Cronaca
Quella volta che… I 15 segreti (spesso folli) della storia dei papi
Dalla tiara venduta in beneficenza al Papa astronomo accusato di magia, passando per papi prigionieri, dimissionari, assassinati e… resuscitati nei processi: la storia del papato è piena di colpi di scena

Altro che fumata bianca e benedizioni: la storia dei papi è un romanzo infinito, costellato di episodi incredibili, talvolta grotteschi, altre volte epici, spesso semplicemente assurdi. Tra papi rifiutati, imposti, deposti, riesumati, contadini diventati pontefici grazie a una colomba e pirati finiti sul soglio di Pietro, la realtà supera sempre la liturgia.
Nel 1414 ce n’erano addirittura tre: Gregorio XII a Roma, Benedetto XIII ad Avignone e Giovanni XXIII (non Roncalli, ma l’antipapa), con tanto di concilio e guerra diplomatica. Tra loro, uno finì in fuga travestito, uno fu scomunicato, uno costretto a farsi da parte.
C’è stato un Papa eletto tre volte: Benedetto IX, protagonista di pontificati lampo, compravendite del trono e una scomunica da manuale. E un altro, Adriano II, che rifiutò due volte l’elezione prima di cedere alla terza.
Napoleone fece prigioniero Papa Pio VII per cinque anni. Celestino V, invece, si dimise dopo soli tre mesi (per Dante, un vigliacco). Più recente, ma altrettanto storica, la rinuncia di Benedetto XVI.
Alcuni papi morirono in modo poco edificante: Giovanni VIII fu avvelenato e finito a bastonate; Giovanni XII, forse, ucciso da un marito geloso; Celestino V, pare, assassinato in cella.
E poi c’è l’incredibile “Sinodo del Cadavere”: papa Formoso, morto e sepolto, fu riesumato e processato per eresia da Stefano VI. Vestito da Papa, venne condannato, mutilato e gettato nel Tevere. Altro che perdono cristiano.
La tiara? Abbandonata da Paolo VI e venduta per beneficenza. Il primo Papa ad aver usato il suo nome di battesimo fu Lando. Il primo astronomo fu Silvestro II, accusato di magia perché usava numeri arabi.
Giulio II fu chiamato “il Papa guerriero” e fu anche uno dei più grandi mecenati. Mentre Papa Fabiano fu eletto perché una colomba si posò sulla sua testa.
E se pensate che un Papa non possa essere figlio di un altro Papa, vi sbagliate: Ormisda lo fu. E suo figlio Silverio seguì le sue orme. Santi entrambi.
La storia dei pontefici non è solo fede e preghiera: è potere, sangue, superstizione, umanità, calcolo e, ogni tanto, miracoli. Ma soprattutto, è una saga dove tutto può accadere. Anche oggi.
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Italia
Cara Lucarelli, fare giornalismo non è come giudicare coppie che sgambettano sulla pista da ballo
Che Selvaggia Lucarelli non fosse famosa per la moderazione lo sapevamo già. Ma stavolta la penna (o meglio, la tastiera) le è costata cara. Il Tribunale di Torino ha condannato la giornalista a risarcire 65mila euro a Claudio Foti, lo psicoterapeuta finito — e poi uscito — nel tritacarne mediatico del caso Bibbiano. A questi si aggiungono altri 15mila euro di multa. Totale? Un bel gruzzolo per cinque articoli scritti tra il 2019 e il 2020 sul Fatto Quotidiano, giudicati non solo poco eleganti, ma apertamente diffamatori.

Quando l’opinione diventa offesa: è arrivato il verdetto sul caso Bibbiano. Secondo i giudici torinesi, la Lucarelli avrebbe superato i limiti del diritto di critica giornalistica, trasformando l’approfondimento in uno show personale. E chi conosce il suo stile sa che i confini tra ironia pungente e stile da tribunale popolare spesso si fanno sfocati. In particolare, il tribunale ha sottolineato che le sue parole sarebbero state «volutamente costruite per screditare» Foti, associandolo persino a vicende tragiche come il suicidio di una bidella. Altro che inchiesta giornalistica: per il giudice c’era “pervicace volontà diffamatoria”.
