Cucina
EPesto, il pesto da 1000 euro al chilo: la sfida di lusso di Maurizio Viani
Da una ricetta della nonna al mercato giapponese: EPesto nasce a Imperia con l’ambizione di diventare il condimento più esclusivo al mondo.

Sembra la trama di un film gourmet, ma è tutto vero. EPesto, il pesto da 1000 euro al chilo, è l’ambizioso progetto di Maurizio Viani, imprenditore ligure che ha trasformato una ricetta di famiglia in un prodotto di alta gastronomia, destinato a hotel di lusso e ristoranti stellati.
La base è sempre quella tradizionale, ma a fare la differenza sono gli ingredienti, selezionati con maniacale attenzione alla qualità: Parmigiano Reggiano invecchiato 15 anni, basilico di Genova Prà, pinoli di San Rossore e olio di olive taggiasche. «Il nostro obiettivo è creare un pesto unico al mondo», racconta Viani, che ha fondato EPesto nella sua Imperia, patria del basilico e della tradizione ligure.
Come nasce EPesto
«Il nome è un modo per distinguerci dagli altri prodotti sul mercato. EPesto è un prodotto speciale», spiega Viani. Il progetto prende forma quasi per caso: «Mi è capitata in mano una vecchia ricetta di mia nonna Carla, che aveva una salumeria nel centro di Imperia fino al 1972. Già allora mia nonna era attentissima alla qualità degli ingredienti: asciugava le foglie di basilico con cura e utilizzava solo i migliori formaggi».
L’ispirazione diventa presto un’ossessione per l’eccellenza. I primi barattoli di pesto nascono grazie alla collaborazione con Davide Tacchi, ex partecipante al Campionato Mondiale di Pesto, e finiscono subito in Giappone, dove un amico di Viani, esperto di gastronomia, fiuta il potenziale del prodotto. «Il mercato giapponese è molto ricettivo verso le eccellenze italiane. Ci hanno detto subito che c’era interesse», racconta.
Ingredienti d’élite per un pesto di lusso
Ogni ingrediente di EPesto è selezionato con cura maniacale. Il basilico, per ora, non proviene ancora dalla coltivazione idroponica di Viani, ma dall’azienda di Ruggero Rossi a Genova Prà, uno dei produttori più rinomati. I pinoli arrivano dal parco di San Rossore, vicino Pisa, mentre il pecorino proviene da Mandas, in Sardegna. L’olio è prodotto dalle olive taggiasche della stessa azienda di Viani.
Ma il vero protagonista è il Parmigiano Reggiano di Malandrone, vicino Modena, famoso per le sue lunghe stagionature. «Abbiamo tre tipi di pesto, ognuno con un diverso Parmigiano. Quello da 15 anni di stagionatura è il nostro fiore all’occhiello ed è proprio quello che fa salire il prezzo a 1000 euro al chilo. Poi c’è il pesto con Parmigiano invecchiato 10 anni, che costa 250 euro al chilo, e infine quello con Parmigiano di vacche rosse, a circa 90-100 euro al chilo», spiega Viani.
Il mercato del lusso e l’arte di raccontare un prodotto
L’obiettivo di EPesto è chiaro: posizionarsi nella fascia più alta del mercato. «Vogliamo proporre il nostro pesto agli hotel di lusso e ai ristoranti d’alta gastronomia, luoghi in cui si sappia raccontare il prodotto. Non è solo un condimento, ma un’esperienza da vivere», dice Viani.
E per chi si chiede se un Parmigiano così stagionato possa compromettere il sapore delicato del pesto, Viani rassicura: «Non è vero. Il nostro pesto è cremosissimo e dolce, perfettamente equilibrato.»
Innovazione e tradizione
Oltre agli ingredienti, l’attenzione di Viani si concentra anche sugli strumenti utilizzati per la lavorazione. «Il basilico si pesta nella pietra, mentre i pinoli e il resto degli ingredienti si lavorano nel legno. Stiamo sviluppando diversi tipi di mortaio per evitare di rovinare la ricetta e renderla impeccabile», spiega. Una cura quasi ossessiva per ogni dettaglio, che trasforma EPesto in qualcosa di più di un semplice prodotto: un’opera d’arte gastronomica.
Il pesto da 1000 euro troverà il suo pubblico?
Se l’idea di un pesto a mille euro al chilo può sembrare folle, il mercato del lusso potrebbe rispondere diversamente. «Il nostro prodotto non è per tutti. È pensato per chi cerca il massimo della qualità e sa apprezzare ogni sfumatura del gusto», conclude Viani.
Insomma, EPesto non è solo una questione di sapore, ma di filosofia. E a giudicare dalle prime reazioni in Giappone, l’idea potrebbe davvero trovare spazio nelle tavole più esclusive del mondo.
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Cucina
Cassoeula, il piatto che profuma d’inverno: la leggenda, la storia e la ricetta del simbolo più verace della cucina lombarda
Nata tra la fame contadina e l’arte di non sprecare nulla, la cassoeula è il trionfo del maiale e delle verze dopo la prima gelata. Da secoli accompagna osterie e tavole familiari, unendo povertà e abbondanza nello stesso tegame. Ecco la sua storia — e la ricetta originale per rifarla a casa.

