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Cronaca

Castellitto: «Ho amato Francesco. Mi ha colpito la sua sofferenza»

L’attore interpreta il cardinale Tedesco in “Conclave”, il thriller vaticano tratto dal romanzo di Robert Harris. Una riflessione sul potere, la Chiesa e l’eredità di Bergoglio
«Il film è diventato attualissimo dopo la morte del Papa. E quando l’ho incontrato, ho visto un uomo che soffriva, ma non voleva mostrarlo. Mi sono commosso»

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    Mentre la Chiesa si prepara a scegliere il nuovo pontefice, Conclave torna in televisione con una risonanza nuova e inattesa. Il film diretto da Edward Berger, tratto dal romanzo di Robert Harris, ha conquistato critica e pubblico: otto nomination agli Oscar, un Golden Globe per il cast, e un ritorno potente dopo la morte di Papa Francesco. Nel cuore della storia, Sergio Castellitto interpreta il cardinale Tedesco, figura di rottura all’interno dello schieramento conservatore. Un ruolo che lo ha messo faccia a faccia con le contraddizioni e le fragilità del potere ecclesiastico.

    «Mi ha colpito la reazione del pubblico – racconta –. Dopo la scomparsa di Francesco, il film ha avuto una seconda vita. Forse perché apre una porta su un mondo chiuso, segreto, dove si muovono uomini, non santi». Uomini con idee, spiritualità, ma anche ambizioni e debolezze. «Il film mostra tutto questo. E avvicina quelle figure al pubblico».

    Il cardinale Tedesco che Castellitto interpreta è un personaggio duro, privo di filtri, insofferente alla diplomazia vaticana. «Tedesco dice la verità, non fa calcoli. Quando denuncia l’ipocrisia, dice ciò che molti pensano. È un conservatore, sì, ma rompe il cerchio dell’omertà». In una scena, contesta apertamente l’apertura della Chiesa all’islam. «È una delle fratture vere del cattolicesimo oggi. C’è chi vuole il dialogo, e chi teme di perdere identità».

    Secondo Castellitto, il film rispecchia in modo fedele le dinamiche reali del conclave. «La Chiesa è sempre in conclave, anche quando sembra fuori. E quella divisione tra conservatori e progressisti esiste eccome. Ma non è una massa compatta: sono tante gocce. Persone anziane, alla fine di un percorso, che fanno i conti con la vita».

    Cattolico praticante? «Sono un cristiano peccatore». Romano per nascita e formazione, Castellitto rivendica un legame particolare con la Chiesa: «Chi vive a Roma capisce quanto sia potente la sua presenza. Ho abitato per vent’anni a 500 metri da San Pietro».

    Racconta un aneddoto dal set: «Quando lessi il copione, dissi al regista che al Vaticano si parla italiano o latino, non inglese. Così alcune scene le girammo in italiano. Persino Ralph Fiennes accettò. È stato un bel segnale».

    Poi parla di Papa Francesco, con un’ammirazione schietta ma non cieca. «Mi piaceva molto. Non amavo il suo lato social, ma ho amato l’uomo. Diceva cose forti: sull’aborto, sull’immigrazione, sull’omosessualità. Ha cantato le verità a tutti. Ma era sempre fuori dalla politica: era un Papa, non un’opinionista».

    Lo ha incontrato. E quell’immagine non l’ha più dimenticata. «Dopo il colloquio ci salutò, poi si incamminò nel corridoio. Zoppicava. Quando pensava di non essere visto, si appoggiò al muro, stremato. Non voleva farci vedere quanto soffrisse. Ecco, quella fragilità, quella umanità, mi hanno commosso davvero».

    Mentre la Chiesa si prepara a scegliere il nuovo pontefice, Conclave torna in televisione con una risonanza nuova e inattesa. Il film diretto da Edward Berger, tratto dal romanzo di Robert Harris, ha conquistato critica e pubblico: otto nomination agli Oscar, un Golden Globe per il cast, e un ritorno potente dopo la morte di Papa Francesco. Nel cuore della storia, Sergio Castellitto interpreta il cardinale Tedesco, figura di rottura all’interno dello schieramento conservatore. Un ruolo che lo ha messo faccia a faccia con le contraddizioni e le fragilità del potere ecclesiastico.

