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Accordo Israele-Hamas: tregua e scambio di ostaggi firmati a Doha, ma si continua a sparare a Gaza

Domenica il rilascio dei primi ostaggi, ma il cessate il fuoco rischia di essere temporaneo. Netanyahu pronto a riprendere la guerra dopo la prima fase?

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    La tregua è ufficiale. Israele e Hamas, con la mediazione di Qatar e Stati Uniti, hanno firmato nella notte a Doha un accordo che prevede il cessate il fuoco e il rilascio di ostaggi israeliani in cambio di prigionieri palestinesi. L’intesa, annunciata con un giorno di ritardo a causa dell’opposizione dell’ultradestra israeliana, verrà sottoposta oggi al voto del governo israeliano e dovrebbe entrare in vigore domenica alle 12:15 (ora locale).

    Cosa prevede l’accordo?

    Liberazione degli ostaggi: Hamas rilascerà cinque civili israeliani, due bambini e nove ostaggi malati o feriti. Rilascio di prigionieri palestinesi: In cambio, Israele scarcererà centinaia di detenuti, tra cui minori e donne.

    Tempi dell’operazione: Il primo rilascio avverrà domenica alle 16:00 (ora locale) con tre donne civili liberate. Ulteriori scambi: Per ogni gruppo di ostaggi rilasciati, Israele concederà la scarcerazione di prigionieri condannati o in detenzione amministrativa.

    Netanyahu: tregua temporanea?

    Nonostante l’accordo, le operazioni militari a Gaza non si sono fermate. Secondo il Ministero della Sanità di Hamas, nelle ultime ore 113 palestinesi sarebbero morti sotto i bombardamenti israeliani.

    Il Times of Israel e Haaretz riportano che il premier Benjamin Netanyahu potrebbe riprendere le operazioni militari dopo la prima fase dell’accordo, con l’obiettivo di eliminare completamente la leadership di Hamas. Tuttavia, la pressione internazionale, soprattutto dagli Stati Uniti, potrebbe influenzare la durata della tregua.

    Le tensioni interne in Israele

    L’accordo è stato raggiunto nonostante la forte opposizione della destra estrema israeliana, che ha cercato fino all’ultimo di bloccare la firma. La questione del rilascio dei prigionieri palestinesi resta altamente divisiva e potrebbe destabilizzare ulteriormente il governo Netanyahu, già sotto forte pressione politica.

    Nel frattempo, il presidente francese Emmanuel Macron è arrivato in Libano per discutere l’evoluzione della crisi e prevenire un’ulteriore escalation con Hezbollah nel nord di Israele.

    Uno spiraglio per la pace o solo una pausa strategica?

    L’accordo rappresenta il primo passo concreto verso una de-escalation del conflitto, ma resta da vedere quanto durerà la tregua e se si trasformerà in un’intesa più ampia o in una semplice pausa prima della ripresa della guerra.

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      Mondo

      Trump lancia la sua “Netflix MAGA”: propaganda, complotti e business, tutto in streaming

      Donald Trump vuole conquistare anche il telecomando degli americani. Dopo il social fallimentare, arriva lo streaming su misura per la sua narrazione. Dietro? Il solito mix di propaganda, affari e rancore

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        Donald Trump ha deciso che i media non bastano più. Non bastano Fox News, i comizi fiume, Truth Social (il suo social fantasma). Ora serve di più: serve Truth+, una piattaforma streaming tutta sua, dove i contenuti si scolpiscono a colpi di MAGA, patriottismo tossico e verità alternative. Altro che Netflix: qui l’intrattenimento ha il profilo arancione e il parrucchino biondo.

        A spalleggiarlo, chi se non Newsmax, il canale più schierato d’America, che per anni ha spinto teorie cospirazioniste e notizie false su elezioni truccate e vaccini pericolosi. Insomma, se cercavi un rifugio sicuro per paranoici, ultrà e nostalgici del muro col Messico, sei nel posto giusto.

        Il Ceo della baracca, Devin Nunes, ha dichiarato che Truth+ offrirà “commenti incisivi contro il monolite woke”. Tradotto: una valanga di propaganda travestita da informazione, pensata per chi crede ancora che Biden dorma in un bunker sotto Disneyland e che Obama sia nato su Marte.

        Ma il problema è serio. Trump controlla tutto: piattaforma, contenuti, palinsesto, ospiti. Decide cosa si dice, come si dice e chi lo dice. La libertà di stampa? Roba da deboli. L’obiettività? Una parola da eliminare dal vocabolario.

        Intanto i giornalisti veri – tipo quelli di Associated Press o Huffington Post – vengono esclusi dalla Casa Bianca. Dentro, invece, i reporter di Newsmax, con il pass preferenziale per la propaganda. E domani, magari, anche qualche show in prima serata dove Trump intervista… Trump.

        Truth Social ha solo 6 milioni di iscritti e il nuovo streaming rischia di parlare a una stanza vuota. Ma non importa: a Trump basta che si parli di lui. Sempre. Ovunque. Anche nel salotto di casa tua, tra uno spot su bibbie marchiate Trump e una serie tv sulla “vera” America tradita da Hollywood.

        E se non ti basta, tranquillo: presto arriva anche Truth.Fi, la banca MAGA, per investire solo in aziende patriottiche, con un occhio al profitto e l’altro alla bandiera. Il capitalismo? Perfetto, finché serve la causa.