La cassoeula non è solo un piatto: è un profumo che torna ogni inverno, quando Milano si copre di nebbia e nelle case si riaccendono i fornelli. È la pietanza che unisce due simboli della cucina lombarda — il maiale e la verza — in un abbraccio grasso e saporito, figlio della povertà e del freddo.
La leggenda vuole che sia nata ai tempi della dominazione spagnola, quando un soldato innamorato insegnò a una cuoca brianzola come mescolare gli “scarti” del maiale con le verze appassite dal gelo. Un piatto povero, ma ricco di ingegno e di calore. Da lì la cassoeula — o cazzoeula, come la chiamano i milanesi doc — si diffuse tra cascine e osterie, fino a diventare la regina della tavola d’inverno.
La tradizione vuole che si cucini dopo la prima gelata, perché solo allora le verze perdono l’amaro e diventano dolci e tenere. Il resto lo fanno il tempo e la pazienza: la cassoeula non si improvvisa, si lascia sobbollire per ore, finché la carne non diventa morbida e la verza si impregna di tutto il suo sapore.
Ogni provincia lombarda ha la sua versione. A Milano regnano le costine e le cotenne; a Como e Varese si aggiungono piedini e testina; nel Pavese qualcuno osa con una spruzzata di vino rosso. Ma ovunque la si assaggi, resta un piatto che sa di famiglia, di fatica e di festa: il conforto che arriva a tavola quando fuori il termometro scende sotto zero.
RICETTA TRADIZIONALE DELLA CASSOEULA MILANESE
Ingredienti per 6 persone:
1 kg di verze (meglio se già gelate), 800 g tra costine, cotenne e piedini di maiale, 2 cipolle, 2 carote, 1 gambo di sedano, 1 bicchiere di vino bianco secco, 2 cucchiai di concentrato di pomodoro, brodo di carne, olio extravergine d’oliva, sale e pepe.
Preparazione:
Scottare in acqua bollente per pochi minuti le cotenne e i piedini, poi tagliarli a pezzi. In una casseruola capiente rosolare cipolla, sedano e carota tritati, aggiungere la carne e sfumare con il vino bianco. Unire il concentrato di pomodoro, coprire con il brodo e cuocere a fuoco lento per un’ora. Aggiungere le verze tagliate grossolanamente e continuare la cottura per almeno altre due ore, finché tutto non diventa morbido e profumato.
Servire bollente, con polenta gialla fumante e — come dicono in Lombardia — “un bicér de vin bon, per butarla giò”.
Cucina
Gnocchi di zucca, la dolce carezza d’autunno: il piatto che trasforma il freddo in comfort food
Dalla Mantova rinascimentale alle cucine moderne, la zucca è il simbolo della stagione che sa di legna e di foglie secche. Gli gnocchi, che uniscono dolcezza e morbidezza, si sposano con burro e salvia, ma anche con gorgonzola, amaretti o speck croccante. Ecco la ricetta tradizionale e qualche idea per reinventarla.

Tra le mille sfumature dell’autunno, c’è un profumo che basta da solo a riscaldare la casa: quello degli gnocchi di zucca appena scolati. Piatto povero e poetico, nasce dalle cucine contadine della pianura padana, dove la zucca — economica, dolce e facile da conservare — diventava la base perfetta per dare corpo a impasti teneri e rassicuranti.
I primi gnocchi di zucca compaiono nelle cucine mantovane e veronesi tra Seicento e Settecento, quando la zucca inizia a sostituire la patata in alcune preparazioni popolari. La ricetta si afferma come comfort food ante litteram: un piatto morbido, che riempie e consola.
Oggi gli gnocchi di zucca sono sinonimo di autunno, di tavolate domenicali, di profumi che sanno di burro e noce moscata. Si preparano in mille modi, ma la regola d’oro resta una: scegliere una zucca asciutta e compatta, come la Delica o la Mantovana, capace di regalare un impasto dolce ma non acquoso.
L’abbinamento classico è con burro fuso e salvia, un condimento che ne esalta la delicatezza. Ma chi ama i contrasti può spingersi oltre: il gorgonzola dolce crea una crema vellutata e leggermente piccante; la granella di amaretti aggiunge un tocco di nostalgia lombarda; lo speck croccante regala una nota affumicata irresistibile. Per chi vuole osare, anche una fonduta leggera di parmigiano o un velo di crema di castagne possono diventare alleati perfetti.
RICETTA DEGLI GNOCCHI DI ZUCCA (PER 4 PERSONE)
Ingredienti:
700 g di zucca (meglio Delica), 150 g di farina, 1 uovo, 50 g di parmigiano grattugiato, sale, pepe, noce moscata.
Preparazione:
Tagliare la zucca a fette e cuocerla in forno a 180° per 30-40 minuti, finché non diventa tenera. Eliminarne la buccia e schiacciarne la polpa con una forchetta. Lasciare intiepidire, poi aggiungere l’uovo, il parmigiano, un pizzico di sale, pepe e noce moscata. Incorporare la farina poca alla volta, fino a ottenere un impasto morbido ma non appiccicoso.
