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“Il tempo dell’odio” di Antonio Lanzetta: una nuova edizione per un viaggio nell’oscurità dell’animo umano

Il romanzo, ambientato nel Cilento durante la Seconda Guerra Mondiale, torna disponibile in una nuova edizione autoprodotta dall’autore.

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    Torna in una nuova veste uno dei libri più intensi di Antonio Lanzetta, “Il tempo dell’odio”, disponibile in una nuova versione su Amazon all’indirizzo https://amzn.eu/d/iSVo6aY . Lo scrittore salernitano , noto per la sua capacità di intrecciare storie avvincenti con atmosfere cupe e misteriose, ripropone al pubblico quello che da molti è considerato come il suo libro più rappresentativo.

    Gli esordi fantasy e poi tanto giallo

    Lanzetta ha iniziato la sua carriera letteraria dedicandosi al genere fantasy, con opere come “Warrior” e “Revolution”, entrambe pubblicate da La Corte Editore. Successivamente, ha virato verso il thriller, ottenendo riconoscimenti significativi con il racconto breve “Nella pioggia”, finalista al premio “Gran Giallo Cattolica”, e con romanzi come “Il buio dentro”, tradotto in Francia, Canada e Belgio, e citato dal “Sunday Times” come uno dei cinque migliori thriller stranieri dell’anno.

    Negli ultimi anni, Lanzetta ha collaborato con Newton Compton Editori, pubblicando titoli come “L’uomo senza sonno”, “Delitto in riva al mare” e “Luna rosso sangue”. “L’uomo senza sonno” ha ottenuto riconoscimenti internazionali, vincendo il Prix Coup de Coeur du Jury Noir Charbon 2024 a Orchies, in Francia.

    “Il tempo dell’odio” è ambientato nel suggestivo Cilento durante l’estate del 1943 e segue la drammatica vicenda di Michele, un ragazzo di quattordici anni la cui vita viene sconvolta da un atto di violenza che lo costringe a confrontarsi con la brutalità del mondo adulto. Lanzetta, spesso definito non a torto lo “Stephen King italiano”, mescola abilmente elementi storici con atmosfere gotiche e western, creando un racconto che esplora i confini tra bene e male, coraggio e odio. La sua scrittura cinematografica e coinvolgente trasporta il lettore in un viaggio emotivo attraverso le ombre dell’animo umano.

    L’intervista

    D: Cosa l’ha spinta a ripubblicare “Il tempo dell’odio” in una nuova edizione autoprodotta?

    R: “Desidero condividere con voi un pezzo del mio cuore: ‘Il tempo dell’odio’, uno dei miei lavori preferiti, torna disponibile su Amazon in una nuova edizione autoprodotta. Questa storia è nata dal desiderio di esplorare quei momenti in cui ci si sente smarriti, quando la strada di casa sembra lontana e incerta.”

    D: Quali temi ha voluto approfondire attraverso la storia di Michele?

    R: “Il romanzo segue il giovane Michele, un ragazzo di quattordici anni la cui vita viene sconvolta da un atto di violenza che lo costringe a confrontarsi con la brutalità del mondo adulto. È una storia di formazione che intreccia temi di resistenza e antifascismo, ma soprattutto scava negli angoli più oscuri dell’animo umano, mettendo in luce la sottile linea tra bene e male.”

    D: Quali influenze stilistiche hanno guidato la scrittura del romanzo?

    R: “Ho cercato di infondere nelle pagine l’atmosfera del Southern Gothic americano e del western, con personaggi complessi e ambientazioni che riflettono le ombre e le luci dell’umanità.”

    “Il tempo dell’odio” è un’opera che non solo intrattiene, ma invita il lettore a riflettere sulla resilienza umana e sulle scelte impossibili che la vita ci impone. Un viaggio letterario che promette di lasciare un segno indelebile nel cuore di chi legge.