    «Mi ha colpito la reazione del pubblico – racconta –. Dopo la scomparsa di Francesco, il film ha avuto una seconda vita. Forse perché apre una porta su un mondo chiuso, segreto, dove si muovono uomini, non santi». Uomini con idee, spiritualità, ma anche ambizioni e debolezze. «Il film mostra tutto questo. E avvicina quelle figure al pubblico».

    Il cardinale Tedesco che Castellitto interpreta è un personaggio duro, privo di filtri, insofferente alla diplomazia vaticana. «Tedesco dice la verità, non fa calcoli. Quando denuncia l’ipocrisia, dice ciò che molti pensano. È un conservatore, sì, ma rompe il cerchio dell’omertà». In una scena, contesta apertamente l’apertura della Chiesa all’islam. «È una delle fratture vere del cattolicesimo oggi. C’è chi vuole il dialogo, e chi teme di perdere identità».

    Secondo Castellitto, il film rispecchia in modo fedele le dinamiche reali del conclave. «La Chiesa è sempre in conclave, anche quando sembra fuori. E quella divisione tra conservatori e progressisti esiste eccome. Ma non è una massa compatta: sono tante gocce. Persone anziane, alla fine di un percorso, che fanno i conti con la vita».

    Cattolico praticante? «Sono un cristiano peccatore». Romano per nascita e formazione, Castellitto rivendica un legame particolare con la Chiesa: «Chi vive a Roma capisce quanto sia potente la sua presenza. Ho abitato per vent’anni a 500 metri da San Pietro».

    Racconta un aneddoto dal set: «Quando lessi il copione, dissi al regista che al Vaticano si parla italiano o latino, non inglese. Così alcune scene le girammo in italiano. Persino Ralph Fiennes accettò. È stato un bel segnale».

    Poi parla di Papa Francesco, con un’ammirazione schietta ma non cieca. «Mi piaceva molto. Non amavo il suo lato social, ma ho amato l’uomo. Diceva cose forti: sull’aborto, sull’immigrazione, sull’omosessualità. Ha cantato le verità a tutti. Ma era sempre fuori dalla politica: era un Papa, non un’opinionista».

    Lo ha incontrato. E quell’immagine non l’ha più dimenticata. «Dopo il colloquio ci salutò, poi si incamminò nel corridoio. Zoppicava. Quando pensava di non essere visto, si appoggiò al muro, stremato. Non voleva farci vedere quanto soffrisse. Ecco, quella fragilità, quella umanità, mi hanno commosso davvero».

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      Italia

      Italia nella morsa del caldo africano: temperature fino a 41°C e rischio temporali al Nord

      Tra oggi e il 30 giugno l’anticiclone subtropicale domina la scena: afa intensa, notti tropicali e instabilità pomeridiana sulle Alpi.

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        L’ultima settimana di giugno si apre con l’Italia stretta nella morsa dell’anticiclone africano, che sta portando una delle ondate di calore più intense della stagione. Le temperature sono in costante aumento, con punte previste fino a 41°C sul Tavoliere delle Puglie e nell’entroterra sardo, mentre le minime notturne restano ostinatamente sopra i 20°C, regalando notti tropicali in molte città. Giovedì 26 giugno il tempo sarà in prevalenza stabile e soleggiato su gran parte del Paese, ma al Nord si farà sentire una certa variabilità: già dal mattino sono attesi rovesci sulle Alpi occidentali, in estensione nel pomeriggio ai rilievi lombardi e altoatesini, con possibili sconfinamenti verso le pianure piemontesi e venete. Non si escludono locali grandinate, soprattutto tra Alto Adige e Cadore. Al Centro e al Sud il sole sarà protagonista, con cieli sereni e temperature in ulteriore rialzo.