Dividere l’impasto in filoncini, tagliarli a tocchetti e farli scivolare sui rebbi di una forchetta per dare la classica rigatura. Cuocerli in abbondante acqua salata e scolarli non appena salgono a galla.
Condimento classico: burro fuso e salvia, con una spolverata di parmigiano.
Varianti: gorgonzola e noci, crema di taleggio e speck croccante, o semplicemente un filo d’olio e amaretti sbriciolati per chi ama la dolcezza più rustica.
Un piatto che sa di casa, di calma e di tempo lento — come un tramonto d’ottobre nel piatto.
Cucina
Gnocchi di castagne alla crema di latte e salvia: il sapore d’autunno che scalda il cuore
Con la farina di castagne come protagonista, gli gnocchi diventano un piatto autunnale dal gusto morbido e vellutato. A completarli, una crema di latte e salvia che esalta la loro delicatezza senza coprirne la personalità.

L’autunno è la stagione perfetta per riscoprire la cucina del bosco, fatta di profumi intensi, consistenze avvolgenti e ingredienti che raccontano il legame con la terra. Tra le specialità più amate di questo periodo ci sono gli gnocchi di castagne alla crema di latte e salvia, un piatto che unisce semplicità contadina e gusto raffinato, capace di conquistare anche i palati più esigenti.
La ricetta affonda le sue radici nelle zone appenniniche e alpine, dove le castagne erano un tempo la base dell’alimentazione quotidiana. Oggi tornano protagoniste in chiave gourmet, trasformandosi in gnocchi leggeri e profumati, perfetti per un pranzo della domenica o una cena speciale.
Gli ingredienti della tradizione
Per preparare gli gnocchi di castagne servono pochi elementi, ma di qualità:
- 200 g di farina di castagne, che dona dolcezza e colore;
- 150 g di farina di tipo 00, per dare struttura all’impasto;
- 2 uova, che aiutano a legare il composto;
- 200 g di patate lesse, che conferiscono morbidezza;
- un pizzico di sale e, se piace, un tocco di noce moscata.
Per la crema di latte e salvia, bastano:
- 200 ml di latte intero,
- 100 ml di panna fresca,
- una noce di burro,
- 5-6 foglie di salvia fresca,
- sale e pepe bianco quanto basta.
La chiave del successo è nella qualità delle castagne: scegliete una farina fine, dolce e priva di retrogusti amari, possibilmente artigianale o macinata a pietra.
La preparazione passo dopo passo
- Lessate le patate, poi schiacciatele ancora calde. In una ciotola capiente unite le due farine, il sale, le uova e le patate.
- Impastate fino a ottenere un composto morbido ma compatto. Se risulta troppo asciutto, aggiungete un filo d’acqua o latte.
- Formate dei filoncini e tagliate gli gnocchi, poi passateli sul retro di una forchetta o sull’apposita tavoletta rigagnocchi.
- Lasciateli riposare per circa 15 minuti su un canovaccio infarinato.
Nel frattempo, preparate la crema di latte e salvia:
- Fate sciogliere il burro in un pentolino con le foglie di salvia.
- Unite il latte e la panna, poi scaldate a fuoco dolce per 5-6 minuti, mescolando finché la salsa non inizia a velare il cucchiaio.
- Eliminate la salvia e regolate di sale e pepe.
Cuocete gli gnocchi in abbondante acqua salata: saranno pronti quando saliranno in superficie. Scolateli con delicatezza e saltateli brevemente nella crema di latte e salvia.
Il segreto dello chef
Per dare un tocco in più, si può aggiungere una spolverata di parmigiano stagionato o di pecorino toscano, che contrasta piacevolmente la dolcezza della castagna. Alcuni chef arricchiscono la salsa con una punta di miele di castagno o nocciole tostate tritate per un effetto gourmet.
Chi ama i sapori più decisi può provare una variante con speck croccante o guanciale, che aggiungono sapidità e profumo affumicato.
Benefici e curiosità
La farina di castagne è naturalmente senza glutine, ricca di fibre, sali minerali e vitamine del gruppo B. Ha un basso contenuto di grassi e un alto potere energetico, perfetta per affrontare i primi freddi. La salvia, invece, è nota per le sue proprietà digestive e antinfiammatorie, mentre il latte e la panna donano cremosità e comfort al piatto.
Un connubio che rappresenta alla perfezione la filosofia dell’autunno: dolcezza, equilibrio e calore.
Un piatto che racconta il territorio
Gli gnocchi di castagne alla crema di latte e salvia sono una dichiarazione d’amore per la cucina italiana delle stagioni. Ogni boccone ricorda le domeniche nelle case di montagna, il profumo del camino e la lentezza dei gesti.
Un piatto che si può personalizzare ma che, nella sua semplicità, conserva tutta la poesia della cucina di una volta — quella che nutre non solo il corpo, ma anche l’anima.
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