    La trama

    “La morte venne a cercarmi nell’estate del 1943. Avevo quattordici anni quando sparai per la prima volta in faccia a un uomo. È passato molto tempo da allora e le cose che ho fatto, le cose brutte che sono stato costretto a fare, mi hanno cambiato per sempre.”

    Cilento, un angolo del sud d’Italia intrappolato tra le braccia della guerra e l’ombra di un regime al tramonto. Michele, quattordici anni, vive una quotidianità scandita dal lavoro nei campi e dai silenzi di un padre lontano, disperso in Africa. Ma l’estate segna l’inizio di un incubo: tornato a casa, trova la sua famiglia distrutta da un manipolo di fascisti. La madre giace senza vita, le due sorelle sono strappate via, e il mondo che conosceva viene inghiottito dalla violenza.

    Sopravvissuto per miracolo, Michele si ritrova costretto a crescere troppo in fretta, affrontando l’orrore e il peso della vendetta. Rifugiatosi da un’anziana vicina, scoprirà che anche nel cuore della disperazione germogliano il coraggio e l’odio.

    Tra le pieghe di un’Italia devastata, Il tempo dell’odio è un romanzo di formazione che scava nel buio dell’anima umana, illuminando i legami spezzati, le scelte impossibili e la resilienza di un ragazzo che lotta per sopravvivere.
    Un libro per chi ha smarrito la strada e cerca di tornare a casa. Una storia che parla di memoria, resistenza e sacrificio.

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      Sonia Bruganelli: «L’aborto a 24 anni, il tradimento, Paolo e io. Vi racconto tutto quello che mi ha cambiato»

      Sonia Bruganelli si mette a nudo come non aveva mai fatto. Lo fa in un’intervista al Corriere della Sera e nel suo nuovo libro Solo quello che rimane – Autobiografia di una lettrice (Sperling & Kupfer), dove ripercorre la sua vita privata, le sue fragilità e il lungo legame con Paolo Bonolis, l’uomo che ha segnato gran parte della sua esistenza.

      Per la prima volta racconta un episodio che ha inciso profondamente nel suo percorso personale: «Avevo ventiquattro anni quando rimasi incinta. La gravidanza non era cercata, ma avrei voluto che Paolo mi dicesse: “Che bello, questo bimbo è frutto del nostro amore”. Invece, non era pronto. L’ho capito, non l’ho accusato e, fra diventare madre senza di lui o avere lui, ho scelto lui. Ma mi sbagliavo. Pensavo che, dopo l’intervento, tutto sarebbe finito lì. Invece, la rabbia per ciò che mi era stato tolto si è fatta sentire nel tempo».

      Quella scelta, confessa oggi, ha segnato il suo modo di vivere l’amore e la maternità: «Da allora ho cercato di riprendermi quello che non avevo avuto la maturità di scegliere. Ho accumulato errori su errori. Essere madre è sempre stato il mio sogno, ma per anni quella ferita ha condizionato tutto il nostro rapporto».

      Il dolore si è intrecciato alla gelosia e alla difficoltà di accettare le differenze: «Quando Paolo parlava dei suoi figli, mi sentivo lacerata. Pensavo che non mi considerasse abbastanza importante da volere un’altra paternità con me. Gli dicevo: “Zitto, mi ferisci”. Era una situazione tossica».

      Poi la confessione più intima: «Ci siamo sposati perché ci amavamo, ma anche per un intreccio di altre ragioni. Dentro quell’amore c’erano rancori, desideri, bisogno di conferme».

      Nel libro, Bruganelli non elude nemmeno il tema dei tradimenti e della fine del matrimonio: «A un certo punto ho capito che dovevamo lasciarci per restare interi. Non per mancanza d’amore, ma per rispetto. Abbiamo vissuto tanto insieme, e tanto ci sarà ancora, in forme diverse. Il perdono è la più alta forma d’amore».

      Una confessione lucida, adulta e senza orpelli, quella di Sonia Bruganelli, che chiude un cerchio ma non un legame: quello con l’uomo che, nel bene e nel male, continua a far parte della sua storia.

