Politica
La “santa” si veste da trumpiana: Santanchè difende il tycoon e punge Marina Berlusconi
Marina Berlusconi aveva parlato di “preoccupazione” per l’impatto del tycoon sull’ordine mondiale. Santanchè risponde piccata: “Non si giudica un alleato. Trump? Esagera, ma è una strategia”. Un messaggio indiretto anche a Giorgia Meloni, che sul rapporto con il repubblicano punta tutto.

Una frizione tutta interna al centrodestra, giocata sul terreno più internazionale che ci sia: Donald Trump. Da una parte Marina Berlusconi, preoccupata e scettica sul ritorno del tycoon; dall’altra Daniela Santanchè, che invece corre a difenderlo a spada tratta, vestendo i panni – neanche troppo metaforici – della trumpiana di ferro.
“Non mi sembra giusto intervenire a gamba tesa con giudizi sul presidente degli Stati Uniti”, ha dichiarato la ministra del Turismo. “Sono un nostro alleato con il quale, a prescindere da chi è al potere, dovremo avere rapporti assolutamente buoni”. Parole che suonano come una risposta diretta alla presidente di Mondadori e Fininvest, che appena ieri aveva criticato duramente il ritorno di Trump alla Casa Bianca, parlando di “certezze del dopoguerra messe in crisi” e di un colpo “durissimo alla credibilità dell’America e dell’Occidente”.
La replica della Santanchè, per molti, non è solo una difesa d’ufficio degli equilibri atlantici, ma anche un messaggio politico: al centrodestra, certo, ma anche a Giorgia Meloni, che coltiva da mesi la sua “special relationship” con il leader repubblicano, convinta che possa rappresentare un’opportunità di rilancio per i rapporti Italia-USA.
“La comunicazione di Trump? A volte spara grosso – ha aggiunto la ministra – ma forse è una sua tecnica. Vedremo con il tempo i risultati”. Un modo per legittimare l’ex presidente e, al tempo stesso, mandare un segnale chiaro: in casa FdI c’è spazio per una linea filoamericana, purché sia realista e pragmatica.
Marina Berlusconi, che ha appena ricevuto l’onorificenza di Cavaliere del lavoro, sembra invece parlare più con l’anima moderata dell’elettorato che con il cuore del partito. Il suo allarme sulla tenuta dell’ordine mondiale trova eco in ambienti economici e diplomatici, ma meno tra chi – come Santanchè – considera strategico mantenere rapporti solidi con Washington, indipendentemente da chi ci abita.
La battaglia sul tycoon è solo all’inizio. E nel centrodestra, a ogni “America first”, corrisponde ormai una risposta molto italiana.
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Politica
Beppe Grillo nell’anno più buio: fuori dal Movimento, senza rendita e piegato dalla condanna del figlio Ciro
Tra blog visionari, riferimenti al Conte di Montecristo e un silenzio che pesa più di mille parole, Grillo appare ferito ma non sconfitto. I suoi fedelissimi scommettono su un ritorno, ma nessuno sa in quale veste: padre, guastatore o tribuno.

Un anno da cancellare, ma impossibile da dimenticare. Per Beppe Grillo gli ultimi mesi si sono trasformati in una spirale che lo ha trascinato verso il basso, combinando due ferite che mai avrebbe pensato di dover affrontare nello stesso tempo: l’addio forzato al Movimento 5 Stelle, la sua creatura politica, e la condanna in primo grado a otto anni per stupro di gruppo inflitta al figlio Ciro.
Chi lo incontra oggi lo descrive come un uomo «più silenzioso del solito, cupo, quasi piegato». Non il Grillo che urlava dai palchi, ma un padre ferito e un fondatore esautorato. «Si rialzerà, ma non sarà domani. Gli servirà tempo», dice chi gli è vicino.
Il colpo politico è stato frontale. La cancellazione del ruolo di garante, decisa dall’Assemblea costituente del Movimento a novembre, ha sancito il suo esilio interno. Grillo aveva provato a opporsi, chiedendo persino una ripetizione del voto, ma nulla è cambiato: il M5S lo ha di fatto archiviato. Il comico ha reagito con sarcasmo, citando The Truman Show: «Casomai non vi rivedessi, buon pomeriggio, buonasera e buonanotte». Una battuta amara, che ha il sapore di un addio.
In parallelo è arrivata la mazzata economica: niente più contratti da 300mila euro all’anno come consulente, niente più rendita garantita. Persino lo scudo legale che lo proteggeva nei processi è finito in discussione. Un colpo al portafogli e al prestigio, che lo ha trasformato da fondatore carismatico a ex ingombrante.
