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Rita De Crescenzo, la regina di TikTok e delle polemiche: «Gli Uffizi possono chiamarmi, quello che pubblicizzo esplode»
Dodicimila persone in una cittadina di meno di duemila anime. Un’invasione senza precedenti. No, non per un concerto, né per un evento storico. Il motivo? Rita De Crescenzo, la regina partenopea dei social, che con una diretta su TikTok ha trasformato Roccaraso in una meta da pellegrinaggio.

La tranquillità della località sciistica è stata stravolta da migliaia di fan della tiktoker, arrivati in massa dopo che lei aveva condiviso qualche video tra balletti e scorribande sulla neve. Un fenomeno talmente fuori controllo che il sindaco, Francesco Di Donato, si è visto costretto a imporre il numero chiuso per le domeniche successive.
Rita, però, respinge le accuse di aver organizzato un evento non autorizzato. «Io non ho organizzato niente, ho solo fatto un viaggio in famiglia e mostrato la bellezza della neve. Ma hanno montato un caso, hanno detto che gestivo viaggi turistici. Scherziamo? Io faccio solo video. Dove vado io, poi arrivano tutti. È un problema se porto persone in un posto bello?».
Prossima destinazione? Ovindoli. E chi ha visto cosa è successo a Ischia l’estate scorsa sa già come potrebbe finire.
«Gli Uffizi possono chiamarmi»
Il nome di Rita De Crescenzo è spesso affiancato a quello di Chiara Ferragni per via della capacità di muovere le masse con un solo post. Ma il paragone le sfugge di mano: «Gli Uffizi di Firenze? E che sono?». Dopo un attimo di smarrimento e la spiegazione della giornalista, arriva la replica: «Ah, un museo! Ferragni ha fatto il tutto esaurito? Se occorre, possono chiamare me. Se pubblicizzo qualcosa, il giorno dopo già non si trova più».
Un’affermazione che fa sorridere, ma che porta a una riflessione più ampia: come si spiega il successo di una donna che ha conquistato 1,7 milioni di follower su TikTok e 448 mila su Instagram? La risposta è nella sua autenticità. «Sono vera, senza filtri. Faccio TikTok pure mentre mangio una mozzarella. Ho migliaia di persone in ospedale e Rsa che mi scrivono. Aspettano la live mattutina per avere una compagnia».
Dalla droga alla popolarità
Dietro i balletti, il linguaggio colorito e i video virali c’è una vita segnata dagli errori. «Ventisette anni con quella brutta compagna: la cocaina. Una prigione da cui pensavo di non uscire mai». A salvarla è stato il figlio Rosario: «Mi chiudeva in camera, mi controllava, mi impediva di autodistruggermi, mi incatenava al letto con le manette pur di non farmi uscire per andare a comprare la droga».
Oggi Rita dice di essere rinata, grazie a lui e alla fede. E mentre racconta il suo passato difficile, guarda avanti: sogna un film con Christian De Sica e un posto al Grande Fratello. «Pensa che spettacolo: i miei balletti, le mie battute… farei ridere tutti. E poi sai quante storie potrei raccontare? Garantisco un boom di ascolti».
Il problema è che, a giudicare dalla sua capacità di attirare folle e influenzare migliaia di persone, quel boom potrebbe essere davvero garantito.
INSTAGRAM.COM/LACITYMAG
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TikTok jihad è allarme in Italia: 62 arresti nel 2024, raddoppiati rispetto all’anno precedente
Nel 2024 in Italia sono stati eseguiti 62 arresti per terrorismo jihadista, quasi il doppio rispetto al 2023. Cresce il coinvolgimento di giovanissimi, mentre il fenomeno del cosiddetto “TikTok jihad” si diffonde in tutta Europa, con la Spagna capofila per numero di minori fermati.

Nel 2024 l’Italia ha registrato 62 arresti legati al jihadismo, quasi il doppio rispetto ai 33 dell’anno precedente. Un dato che conferma la crescente pericolosità del radicalismo digitale, con un numero crescente di adolescenti coinvolti. Il fenomeno ha ormai un nome preciso: “TikTok jihad”, la nuova frontiera della propaganda estremista che mescola vecchi messaggi dell’Isis. E strumenti tecnologici di ultima generazione.
Gli esperti di antiterrorismo spiegano che il proselitismo corre sui social, con video brevi, musiche accattivanti e messaggi personalizzati da algoritmi sempre più sofisticati. L’intelligenza artificiale viene usata per creare contenuti su misura e aggirare i filtri automatici delle piattaforme. «Il jihadismo non ha più bisogno di strutture fisiche – avverte Lorenzo Vidino, direttore del Programma sull’Estremismo dell’Università George Washington –. I ragazzi più isolati possono radicalizzarsi interamente online, fino a passare all’azione».
Il fenomeno non riguarda solo l’Italia. In Spagna, secondo il Centro Memoriale per le Vittime del Terrorismo, nel 2024 sono stati fermati 15 minorenni implicati in attività terroristiche, più di tutti quelli arrestati tra il 2017 e il 2022 messi insieme. Nei primi sei mesi del 2025 altri sette giovani sono già finiti sotto inchiesta. Il Paese iberico ha chiuso l’anno con 81 arresti complessivi, davanti a Francia (69), Italia (62) e Germania (55).
Gli investigatori italiani confermano che i nuovi simpatizzanti del jihad sono ragazzi soli, spesso fragili psicologicamente, che trovano nella rete un senso di appartenenza. Molti genitori scoprono il pericolo solo quando è troppo tardi, dopo che i figli hanno già preso contatti con reti di propaganda o hanno iniziato a pianificare azioni dimostrative.
Per contrastare il “TikTok jihad”, le forze dell’ordine hanno potenziato le unità di cyber-polizia, mentre i governi europei chiedono alle piattaforme social di rafforzare la rimozione dei contenuti estremisti. Ma gli esperti avvertono che senza prevenzione nelle scuole e nelle famiglie, il jihadismo digitale continuerà a trovare terreno fertile negli smartphone dei più giovani.
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Pettorali, post e preghiere: l’ascesa (virale) dei preti-influencer che predicano tra reel e squat
Sempre più sacerdoti italiani e stranieri conquistano follower su TikTok e Instagram: fanno palestra, parlano con i trend e a volte cantano “Mamma Maria”. E nel 2025 arriva pure il Giubileo degli influencer cattolici.

