Cucina
Valerio Braschi: Il “Mad Scientist” della cucina sbarca in Piazza Duomo
Il più giovane vincitore di MasterChef Italia, apre il suo ristorante The View in Piazza Duomo a Milano. Con piatti eccentrici e sperimentazioni culinarie ardite (compreso un cioccolatino all’aglio, olio e peperoncino), promette di sorprendere i palati più curiosi. Ma tra critiche sui prezzi e lodi per la sua creatività, Braschi ha le idee chiare: “Milano merita gratitudine”.

Classe 1997, romagnolo doc, cresciuto tra le tagliatelle della nonna, Valerio Braschi si distingue per la sua creatività senza freni. E, come in ogni storia di successo, la sua passione per la cucina nasce in modo piuttosto rocambolesco.
Esperienze pericolose
“Avevo quattro anni, mi sono messo a leccare un frullatore a immersione dopo che mia madre aveva fatto la crema pasticcera. Involontariamente ho schiacciato il pulsante e… beh, diciamo che ho scoperto subito cosa significa il dolore!”, racconta ridendo. Ma non si è mai fermato: a sedici anni, dopo un intervento alla schiena, passava il tempo tra una dose di antidolorifici e le prime sperimentazioni culinarie. “Volevo preparare una zuppa thailandese complicatissima. Appena passava l’effetto dei farmaci, tornavo in cucina. Lì ho capito che la mia strada era questa”.
L’avventura milanese con The View
Dopo la vittoria a MasterChef nel 2017 e varie esperienze, tra cui il ristorante Vibe a Milano e “1978” a Roma, Braschi realizza il sogno: un ristorante tutto suo in Piazza Duomo. “Qui ho trovato chi crede davvero in me”, dice con entusiasmo. La terrazza con vista sulla cattedrale è già un successo, ma Braschi vuole che il suo ristorante non sia solo un luogo “instagrammabile”. “Spero che la gente venga per i miei piatti, non solo per il panorama”. E, a giudicare dal menu, di motivi per provarli ce ne sono tanti.
Il cioccolatino che proprio non ti aspetti
Se c’è una cosa che distingue Braschi, è la voglia di sperimentare. E chi pensava che la piccola pasticceria fosse un territorio già esplorato, si sbagliava. “La piccola pasticceria classica mi ha stufato. Voglio fare qualcosa di unico”, spiega. Il risultato? Un cioccolatino all’aglio, olio e peperoncino e un altro ripieno di genovese. “Ci vuole un mese per mettere a punto un cioccolatino. So che sembro folle, ma amo questo lavoro”.
Prezzi e Polemiche: “Gli Ingredienti di qualità costano”
Milano non è una città facile per i ristoratori, e Braschi lo sa bene. Già al “Vibe” era stato criticato per la carta delle acque minerali, ma lui non si scompone. “Erano acque di pregio, non una trovata commerciale”. Ora rilancia con un’altra idea: “Farò una carta degli oli extravergine. E sto introducendo il carrello dei formaggi, che adoro”. Ma la questione prezzi resta un punto caldo. “La mia cucina è fatta di materia eccelsa. Se vuoi un pomodoro da 20 euro al chilo, devi metterlo in conto”.
Carne e scelte etiche
Tra i piatti iconici di Braschi c’è la cotoletta alla milanese, rivisitata con doppia panatura e un biscotto di fondo di vitello liofilizzato. “La cotoletta è intoccabile, volevo darle un tocco senza snaturarla”. Quanto alla carne, segue il principio del “less meat, better meat”. “Non smetterò mai di cucinarla, ma deve essere di qualità. Uso il maiale Grigione del Montefeltro, che costa 50 euro al chilo, ma ti fa sognare”.
“Non sputo nel piatto in cui ho mangiato”
A differenza di alcuni colleghi che criticano Milano per i costi elevati e le difficoltà del settore, Braschi la vede diversamente: “Milano merita gratitudine. Dà tantissime opportunità, soprattutto nel food”. E dopo Milano? “Sogno Londra. Ma prima voglio mettere radici qui. Alzo lo sguardo, vedo il Duomo, e mi sento un privilegiato”. Con questa determinazione e un pizzico di follia creativa, Braschi ha tutte le carte in regola per lasciare il segno sulla scena gastronomica italiana.