Un boomerang mediatico per Selvaggia
C’è qualcosa di ironico — se non profetico — nel fatto che Lucarelli, spesso paladina del tribunale social, si ritrovi condannata in quello reale. Per anni ha inchiodato persone a colpi di post, articoli e tweet, sempre col ditino alzato e il tono da arcigna insegnante del liceo stufa della classe. Ma stavolta la giustizia le ha spiegato che anche i giornalisti devono fermarsi un passo prima della gogna.
Foti assolto: una lezione di giornalismo etico
Claudio Foti, ricordiamolo, è stato definitivamente assolto dalla Corte di Cassazione nell’aprile 2023. Nessuna responsabilità, nessun reato. Eppure, durante l’inchiesta, ha dovuto fronteggiare un assalto mediatico feroce. Lucarelli, secondo il tribunale, avrebbe alimentato quella narrazione, trasformando un’indagine in uno spettacolo. Ed ecco che la realtà le presenta ora il conto, con interessi e spese legali.
Libertà di stampa o libertà di… spettacolarizzare?
Il caso Lucarelli-Foti riapre un tema cruciale: dove finisce la critica e dove inizia la diffamazione? Quando il giornalismo si fa show, chi ci rimette è sempre la verità. Scrivere non è un atto di onnipotenza, il diritto di cronaca va esercitato con precisione chirurgica, non con la mazza da demolizione. Il tribunale ha tracciato una linea netta: la dignità delle persone non può diventare carne da social.
Fare il giornalismo non è come giudicare coppie che sgambettano sulla pista da ballo
Forse ora Selvaggia capirà che non tutto può essere trattato come un post su Facebook o un giudizio a Ballando con le Stelle. Il giornalismo richiede rispetto, rigore e, ogni tanto, anche un pizzico di umiltà. E soprattutto: se vuoi fare la giudice, assicurati che non ci sia un giudice vero pronto a giudicarti a tua volta. Che la Lucarelli non fosse famosa per la moderazione lo sapevamo. Ma stavolta la penna (o meglio, la tastiera) le è costata cara. Il Tribunale di Torino l’ha condannata a risarcire 65mila euro a Claudio Foti, lo psicoterapeuta finito — e poi uscito — nel tritacarne mediatico del caso Bibbiano. A questi si aggiungono altri 15mila euro di multa. Totale? Un bel gruzzolo per cinque articoli scritti tra il 2019 e il 2020 sul Fatto Quotidiano, giudicati non solo poco eleganti, ma apertamente diffamatori. Chi di titolo clickbait colpisce…
Storie vere
Abbiamo lasciato tutto e ci siamo trasferiti in Thailandia
La storia di una coppia olandese che ora gestisce un resort sulla spiaggia. Una scelta di vita coraggiosa tra sfide e soddisfazioni che coinvolge anche molti italiani.

La Thailandia non era una destinazione sconosciuta per Johan e Sabine Bogaerts. Più volte avevano trascorso lì vacanze indimenticabili, ma la decisione di cambiare radicalmente vita è arrivata durante la pandemia. Stanchi della routine quotidiana in Olanda, fatta di impegni serrati e poco tempo per la famiglia, i coniugi hanno scelto di licenziarsi, vendere casa e trasferirsi con i loro due figli nell’isola di Koh Lanta.
I motivi del trasferimento? Dallo stress quotidiano ai costi
“La vita scorre molto velocemente e volevamo fare qualcos’altro prima che fosse troppo tardi, sia fisicamente che mentalmente“, ha raccontato Sabine, ex chef di 51 anni. Anche Johan, ex ingegnere di 54 anni, condivideva il desiderio di un’esistenza più gratificante e meno frenetica. La spinta decisiva è arrivata grazie ad alcuni annunci su Facebook che presentavano immobili in affitto in Thailandia. La coppia ha trovato una proprietà a soli 60 metri dalla spiaggia di Klong Khong, una popolare destinazione turistica, e ha deciso di affittarla per 20 anni, restaurandola e trasformandola in un resort.