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        Sonia Bruganelli si mette a nudo come non aveva mai fatto. Lo fa in un’intervista al Corriere della Sera e nel suo nuovo libro Solo quello che rimane – Autobiografia di una lettrice (Sperling & Kupfer), dove ripercorre la sua vita privata, le sue fragilità e il lungo legame con Paolo Bonolis, l’uomo che ha segnato gran parte della sua esistenza.

        Per la prima volta racconta un episodio che ha inciso profondamente nel suo percorso personale: «Avevo ventiquattro anni quando rimasi incinta. La gravidanza non era cercata, ma avrei voluto che Paolo mi dicesse: “Che bello, questo bimbo è frutto del nostro amore”. Invece, non era pronto. L’ho capito, non l’ho accusato e, fra diventare madre senza di lui o avere lui, ho scelto lui. Ma mi sbagliavo. Pensavo che, dopo l’intervento, tutto sarebbe finito lì. Invece, la rabbia per ciò che mi era stato tolto si è fatta sentire nel tempo».

        Quella scelta, confessa oggi, ha segnato il suo modo di vivere l’amore e la maternità: «Da allora ho cercato di riprendermi quello che non avevo avuto la maturità di scegliere. Ho accumulato errori su errori. Essere madre è sempre stato il mio sogno, ma per anni quella ferita ha condizionato tutto il nostro rapporto».

        Il dolore si è intrecciato alla gelosia e alla difficoltà di accettare le differenze: «Quando Paolo parlava dei suoi figli, mi sentivo lacerata. Pensavo che non mi considerasse abbastanza importante da volere un’altra paternità con me. Gli dicevo: “Zitto, mi ferisci”. Era una situazione tossica».

        Poi la confessione più intima: «Ci siamo sposati perché ci amavamo, ma anche per un intreccio di altre ragioni. Dentro quell’amore c’erano rancori, desideri, bisogno di conferme».

        Nel libro, Bruganelli non elude nemmeno il tema dei tradimenti e della fine del matrimonio: «A un certo punto ho capito che dovevamo lasciarci per restare interi. Non per mancanza d’amore, ma per rispetto. Abbiamo vissuto tanto insieme, e tanto ci sarà ancora, in forme diverse. Il perdono è la più alta forma d’amore».

        Una confessione lucida, adulta e senza orpelli, quella di Sonia Bruganelli, che chiude un cerchio ma non un legame: quello con l’uomo che, nel bene e nel male, continua a far parte della sua storia.

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          Michele Bravi trasforma la memoria dei nonni in un libro: “Lo ricordo io per te”

          Dopo la canzone e un cortometraggio in arrivo, il volume diventa il terzo tassello del suo percorso creativo dedicato a Graziella e Luigi, con un impegno concreto nella ricerca sull’Alzheimer.

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          Michele Bravi

            Ci sono storie che rimangono ancorate all’anima e che, col tempo, trovano la forza di fiorire. Per Michele Bravi, 29 anni, cantautore e attore originario di Città di Castello, quel seme è la vicenda d’amore dei suoi nonni Graziella e Luigi. Una storia semplice, tenera e allo stesso tempo straordinaria, che l’artista ha deciso di restituire al pubblico con la sensibilità che da sempre caratterizza i suoi progetti artistici.

            Dopo il brano musicale Lo ricordo io per te, uscito il 4 aprile, e in attesa di un cortometraggio con la partecipazione speciale di Lino Banfi, Bravi ha scelto di raccogliere quell’universo familiare in un libro pubblicato lo scorso 30 settembre per Rizzoli, intitolato anch’esso Lo ricordo io per te. Non un’autobiografia, ma una raccolta di fiabe moderne in cui il dolore dell’Alzheimer diventa materia poetica, tradotta in immagini delicate e accessibili anche ai più piccoli.