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Cucina
Marmellata o confettura, la dolcezza è regolare!
Nel regno dei sapori, due regine regnano supreme: la marmellata e la confettura. Entrambe a base di frutta e zucchero, conquistano il palato con la loro dolcezza, ma nascondono segreti e peculiarità che le rendono ben distinte.

Nel regno dei sapori, due regine regnano supreme: la marmellata e la confettura. Entrambe a base di frutta e zucchero, conquistano il palato con la loro dolcezza, ma nascondono segreti e peculiarità che le rendono ben distinte.
La marmellata, come suggerisce il nome, affonda le sue radici nella tradizione portoghese, dove “marmelo” significa “mela cotogna”. Nasce proprio dalla lavorazione di questo frutto, anticamente molto diffuso in Portogallo.
La confettura, invece, vanta origini più nobili. Il termine deriva dal latino “conficere”, che significa “confezionare”, e richiama l’arte di conservare la frutta, un tempo preziosa risorsa alimentare.



Nell’ordine: marmellata di bergamotto, mandarino e limone*
Frutta, la sola protagonista
Nel regno della marmellata, sono sovrane le scorze di agrumi, come arance, limoni e cedri. La loro buccia spessa e ricca di pectina, un gelificante naturale, conferisce alla marmellata la sua tipica consistenza densa e spalmabile.
Nel regno della confettura, invece, il trono spetta a qualsiasi tipo di frutta, tranne gli agrumi. Tra le regine più amate troviamo fragole, ciliegie, albicocche, pesche e fichi. La loro polpa morbida viene lavorata in modo da ottenere una consistenza più variabile, da vellutata a granulosa, a seconda del frutto utilizzato.



Nell’ordine: confettura di ciliegie, pesche e fragole
Zucchero, un tributo equilibrato
In entrambi i casi, lo zucchero gioca un ruolo fondamentale. La sua quantità minima per legge è del 35% per la confettura e del 20% per la marmellata negli agrumi.
Tuttavia, la vera differenza sta nel modo di aggiungerlo. Nella marmellata, lo zucchero viene unito alle scorze di agrumi prima della cottura, favorendo la loro macerazione e l’estrazione di pectina. Nella confettura, invece, lo zucchero viene aggiunto alla frutta già cotta, permettendo di regolarne la dolcezza in base ai gusti personali.
Un’etichetta a norma per ognuna
Per tutelare la qualità e le caratteristiche di queste due delizie, esistono delle regole ben precise. La Direttiva Europea 82/711 definisce marmellata e confettura, stabilendo i requisiti minimi di frutta e zucchero. In Italia, inoltre, il Decreto Ministeriale 20 agosto 1992 disciplina ulteriormente la produzione, specificando le denominazioni e le caratteristiche di marmellate e confetture extra, con un contenuto di frutta più elevato.
Incoronare la vincitrice è solo una questione di gusti
Marmellata e confettura, due regine con caratteristiche e sapori unici. La scelta tra l’una e l’altra dipende dai gusti personali. Per gli amanti dei sapori decisi e delle consistenze dense, la marmellata agli agrumi è quella giusta!
Per chi, invece, preferisce la dolcezza delicata e le consistenze variabili, la confettura di frutta è quella giusta.
Indipendentemente dalla vostra scelta, ricorda che la marmellata e confettura sono entrambe delizie irrinunciabili che arricchiscono la nostra tavola con gusto e tradizione.