Chi l’ha detto che un prete deve essere serio, con la tonaca sgualcita e lo sguardo assorto? I nuovi sacerdoti virali hanno muscoli, profili curatissimi e colletto bianco ben in vista. Su Instagram e TikTok si moltiplicano i video di preti che leggono il Vangelo in palestra, condividono reel motivazionali, si mostrano in posa come modelli. Benvenuti nell’era dei preti-influencer.
A guidare la carica social è don Cosimo Schena, sacerdote, poeta e musicista, con quasi mezzo milione di follower. I suoi contenuti sono montati come se uscissero da un’agenzia pubblicitaria: barba brizzolata, cani in braccio, magliette aderenti che lasciano poco all’immaginazione ma sempre con il colletto bianco in bella vista. Non predica, insegna a respirare.




















C’è anche Jefferson Merighetti, soprannominato o prete gato (il prete figo), brasiliano ma ormai di casa a Roma, e don Giuseppe Fusari, della diocesi di Brescia, noto come “il prete culturista”: pettorali scolpiti e citazioni evangeliche. Per loro, “il corpo è il tempio dello Spirito Santo” non è solo un verso della Bibbia, ma un hashtag.
Poi ci sono i preti che puntano sulla simpatia: Frate Mago, cappuccino che trasforma le parabole in giochi di prestigio. O don Roberto Fiscer, che traduce il Vangelo nei linguaggi dei trend giovanili. E come dimenticare don Bruno, fan sfegatato dei Ricchi e Poveri, che si è esibito anche a The Voice Senior cantando “Mamma Maria”, da lui considerato un inno mariano in versione pop.
Il Vaticano osserva e approva. E nel 2025 organizza il primo Giubileo degli influencer cattolici, previsto a Roma il 28 e 29 luglio. Perché oggi, ogni follower è un’anima, ogni like una preghiera. E ogni post, se ben scritto, può essere una moderna omelia.
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Boat Kid, Il bambino che balla sulla barca e incanta il mondo
Dall’Indonesia ai social globali: Rayyan Arkan Dikha, 11 anni, conquista tutti con il suo carisma danzante nella regata Pacu Jalur. Il suo ballo sulla prua di una canoa tradizionale ha scatenato milioni di visualizzazioni, dando nuova vita a una secolare tradizione culturale.

È diventato il protagonista inaspettato di un video che ha fatto il giro del mondo. Un ragazzino indonesiano, vestito con abiti tradizionali, turbante e occhiali da sole, balla con stile sulla punta di una canoa in corsa. Non è una scena di un film, ma la realtà suggestiva della regata Pacu Jalur. Storica competizione di barche tipica della provincia di Riau, in Indonesia.
Il piccolo si chiama Rayyan Arkan Dikha, ha solo 11 anni. Ed è ormai conosciuto online con il soprannome di “boat kid”, il ragazzo della barca. Il suo video ha incantato milioni di persone, diventando virale grazie al mix irresistibile di energia, eleganza e naturalezza. Su TikTok, Instagram e YouTube è stato ribattezzato il simbolo vivente del fenomeno chiamato “aura farming”, ovvero l’arte di trasmettere carisma senza sforzo.
Ma chi è davvero questo bambino? Nato nel dicembre 2014 nella reggenza di Kuantan Singingi. Rayyan frequenta la quinta elementare e proviene da una famiglia semplice, in cui padre e zio sono entrambi vogatori. Non è nuovo a questo mondo: già da qualche anno, infatti, prende parte alla Pacu Jalur con un ruolo ben preciso e altamente simbolico, quello del “Togak Luan”. Ovvero il danzatore di prua, incaricato di caricare l’equipaggio e dettare il ritmo dei remi con movimenti e presenza scenica.
La scena che lo ha reso famoso è stata filmata durante l’edizione di gennaio della competizione, sulle acque del fiume Batang Kuantan. Rayyan, con addosso l’elegante Teluk Belanga (l’abito tipico malese), improvvisa una danza in equilibrio sulla canoa. Nulla di studiato: è tutto spontaneo, come lui stesso ha raccontato. Ed è proprio quella genuinità, quell’equilibrio tra tradizione e leggerezza a colpire chiunque lo guardi.
Il suo magnetismo ha conquistato anche il mondo delle celebrità: da Travis Kelce ad Alex Albon. Da Diego Luna al Paris Saint-Germain, fino alla Marina militare di Singapore, in tanti hanno omaggiato Rayyan con reinterpretazioni della sua performance. Il suo gesto è diventato un simbolo universale di positività, stile e determinazione.
Il governo locale non è rimasto indifferente: Rayyan è stato nominato ambasciatore del turismo della provincia. E ha ricevuto una borsa di studio per il suo talento e per la promozione culturale che, inconsapevolmente, ha portato in tutto il mondo.
In un’epoca di contenuti usa e getta, la sua danza è qualcosa che rimane. Perché è autentica. Perché è identità. E perché, con un sorriso e qualche passo, un ragazzino sulla punta di una barca ci ha ricordato quanto può essere potente la semplicità.
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