            Il ricordo come promessa

            Graziella e Luigi non ci sono più, ma per Michele la loro presenza continua a vivere nei dettagli della casa in cui è cresciuto: fotografie, utensili, l’odore della cucina. È da lì che nasce la promessa che dà titolo al progetto: “Lo ricordo io per te”. Un impegno a custodire la memoria anche quando la malattia l’ha erosa.

            “Quando mia nonna si è ammalata di Alzheimer – racconta il cantautore – i ricordi hanno iniziato a giocare a nascondino. Più lei li perdeva, più mio nonno li raccoglieva, come fossero briciole sul sentiero che riporta a casa”.

            Tre linguaggi per un’eredità affettiva

            Il progetto creativo si articola in tre forme: la canzone, il film breve e il libro. Quest’ultimo raccoglie tre racconti: Storia della nebbia, Storia della pioggia e Storia della luna. Nelle pagine si incontrano nonni che continuano a giocare a nascondino nonostante la distanza, due tazzine innamorate che ascoltano la pioggia e un bambino che guarda la Luna per ritrovare le cose perdute.

            “È un libro per nonni e bambini – spiega Bravi – da leggere insieme o da custodire in solitudine. Ho provato a dare una forma creativa a un dolore grande, usando la stessa immaginazione che mio nonno aveva quando mi spiegava cosa stava accadendo a mia nonna”.

            L’impegno contro l’Alzheimer

            Il valore dell’opera non è solo simbolico. Una parte dei proventi del libro sarà infatti destinata ad Airalzh, l’Associazione Italiana Ricerca Alzheimer Onlus. Il volume verrà presentato ufficialmente anche all’Alzheimer Fest di Roma il 4 ottobre, un’occasione in cui l’artista ribadirà il messaggio che porta avanti da tempo: l’Alzheimer non riguarda solo chi ne è colpito, ma investe l’intera rete affettiva e familiare.

            Una memoria che diventa collettiva

            Con questo lavoro Michele Bravi aggiunge un nuovo tassello alla sua carriera già segnata da musica, televisione e cinema. Ma soprattutto dà un esempio di come un’esperienza personale possa trasformarsi in memoria collettiva. “Ho 29 anni – dice – e so che il tempo va usato per creare. Questo libro è la mia promessa: rendere fertili i ricordi che ho ricevuto, piantarli nei cuori degli altri”.

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              Sonia Bruganelli si racconta senza filtri: “Nel mio libro metto a nudo i miei errori, il dolore e la rinascita”

              In uscita il 21 ottobre Solo quello che rimane (Sperling & Kupfer), l’autobiografia di Sonia Bruganelli. Un viaggio nella fragilità e nella forza di una donna che ha imparato ad accettarsi dopo anni di sensi di colpa, dolori e rinascite.

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              Sonia Bruganelli

                Sonia Bruganelli torna a far parlare di sé, ma questa volta non come produttrice televisiva o opinionista, bensì come autrice di un libro autobiografico. Solo quello che rimane, in uscita il 21 ottobre per Sperling & Kupfer, è un racconto intimo e coraggioso che attraversa luci e ombre della sua vita privata e professionale.
                Un testo che intreccia memoria, letteratura e introspezione: sette romanzi fanno da filo conduttore alla narrazione, ciascuno legato a una tappa del suo percorso personale.

                Tra questi, L’evento di Annie Ernaux — il libro che l’ha spinta a parlare per la prima volta pubblicamente di un episodio doloroso: un aborto deciso a 24 anni, quando stava con Paolo Bonolis da poco più di un anno. “Quella scelta – scrive Sonia – ha condizionato tutto il nostro rapporto. Da allora ho commesso errori su errori, nel tentativo di riprendermi ciò che non avevo avuto il coraggio di scegliere”.