        Trump non è un politico. È un marchio. E ora si compra anche in streaming.

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          Mondo

          “Le donne non dovrebbero votare”: il delirio sessista rilanciato da Pete Hegseth, il capo del Pentagono

          Il leader del Pentagono posta un servizio sulla chiesa di Doug Wilson, dove si predica che il voto alle donne sia un errore. E aggiunge il motto “Tutto Cristo per tutta la vita”.

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            Nel 2025, negli Stati Uniti, c’è ancora chi sogna di togliere il diritto di voto alle donne. E non parliamo di un oscuro predicatore relegato in un canale YouTube da quattro follower, ma del capo del Pentagono. Pete Hegseth ha infatti condiviso sui suoi social un video su una chiesa nazionalista cristiana in cui diversi pastori dichiarano, senza imbarazzo, che le donne non dovrebbero più votare.

            Il filmato è un servizio della Cnn sulla comunità fondata da Doug Wilson, leader della Comunione delle Chiese Evangeliche Riformate. Nelle interviste, alcuni pastori spiegano la loro “teoria”: il suffragio femminile sarebbe un errore storico e, in un “mondo ideale”, le persone dovrebbero votare “come famiglie”, con una sola voce per nucleo domestico. Tradotto: a decidere è l’uomo di casa.

            A rendere la vicenda ancora più inquietante è il commento di Hegseth: “Tutto Cristo per tutta la vita”, motto che, in questo contesto, suona come un endorsement alle posizioni dei pastori. Nessuna presa di distanza, nessun chiarimento: solo la condivisione di un’idea che ribalta oltre un secolo di diritti civili.

            La chiesa di Wilson non è nuova a derive ultraconservatrici, ma che a rilanciarne i contenuti sia il massimo vertice militare americano solleva più di un interrogativo. Sul piano simbolico, è un messaggio devastante: se a pronunciare certe frasi fosse stato un privato cittadino, sarebbe già abbastanza grave. Che lo faccia chi guida il Pentagono, in un Paese che si proclama faro della democrazia, sfiora il paradosso.

            Il suffragio femminile negli Stati Uniti è legge federale dal 1920, frutto di decenni di battaglie e sacrifici. Vederlo trattato come un fastidio da cancellare, e per di più da figure di potere, non è “opinione religiosa”: è nostalgia di un passato maschilista in cui metà della popolazione doveva tacere e obbedire.

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              Studiare negli Stati Uniti? Ora serve anche il “visto social”

              Controlli sui profili online, appuntamenti bloccati e incertezza diplomatica: ecco cosa devono sapere gli studenti italiani che sognano l’America.

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                Studiare negli Stati Uniti è sempre stato un sogno per migliaia di studenti italiani, ma oggi quel sogno passa anche da un nuovo checkpoint: i social network. Dal 18 giugno 2025, il Dipartimento di Stato americano ha introdotto una misura che impone a tutti i richiedenti di rendere pubblici i propri profili social. Post, commenti, like e condivisioni saranno passati al setaccio dai funzionari consolari. Obiettivo: individuare eventuali “segnali di ostilità” verso gli Stati Uniti, la loro cultura o le istituzioni.

                Consolati in attesa di nuovi ordini

                La misura riguarda tutti i visti legati all’istruzione e agli scambi culturali: F1 per studenti universitari, J1 per liceali e programmi di scambio, M1 per formazione professionale. E non si tratta solo di nuove richieste: anche i rinnovi saranno soggetti a questo screening digitale. Il problema? Al momento non è ancora possibile fissare nuovi appuntamenti nei consolati americani in Italia. La procedura è stata riattivata “sulla carta”, ma nei fatti resta bloccata, lasciando migliaia di studenti, ricercatori e professori in un limbo burocratico. Le critiche non si sono fatte attendere. L’American Council on Education e NAFSA hanno espresso timori sull’impatto dissuasivo della misura. Sottolineano il rischio di un calo significativo nelle iscrizioni internazionali, già segnate da oltre 1.800 revoche di visto per motivi politici o ideologici.

                Organizzazioni come ACLU e Human Rights Watch parlano di un “effetto gelido” sulla libertà di espressione, mentre il mondo accademico teme un crollo delle iscrizioni internazionali. Il rischio è che il visto diventi un test politico, soprattutto per chi ha espresso opinioni critiche, ad esempio in merito al conflitto israelo-palestinese.

                Cosa fare, allora, se si vuole studiare negli USA?

                Pulizia digitale. Rivedere i propri profili social, impostare la privacy su “pubblico” come richiesto, ma con attenzione a contenuti potenzialmente controversi. Avere sempre la documentazione pronta. Preparare con largo anticipo tutti i documenti richiesti, inclusi quelli accademici e finanziari. Monitorare i canali ufficiali come ambasciate e consolati che pubblicano aggiornamenti sulle disponibilità degli appuntamenti. Magari valutare alternative agli Stati Uniti. In caso di ritardi prolungati, considerare programmi in altri Paesi anglofoni o posticipare l’esperienza. Insomma studiare negli Stati Uniti è ancora possibile, ma occorre munirsi di più pazienza, più trasparenza e più consapevolezza digitale. Il sogno americano passa anche da un feed Instagram e ogni like potrebbe fare la differenza.

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