        Per domani il caldo africano aumenta

        Venerdì 27 giugno l’alta pressione si rafforza ulteriormente, garantendo condizioni di stabilità quasi ovunque. Solo l’Alto Adige potrebbe vedere qualche isolato temporale pomeridiano. Il caldo si farà ancora più opprimente, con valori massimi tra i 36 e i 39°C nelle zone interne del Centro-Sud e delle isole maggiori. L’afa sarà particolarmente intensa nelle ore serali, soprattutto nei grandi centri urbani. Sabato e domenica il copione non cambia: sole dominante, qualche nube di calore sulle Alpi e sull’Appennino settentrionale, ma senza fenomeni significativi. Le temperature resteranno elevate, con lievi flessioni solo all’estremo Sud. Secondo le proiezioni a medio termine, questa fase di caldo africano intenso potrebbe proseguire anche nei primi giorni di luglio, con l’anticiclone subtropicale ancora ben saldo sul Mediterraneo.

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          Cronaca

          Tel Aviv sospende temporaneamente gli aiuti umanitari a Gaza

          Israele sospende temporaneamente gli aiuti umanitari a Gaza su richiesta di Bezalel Smotrich, mentre Netanyahu incarica l’IDF di garantire che i materiali non finiscano nelle mani di Hamas.

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            Israele ha fermato, per il momento in via temporane, tutti gli aiuti umanitari in favore di Gaza per evitare che finiscano nelle mani di Hamas, dopo la pressione del ministro di ultradestra Bezalel Smotrich. Il governo è al lavoro per stilare un piano militare per garantire la sicurezza delle consegne, con controlli più stringenti, monitoraggi e possibili interventi mirati lungo i valichi di accesso a Gaza. Una decisione che arriva in un clima dalla tensione crescente tra il governo israeliano e i gruppi di controllo nella Striscia di Gaza.

            Hamas non deve entrare in possesso degli aiuti

            L’annuncio ufficiale della sospensione degli aiuti a Gaza è stato reso noto da fonti interne a Channel 12 e riportato dal Times of Israel. L’azione segue la minaccia di dimissioni avanzata da Bezalel Smotrich, ministro di ultradestra nel governo israeliano. Smotrich ha posto come condizione irrinunciabile l’adozione di misure che blocchino il passaggio degli aiuti umanitari nelle mani di Hamas. Una posizione che ha costretto il governo a sospendere per il momento le consegne, per evitare che i materiali finiscano ai militari palestinesi.

            Le direttive per l’IDF

            Benyamin Netanyahu, attraverso il suo ufficio, ha comunicato tempestivamente la sua reazione a questa complessa situazione, incaricando l’esercito israeliano, l’IDF, di predisporre un piano entro 48 ore. L’obiettivo che si vuole ottenere è quello di creare una strategia operativa per evitare che Hamas sottragga gli aiuti umanitari in direzione di Gaza. Netanyahu ha inoltre evidenziato la necessità di assicurare che gli aiuti arrivino realmente alle persone bisognose, senza permettere alle organizzazioni responsabili di attacchi o ostilità di trarne vantaggio.

            La gestione degli aiuti

            La Striscia di Gaza dipende in larga parte dagli aiuti umanitari che entrano attraverso i corridoi controllati da Israele e da altri attori internazionali. La presenza di Hamas rende complicato il trasferimento sicuro e trasparente di cibo, materiali di prima necessità e medicine. Il governo di Israele ha sempre manifestato l’intenzione di aiutare i civili, ma il rischio di riciclaggio delle risorse da parte di gruppi armati ha alimentato la diffidenza. Questa sospensione delle forniture è il segno di una difficoltà precisa nel bilanciare esigenze umanitarie e obiettivi di sicurezza.