                Il peso di una decisione e le ferite del passato

                All’epoca, racconta Bruganelli, era una studentessa di Scienze della Comunicazione, indipendente e orgogliosa di mantenersi da sola. La gravidanza non era stata cercata, ma lei avrebbe voluto che Bonolis, già padre di due figli, le dicesse: “Che bello, questo bambino è frutto del nostro amore”. Invece, lui non si sentiva pronto.
                “Fra diventare madre da sola o avere lui, ho scelto lui”, confessa. “Pensavo che, fatto l’intervento, tutto sarebbe finito. Invece, no”.

                Col tempo, il dolore represso si è trasformato in rabbia e senso di colpa, sentimenti che hanno segnato profondamente la loro relazione. Se parlava dei suoi figli, mi sentivo ferita. Era una ferita che non guariva”.

                La maternità e il senso di colpa

                La nascita della loro prima figlia, Silvia, avrebbe dovuto rappresentare un nuovo inizio. Ma la bambina nacque con una cardiopatia e dovette affrontare un intervento urgente. “È stato uno shock – ricorda Sonia –. Pensavo di essere stata punita per aver rinunciato al mio primo bambino”.
                I primi mesi furono un vortice di dolore e senso di fallimento: “Mi vergognavo, mi sentivo inadeguata. Ho inseguito per anni un ideale di maternità perfetta che non esiste”.

                Da quel momento arrivarono altri due figli, Davide e Adele, ma la serenità non fu immediata. Solo con il tempo, racconta, ha imparato ad accettare la realtà e a guardare Silvia con occhi nuovi: “Un giorno mi ha visto piangere e mi ha chiesto ‘perché piangi?’. Lì ho capito che il problema non era lei, ma il mio modo di non accogliere la sua diversità”.

                L’immagine pubblica e la donna privata

                Bruganelli affronta anche il tema dell’immagine pubblica e delle etichette: Mi sono costruita la maschera della stronza per non mostrare la mia fragilità”.
                Essere “la moglie di Bonolis”, ammette, è stato un peso e una sfida: “Non volevo essere solo la moglie del conduttore, ma una professionista autonoma. Ho lavorato dietro le quinte, iniziando dalle fotocopie fino a diventare produttrice”.

                Il successo, però, non ha cancellato le sue insicurezze: “Dicevano che fossi un obolo per avere lui, ma in realtà ho costruito una mia azienda, creato lavoro, sostenuto famiglie”.

                Il crollo e la rinascita

                Nel libro, Sonia racconta anche momenti di crisi profonda: attacchi di panico, disturbi alimentari e la sensazione di non essere mai “abbastanza”.
                “Durante una vacanza a New York ho creduto di avere un infarto. Era solo ansia, ma il corpo mi stava dicendo che non potevo più fingere di essere una famiglia normale”.

                Poi la depressione, la perdita di peso estrema e infine la rinascita, grazie anche al figlio Davide: “Mi ha chiesto: ‘Mamma, ma tu muori?’. Quella frase mi ha salvata. Ho capito che dovevo farmi aiutare”.

                Con l’aiuto di uno psichiatra e un lungo percorso terapeutico, Bruganelli racconta di essere riuscita a fare pace con sé stessa: “Solo quando ho accettato la realtà, la mia vita è cambiata”.

                Oggi e il futuro

                Oggi Sonia Bruganelli e Paolo Bonolis, separati dal 2022, mantengono un rapporto sereno: “Viviamo vicini, ceniamo insieme, ci vogliamo bene”. Accanto a lei, ora, c’è Angelo Madonia, ballerino e coreografo: “È più giovane di me, ma ha vissuto tanto. Con lui ho trovato equilibrio, comprensione e rispetto”.

                Un racconto di verità e resilienza

                Con Solo quello che rimane, Sonia Bruganelli firma un racconto autentico, capace di mescolare introspezione e catarsi. Non un semplice memoir, ma un atto di sincerità che parla di errori, fragilità, femminilità e rinascita.
                “Scrivere questo libro – conclude – è stato come guardarmi allo specchio senza filtri. Per la prima volta non mi giudico: mi abbraccio.”

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