Cucina
Salvate il bucatino Ryan: ma che ne sanno gli americani dell’Amatriciana…
Un piatto iconico della cucina di casa nostra, che in America hanno riscritto e pubblicato sul Washington Post inserendo negli ingredienti «cipolla, basilico e aglio»: orrore! Ecco la ricetta originale, non scherziamo…

Se c’è una cosa che ad un italiano vero non devi toccare… è la pasta! Un argomento in grado di far scatenare più dibattiti della politica o del calcio. Soprattutto quando si parla di uno dei sughi più rappresentativi della nostra tavola: la ricetta dell’amatriciana! Se. La testata USA Washington Post, probabilmente carica di buone intenzioni (ma di scarsa conoscenza in materia) ha pubblicato la ricetta del piatto simbolo di Amatrice, fra evidenti svarioni che gridano vendetta agli Dei! Tra cipolla, aglio e basilico i gastronomi di casa nostra sono rimasti letteralmente senza parole.
Una voce fra le tante, quella di Paolo Cacciani, del noto ristorante di Frascati coinvolto nella vicenda da quotidiano americano, per non fare ulteriore chiasso ha dimostrato di prendere la cosa con filosofia. Ecco le sue parole: «Avranno capito male». Di sicuro, da nord a sud, gli italiani difensori del patrimonio culinario, sono pronti a combattere col coltello tra i denti – anzi, con la forchetta – per la ricetta originale, unica ed immodificabile: guanciale, pecorino e pomodori. Il tutto, rigorosamente, senza aglio, cipolla o prezzemolo.
L’identità di un Paese passa anche dai fornelli
La questione è più seria di quello che si può pensare. Non si tratta solo di ingredienti… ma di vero e proprio patrimonio culturale. La ricetta corretta è stata addirittura depositata al Comune di Amatrice. Il consiglio agli amici a stelle e strisce è che, la prossima volta che volete cimentarvi in una pasta all’amatriciana, lasciate stare aglio e cipolla… e calate i bucatini quando l’acqua bolle!
Attenzione a non macchiarsi
E’ una questione di valori identitari quella in gioco: nella ricetta corretta dell’amatriciana non ci sono nè la cipolla né tantomeno meno l’aglio. Nonostante siano ingredienti molto gettonati nei primi piatti italiani degustabili all’estero. Il formato della pasta? I sibilanti bucatini, magari un po’ scomodi da mangiarsi ma che prendono così bene il sugo… al punto da rappresentare un pericolo per camicie e magliette dei commensali!
Quello che vi occorre per preparare la ricetta originale
Ma quali sono quindi gli ingredienti corretti per preparare un’amatriciana, rispettando rigorosamente la tradizione italiana? Tutto quello che ci occorre è la pasta, il sale, il guanciale – da non confondere con la pancetta, attenzione – il pomodoro e il pecorino.
Fate così
Si tratta di pochi passaggi, ma da rispettare alla lettera per una buona riuscita del piatto. Dopo aver messo a scaldare la pentola dell’acqua per la pasta, la prima osa da fare è rosolare il guanciale. In una padella a fuoco lento per 7-8 minuti, deve risultare, croccante, liberando il grasso che risulterà fondamentale per la mantecatura della pasta scelta. Una volta che il grasso risulterà sciolto, sfumate col vino bianco, alzate la fiamma e fatelo evaporare (anche se, a dire il vero, non tutte le versioni della ricetta inseriscono questo passaggio).
Il guanciale deve rimanere croccante
Per non perdere la croccantezza acquisita del guanciale, le listarelle andranno trasferite in un altro piatto: torneranno utili nella fase finale della preparazione. Nella stessa padella col fondo di cottura del guanciale riponete il peperoncino privo di semi e i pomodori pelati sfilacciati grossolanamente. Il tempo di cottura a fiamma moderata è di circa 10 minuti. Una volta pronto è il momento di eliminare il peperoncino dal sugo, amalgamando la pasta versando gli spaghetti nella padella col sugo e il guanciale. Il tocco finale sarà rappresentato da una bella spolverata di pecorino romano. In questo modo la tradizione sarà salva e basterà affondare la forchetta in questo miracolo di gusto!
Cucina
Minestrone alla genovese: un piatto della tradizione, ricco di sapori e storia
Il minestrone alla genovese è molto più di una zuppa di verdure: è un pezzo di storia gastronomica italiana. Scopriamo insieme la sua ricetta tradizionale, le varianti regionali e i benefici nutrizionali di questo piatto antico.