Ma la ferita personale brucia ancora di più. La sentenza sul figlio Ciro lo ha colpito nel profondo. Convinto da sempre della sua innocenza, Grillo si è trovato di fronte a un verdetto che ha ridisegnato gli equilibri familiari e pubblici. «È stato il colpo più duro della sua vita», racconta chi conosce bene la famiglia. «Non solo per l’amore di un padre, ma perché ha visto crollare ogni certezza».
Sul suo blog ha cercato rifugio in metafore e allegorie. In un post intitolato «Chiamatemi Sinbad» ha scritto: «Naufraghiamo, perdiamo tutto, rischiamo di annegare, ma ci aggrappiamo a un legno e sopravviviamo». Un’immagine che racconta più di mille parole: Grillo si sente in mezzo al mare, senza terra all’orizzonte, ma ancora deciso a non affondare. E per chi conosce i suoi riferimenti culturali, Sinbad è anche lo pseudonimo del Conte di Montecristo. Non a caso molti leggono in quel richiamo la tentazione di una vendetta, di un ritorno improvviso e fragoroso.
L’idea che il “comico” sia finito, però, convince pochi. «Grillo è un animale da palco», spiega un suo vecchio compagno di viaggio. «Non sa vivere senza i riflettori. Magari non tornerà con un partito, ma troverà un modo per rimettersi al centro». C’è chi immagina un nuovo movimento, chi uno spettacolo dirompente, chi un blog ancora più incendiario.
Intanto resta il silenzio. Non più urla, non più vaffa, solo poche righe cariche di simboli. Un silenzio che pesa, che lascia sospesi amici e nemici. Persino Conte, oggi leader del Movimento, preferisce non commentare oltre misura: sa che il fantasma del fondatore aleggia ancora.
Un anno che sembrava dover celebrare i suoi meriti di visionario e che invece lo ha consegnato al ruolo di “ex”. Eppure la storia di Grillo insegna che non si arrende mai davvero. Dalla comicità alla politica, dalle piazze ai processi, ha sempre trovato il modo di sorprendere.
L’unica certezza è che questo silenzio non durerà per sempre. Il Grillo guerriero tornerà. Ma nessuno sa se lo farà come tribuno del popolo, come padre in cerca di riscatto o come guastatore deciso a regolare i conti con chi lo ha messo all’angolo.
Politica
Onorevoli morosi: i parlamentari che non pagano le quote e fanno piangere le casse dei partiti (ma non mollano la poltrona)
Sono eletti, ma non pagano. Siedono in Aula, ma latitano alla cassa. In tutti i partiti abbondano i morosi delle quote, quelli che dovrebbero versare contributi e invece fanno gli gnorri. Mentre i tesorieri impazziscono e i bilanci piangono, spunta la minaccia dell’incandidabilità. Ma qualcuno pensa davvero che funzionerà?

Pagano le bollette, forse. Versano il mutuo, magari. Ma quando si tratta di pagare le quote al partito, gli onorevoli si eclissano come fossero a un vertice Nato… ma senza invito. Benvenuti nel meraviglioso mondo degli “onorevoli morosi”: categoria trasversale, bipartisan, e sorprendentemente creativa nel trovare scuse per evitare di saldare i conti con il proprio partito.
Il caso più emblematico è quello del Movimento 5 Stelle, che ha scoperto di avere un buco di 2,8 milioni di euro in quote non versate da parlamentari e consiglieri regionali. E per non farsi mancare nulla, ci sono altri 1,4 milioni mai restituiti in indennità di fine mandato. A quel punto il tesoriere Claudio Cominardi ha detto basta: “O paghi o resti fuori dai giochi”. Tradotto: niente più candidature né incarichi per chi fa lo gnorri alla cassa.
Il risultato? Il partito ha chiuso comunque il bilancio 2024 con un avanzo di oltre due milioni. Magia? No, solo una buona gestione e qualche recupero forzato. Altro che “uno vale uno”: qui vale chi versa.
Ma non pensiate che i grillini siano un’eccezione. Il vizietto del “non pago, tanto chi se ne accorge” colpisce un po’ ovunque. Nel Partito democratico, il buco da morosità è di 441 mila euro, anche se in leggero calo rispetto all’anno scorso grazie ad azioni legali. Insomma: se non vuoi versare spontaneamente, ti citano. Con affetto, si intende. E nonostante tutto, al Nazareno si brinda: avanzo da 650 mila euro, anche grazie al 2×1000 (oltre 10 milioni). Unico problema? L’affitto: 502 mila euro per la sede. Perché sì, la politica costa. Soprattutto se vuoi farla con il parquet.