L’investimento complessivo è stato di circa 200mila euro, in gran parte finanziato dalla vendita della loro casa in Olanda. Sebbene la vita in Thailandia sia più economica, la coppia ha affrontato diverse sfide, come adattarsi a una nuova cultura, gestire la stagionalità del turismo e affrontare le difficoltà legate alla burocrazia locale. La gestione del resort segue il ritmo delle stagioni turistiche.L’alta stagione va da dicembre a marzo, quando il clima è più favorevole e le tariffe delle camere aumentano sensibilmente. Durante la bassa stagione, una stanza può costare circa 1.100 baht thailandesi (circa 30 euro). Mentre nei mesi di punta il prezzo sale fino a 2.600 baht (poco più di 70 euro). “Ora abbiamo una vita più lenta e decisamente più appagante”, concludono.
Perchè la Thailandia piace così tanto anche agli italiani?
L’Italia e la Thailandia sono separate fisicamente da oltre 11mila chilometri e svariate ore di volo; culturalmente da mentalità molto diverse. Tutto questo, però, non è sufficiente a renderle incompatibili. Anzi. Il Paese è una meta ambita per i suoi paesaggi e per il suo popolo, ma in parte perché il costo della vita inferiore a quello della maggior parte dei Paesi occidentali. Dall’affitto al trasporto quotidiano, passando per l’intrattenimento e le spese mediche, in Thailandia la spesa media è minore rispetto a quella di qualsiasi città occidentale, che sia Roma, Milano, Londra o Parigi.
Ma come si fa a trasferirsi in Thailandia?
Per prima cosa bisogna avere spirito di adattamento, tanta voglia di cambiare e una predisposizione alla spiritualità, al rispetto e alla gentilezza. Ma al di là del bagaglio emotivo bisogna decidere la meta. Dopotutto si tratta di una terra vastissima, che si estende per oltre 513 chilometri quadrati di superficie. Praticamente il doppio dell’Italia, e conta quasi 70 milioni di abitanti, quindi meglio restringere il campo. Chi sceglie Bangkok troverà moderni grattacieli e centri commerciali a fianco di mercatini tradizionali, palafitte traballanti sul Chao Phraya e templi antichi. Un contrasto affascinante, e proprio per questo è una città che offre tutto quello che si può desiderare, dai ristoranti gourmet con tre stelle Michelin ai locali tipici. Dai negozi di abbigliamento occidentali alle boutique thailandesi. Dal bar di quartiere al lounge bar con discoteca sulla terrazza di un grattacielo dalla vista mozzafiato.
Phuket e la sua strepitosa natura
La città è dotata di un aeroporto internazionale molto ben collegato con tutto il mondo, che permette di raggiungerla, anche dall’Italia, senza necessariamente dover fare scalo a Bangkok. La natura è strepitosa e ci sono chilometri e chilometri di spiagge bianche che si tuffano in un mare cristallino. Non esiste inquinamento perché nei paraggi non ci sono né industrie, né fabbriche, ma l’assenza di attività non significa mancanza di servizi o beni di prima necessità. Nell’area di Phuket vivono foreste vergini e luoghi in cui la vita scorre come cento anni fa, perché gli autoctoni hanno ancora quel sorriso e quella gentilezza dimenticate. Ma si può trovare di tutto. Dal corso di golf ai pezzi di ricambio per l’ultimo modello di estrattore a freddo per fare i succhi, oltre che un parrucchiere e una palestra!
La meta dei nomadi digitali
Un altro posto dove molti nomadi digitali hanno deciso di trasferirsi negli ultimi anni è Chiang Mai, una città tra le montagne della Thailandia settentrionale. Ha un clima più fresco di Phuket. Se siete amanti dei monti e meno del mare (a Chiang Mai è del tutto assente!) questo è sicuramente il posto più adatto a voi. Un tempo era una tranquilla cittadina religiosa, ma oggi è abbastanza grande e sviluppata per offrire diversi servizi e opportunità. La vita è più rilassata e lenta che a Bangkok. Grazie alla sua posizione permette un facile accesso a numerose avventure all’aria aperta. Per esempio? L’escursionismo su quella che è la montagna più alta della Thailandia (il Doi Inthanon, 2.565 metri), il rafting per i torrenti o l’arrampicata su roccia.
Il mare più amato dagli stranieri di tuto il mondo
Dopo Phuket, Hua Hin è il secondo paradiso thailandese sul mare più amato dagli stranieri. Situata a circa tre ore di auto da Bangkok, affacciata sul golfo del Siam, è stata una delle prime mete balneari, se non la prima, dei thai più abbienti degli anni Venti del secolo scorso. Per questo è ricca di resort e ville, e un’atmosfera molto positiva circonda le sue spiagge meravigliose, forse meno incontaminate di quelle di Phuket.