Il minestrone alla genovese è uno dei piatti più antichi della tradizione ligure, strettamente legato alla cucina povera contadina. Le sue origini risalgono a un tempo in cui la cucina mediterranea si basava principalmente sui prodotti dell’orto e su quello che la terra offriva di stagione. Il minestrone, in questo contesto, era un piatto preparato con le verdure fresche disponibili, arricchito a Genova con un elemento fondamentale della cultura locale: il pesto.
L’utilizzo del pesto, a base di basilico, pinoli, aglio, parmigiano e olio extravergine d’oliva, è il tratto distintivo che rende unico il minestrone alla genovese rispetto alle altre versioni italiane di questo piatto. Nella Genova del passato, il minestrone rappresentava un piatto completo e nutriente, capace di saziare e riscaldare durante le lunghe giornate lavorative.
La ricetta tradizionale del minestrone alla genovese
La preparazione del minestrone alla genovese richiede l’uso di verdure fresche, rigorosamente di stagione, e il tempo necessario per farle cuocere a lungo, permettendo ai sapori di fondersi perfettamente. Ecco gli ingredienti base per preparare questo piatto secondo la tradizione.
Ingredienti:
- 200 g di fagioli borlotti freschi (o secchi, ammollati per una notte)
- 2 patate
- 2 zucchine
- 1 cipolla
- 1 carota
- 1 gambo di sedano
- 200 g di cavolo verza
- 1 pomodoro maturo
- 100 g di bietole
- 100 g di piselli freschi
- 100 g di fagiolini
- 1 mazzetto di basilico fresco
- 50 g di pesto genovese
- 100 g di pasta corta (tipo ditalini o maltagliati)
- Sale, pepe, olio extravergine d’oliva
Preparazione:
- Lavare e tagliare tutte le verdure a piccoli pezzi.
- In una grande pentola, soffriggere la cipolla tritata con un filo d’olio extravergine d’oliva.
- Aggiungere tutte le verdure tagliate, i fagioli, i piselli e il pomodoro. Coprire con acqua e portare a ebollizione.
- Cuocere a fuoco lento per circa un’ora e mezza, finché tutte le verdure sono morbide.
- A questo punto, aggiungere la pasta e cuocerla direttamente nella zuppa.
- Poco prima di spegnere il fuoco, unire il pesto e mescolare bene, lasciando che il suo aroma si diffonda nel minestrone.
- Aggiustare di sale e pepe e servire caldo con un filo di olio extravergine d’oliva a crudo.
Le varianti del minestrone alla genovese
Ogni famiglia ligure ha la propria versione del minestrone alla genovese, variando leggermente gli ingredienti a seconda della stagione o delle tradizioni locali. Spesso, per esempio, viene aggiunto del riso al posto della pasta, o addirittura niente amido, lasciando il minestrone come una zuppa pura di verdure.
In alcune versioni, si trovano anche piccole aggiunte di pancetta o lardo per dare più sapore, anche se la versione tradizionale è completamente vegetariana. Il pesto, poi, può essere aggiunto alla fine, oppure servito a parte per permettere ai commensali di dosarlo a piacimento.
Proprietà nutrizionali
Il minestrone alla genovese è un piatto nutriente e bilanciato, perfetto per chi segue una dieta sana e ricca di fibre. Le verdure, protagoniste assolute di questa zuppa, apportano una quantità elevata di vitamine, minerali e antiossidanti, utili per il benessere del nostro organismo.
Le proteine vegetali provengono dai legumi come fagioli e piselli, mentre il pesto fornisce grassi “buoni” derivanti dall’olio extravergine d’oliva e dai pinoli. L’aggiunta della pasta o del riso fornisce l’energia necessaria sotto forma di carboidrati complessi. È inoltre un piatto ricco di fibre, ideale per favorire la digestione e mantenere un senso di sazietà prolungato.
Il minestrone alla genovese è molto più di una semplice zuppa: è un concentrato di sapori e storia, che porta in tavola il meglio della tradizione ligure. Un piatto che continua a raccontare la sua lunga storia, con ogni cucchiaio che assaporiamo.
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