Il partito con il miglior comportamento? Sinistra italiana, che vede lievitare i contributi da 204 a 281 mila euro in un anno. Unico caso virtuoso. Forse perché, senza grandi mecenati, lì le quote sono come il pane: o le hai, o resti a digiuno.
E il centrodestra? Beh… Fratelli d’Italia, che lascia i versamenti alla volontà degli eletti, ha perso 1,2 milioni. La Lega ne ha lasciati sul campo 700 mila. Risultato: entrambi in rosso, e con i bilanci da rianimare. Tanto che anche loro stanno meditando il modello 5 Stelle: “paghi o fuori”.
In casa Forza Italia, invece, le cose vanno (relativamente) meglio. Il buco c’è – 307 mila euro di disavanzo – ma a tappare le falle ci hanno pensato 128 imprenditori con un cuore grande come una donazione: oltre 1,5 milioni versati. Altro che fundraising: questo è il Superenalotto.
E intanto, mentre i tesorieri fanno i conti con Excel e tachipirina, i parlamentari si dividono in tre categorie:
– quelli che pagano senza fiatare,
– quelli che rimandano “alla prossima settimana” da sei mesi,
– e quelli che proprio spariscono, rispondendo alle PEC con gif di gattini.
L’idea dell’incandidabilità per chi non versa? Bellissima. Ma un po’ come il gelato in spiaggia: parte bene, poi si squaglia.
Perché diciamolo: in politica tutti promettono, ma alla cassa arrivano in pochi. Soprattutto se devono mettere mano al portafogli e non al microfono.
Politica
Matteo Salvini compra casa a Roma: nuovo appartamento mentre cresce l’attesa per le nozze con Francesca
La coppia, insieme dal 2019, convive già a Roma ma continua a smentire nozze imminenti. Intanto Francesca, 32 anni, produttrice cinematografica e social media manager, resta la presenza più costante nella vita del ministro. Salvini, dopo la rottura con Elisa Isoardi, ha trovato stabilità e complicità al suo fianco.

Un appartamento nuovo, in una delle zone più prestigiose di Roma, a pochi passi dalla Farnesina. Matteo Salvini ha scelto di investire nella Capitale, segno che la sua vita privata e politica continua a gravitare intorno alla città. Con lui, come sempre, c’è Francesca Verdini, la compagna che dal 2019 è al suo fianco e che molti vedono già in abito bianco, nonostante le continue smentite del ministro su un matrimonio imminente.
Francesca Verdini, nata a Firenze il 27 luglio 1992, è la figlia dell’ex parlamentare Denis Verdini e di Simonetta Fossombroni. Cresciuta soprattutto con il padre, ha due fratelli più grandi, Tommaso e Diletta. A 18 anni si è trasferita a Roma per studiare alla Luiss, dove si è laureata in Economia e Direzione di Imprese. Proprio il giorno della laurea aveva dedicato parole sentite ai genitori, agli amici e a Matteo: «Sono stati i fari, i remi e la nave nel mio maremoto».
Il sogno di Francesca è sempre stato il cinema: nel 2017 ha fondato la società di produzione La Casa Rossa, di cui detiene il 95%. Parallelamente lavora a Mediaset come social media manager di Forum, continuando a muoversi tra televisione e cinema.
L’incontro con Salvini, allora vicepremier nel governo gialloverde, è avvenuto poco dopo la rottura del leader leghista con Elisa Isoardi. Da quel momento la relazione è diventata stabile: Francesca ha costruito un rapporto sereno anche con i figli del compagno e la coppia è apparsa spesso insieme in pubblico, senza mai nascondersi.
Il nuovo appartamento romano si aggiunge alle tappe di un percorso di coppia che ha resistito agli scandali politici e familiari. Il fratello di Francesca, Tommaso, è stato coinvolto nell’inchiesta Anas e ha patteggiato due anni per le vicende legate alle commesse pubbliche, ma lei ha sempre preferito restare lontana dalle polemiche. Oggi la figlia di Denis Verdini è la presenza discreta e costante accanto al ministro, tra un impegno politico e un set cinematografico. Le nozze, per ora, restano un’ipotesi. Ma l’acquisto della nuova casa conferma che la coppia guarda avanti.
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