Cronaca
Caso Weinstein, nuove accuse scioccanti: emergono i nomi vip di Gwyneth Paltrow e Penélope Cruz
Harvey Weinstein torna al centro dell’attenzione mediatica con nuove, gravi accuse. La testimonianza di Kaja Sokola riporta alla luce un incubo iniziato a soli 16 anni, coinvolgendo anche i nomi di celebri attrici come Gwyneth Paltrow e Penélope Cruz. Un processo destinato a riaprire vecchie ferite di Hollywood.

Il produttore cinematografico torna al centro dell’attenzione mediatica con nuove, gravi accuse. La testimonianza di Kaja Sokola riporta alla luce un incubo iniziato a soli 16 anni, coinvolgendo anche i nomi di celebri attrici come Gwyneth Paltrow e Penélope Cruz. Un processo destinato a riaprire vecchie ferite di Hollywood.
Nuove accuse: il racconto che sconvolge Hollywood
Il produttore cinematografico caduto in disgrazia, Harvey Weinstein, è di nuovo protagonista in aula per rispondere a nuove accuse di violenza sessuale. La testimone chiave è proprio la Sokola, ex modella e attrice polacca, che ha descritto in tribunale episodi agghiaccianti risalenti alla sua adolescenza. Durante l’udienza al Manhattan Supreme Court, Sokola ha rivelato che Weinstein avrebbe fatto pressione psicologica usando i nomi di Gwyneth Paltrow e Penélope Cruz per intimorirla e convincerla a cedere.
“Lui ha lanciato Gwyneth Paltrow e Penélope Cruz”: la manipolazione del potere
Secondo quanto riferito da Sokola, Weinstein avrebbe detto: “Devi ascoltarmi se vuoi fare carriera, ho lanciato loro”, riferendosi proprio alle due star hollywoodiane. Parole pesanti, pronunciate nel tentativo di sfruttare il suo potere per piegare una ragazza di appena 16 anni. Questo dettaglio ha sconvolto l’opinione pubblica e riaperto il dibattito sulla cultura tossica presente per anni nell’industria cinematografica
L’aggressione nel loft di SoHo
Sokola pensava di essere stata invitata a un incontro di lavoro. Ma una volta arrivata nel loft di Weinstein a SoHo, New York, la situazione si trasformò in un incubo. Il racconto è agghiacciante: le venne chiesto di spogliarsi, fu molestata e costretta a toccare il produttore, che poi eiaculò sul pavimento del bagno. Un abuso che la vittima definisce “il momento più spaventoso della mia vita”.
Un incubo durato anni: abusi ripetuti e silenzi imposti
L’aggressione non fu un episodio isolato. Nel 2004, Weinstein la molestò ancora in auto, palpeggiandole il seno. Ma è il racconto del 2006 quello che ha lasciato la sala del tribunale senza fiato: quando aveva 19 anni, l’ex produttore avrebbe praticato sesso orale forzato. Sokola ha spiegato di aver continuato a frequentarlo, sperando ancora in un’opportunità lavorativa, dimostrando quanto sia stato profondo il ricatto emotivo esercitato.
La difesa respinge tutto
Harvey Weinstein, oggi 73enne e su una sedia a rotelle, ha negato categoricamente ogni accusa tramite il suo avvocato Imran H. Ansari. La difesa contesta la veridicità dei fatti e la cronologia degli eventi, promettendo di presentare prove che smentirebbero le dichiarazioni di Sokola. Tuttavia, l’opinione pubblica resta colpita dalla crudezza della testimonianza e dalla gravità dei fatti emersi.
Un processo simbolo del cambiamento
Il nuovo processo a Weinstein non è solo una questione giudiziaria, ma anche simbolica: rappresenta un ulteriore passo verso la giustizia per molte vittime rimaste in silenzio troppo a lungo. La presenza di nomi celebri nel racconto di Sokola sottolinea quanto il sistema fosse (e in parte sia ancora) permeato da una cultura del potere abusato. Il verdetto finale è atteso nei prossimi mesi, ma il processo ha già scosso profondamente il mondo del cinema.
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