dà il meglio di sé freddo o tiepido. O, meglio ancora, il giorno dopo.
E allora sì, anche con 35 gradi all’ombra, mentre l’insalata vi fissa dal piatto di fianco, voi affondate la forchetta nella parmigiana e capite che certe passioni, d’estate, non si spengono. Anzi, si sciolgono. Con la mozzarella.
Cucina
Grigliatori seriali: storie vere di uomini e barbecue al limite della legalità
C’è il carbonizzatore compulsivo, il talebano delle marinature, l’hipster del carbone bio e il filosofo della griglia. L’estate li scatena tutti: armati di carne, birra e superiorità morale. Viaggio semiserio tra i fanatici del barbecue da giardino.

A Ferragosto non è una semplice grigliata. È una guerra di ego, fumo e salsicce. In ogni quartiere, condominio o casa vacanze, appena arriva l’estate, si risveglia l’istinto tribale del grigliatore seriale. E no, non parliamo solo di cucina: parliamo di maschi alfa in bermuda e sandali che si trasformano in sciamani del barbecue.
Il più pericoloso è il carbonizzatore compulsivo: quello che ti promette “cottura perfetta” e poi serve pollo che potresti usare per incidere la pietra. Quando gli fai notare che il wurstel ha preso fuoco, risponde “Così è più saporito”.
Poi c’è il maniaco delle marinature, che inizia a preparare tutto due settimane prima, usa sette tipi di spezie sconosciute e ti vieta di toccare la carne perché “non si gira prima dei quattro minuti e trentadue secondi per lato”. Se osi chiedere il ketchup, ti guarda come se avessi bestemmiato in latino.
Il più snob? Il bio-grigliatore esteta, che compra solo carbone attivato da quercia del Madagascar, usa griglie in acciaio chirurgico e serve tofu affumicato su ardesia. Sostiene che la carne sia una violenza ma ti punta comunque la pinza contro se non apprezzi il suo burger di ceci e miso.
Infine c’è lui, il filosofo della griglia: griglia poco, parla tanto. Ti racconta la storia del barbecue dalle caverne a oggi, ti spiega la simbologia del fumo e poi ti serve un’arista cruda, perché “è il simbolo dell’incompletezza dell’uomo moderno”.
E intanto le mogli, le fidanzate, i figli e i poveri invitati mangiano patatine e pregano che almeno l’anguria sia commestibile. Perché il vero rito del barbecue non è mangiare bene: è vedere un uomo (o una donna, ma più raramente) sentirsi onnipotente davanti a una griglia rovente e a una birra calda.
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