            Pressione via via in aumento

            Gli operatori umanitari segnalano come questa situazione provochi un ulteriore aggravio della crisi per il popolo, già allo stremo per le condizioni economiche e sociali nella Striscia. Una decisione che, naturalmente, si ripercuote anche nelle relazioni internazionali intorno al conflitto israelo-palestinese. Svariate organizzazioni umanitarie hanno ribadito l’assoluta necessità di mantenere attivi i canali di soccorso. Nel frattempo, la posizione del governo israeliano, influenzata dalle spinte interne più radicali, contribuisce ad aumentare la pressione diplomatico-politica nel Medio Oriente, segnali inequivocabili di un irrigidimento delle posizioni e di aumento della tensione generale.

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              Italia

              Stop al Senato per il terzo mandato: l’emendamento della Lega bocciato per la quinta volta

              L’emendamento proposto dalla Lega per consentire un terzo mandato ai governatori regionali è stato nuovamente respinto in Commissione Affari Costituzionali del Senato. Con solo 5 voti favorevoli e 15 contrari, l’iniziativa sostenuta da Roberto Calderoli non supera l’esame parlamentare. La questione divide la maggioranza e solleva interrogativi sulla riforma del regionalismo italiano.

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                La Commissione Affari Costituzionali del Senato ha bocciato per la quinta volta l’emendamento della Lega sul terzo mandato per i governatori regionali. Il voto si è concluso con 5 favorevoli (Lega, Italia Viva e Autonomie) e 15 contrari, a cui si aggiungono le astensioni dei senatori di Fratelli d’Italia Alberto Balboni e Domenico Matera.

                Calderoli attapirato

                Il ministro per gli Affari regionali Roberto Calderoli ha espresso delusione per l’esito della votazione, sottolineando come l’emendamento sia stato presentato più volte senza successo, ribadendo la convinzione che la possibilità di un terzo mandato sia “giusta, sia per le Regioni a statuto speciale che per quelle ordinarie”.

                La posizione dei partiti: frizioni nella maggioranza

                La bocciatura dell’emendamento ha rivelato tensioni interne alla maggioranza di centrodestra. Calderoli ha criticato apertamente Forza Italia, definendo il loro atteggiamento un “muro” incomprensibile, mentre ha mostrato apertura verso Fratelli d’Italia, che pur astenendosi ha dimostrato secondo il ministro una certa “disponibilità al dialogo”. Il voto, quindi, non solo segna una battuta d’arresto per la Lega, ma evidenzia anche le divergenze strategiche tra le forze della coalizione di governo.

                Un dibattito che dura da anni

                La questione del terzo mandato per i governatori è da tempo oggetto di discussione politica. Attualmente, la legge prevede un limite di due mandati consecutivi per i presidenti di Regione. L’obiettivo dell’emendamento era modificare questa norma, estendendo la possibilità di rielezione anche oltre i due mandati consecutivi. Secondo i sostenitori della riforma, permettere un terzo mandato garantirebbe continuità amministrativa e valorizzazione del consenso elettorale. I contrari, invece, temono derive personalistiche e una riduzione del ricambio democratico.

                Implicazioni future e prospettive

                La nuova bocciatura non chiude il dibattito. Calderoli ha già annunciato l’intenzione di riproporre l’emendamento, segnale che la Lega non intende arretrare sulla questione. Tuttavia, senza un accordo più ampio tra le forze di maggioranza, è difficile immaginare un esito diverso. Nel frattempo, il tema del regionalismo differenziato e della governance locale rimane centrale nel confronto politico, soprattutto in vista delle prossime elezioni regionali, dove il limite ai mandati sarà ancora una volta decisivo per molte candidature.

                Il Parlamento coi piedi di piombo

                La bocciatura dell’emendamento sul terzo mandato rappresenta un punto fermo nel confronto istituzionale tra riformismo e conservazione dei limiti attuali. La Lega punta alla riforma, ma il Parlamento si mostra cauto. Intanto, le Regioni e i loro cittadini osservano da vicino, in attesa di capire quale sarà il futuro della leadership territoriale in Italia.

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