Connect with us

Italia

Vecchi, poveri, soli, ignoranti: l’Italia fotografata dall’Istat è un Paese allo stremo

Il Rapporto Istat 2025 restituisce un’immagine impietosa del Paese: sempre più anziani, sempre più soli, con famiglie frammentate e prospettive occupazionali concentrate nei settori meno innovativi. E le nuove generazioni crescono senza tutele e senza futuro.

Avatar photo

Pubblicato

il

    C’è un’Italia che non fa rumore. Non riempie le piazze, non lancia hashtag, non si sfoga nei talk show. Ma esiste, resiste e, lentamente, si consuma. È l’Italia che emerge dal Rapporto annuale Istat 2025: un Paese che invecchia senza ricambio, che si isola, che si impoverisce anche lavorando, che rinuncia alle cure per non finire in rosso. Una fotografia a tinte fosche, scattata con la precisione fredda dei numeri, che racconta di una nazione sempre più fragile.

    Quasi un quarto degli italiani a rischio povertà

    Nel 2024 il 23,1% della popolazione italiana è risultato a rischio povertà o esclusione sociale. Una percentuale che diventa un grido d’allarme se si osserva il Sud, dove il dato raggiunge il 39,8%. Parliamo di persone che vivono con meno del 60% del reddito mediano, che non possono permettersi una settimana di ferie, che rinunciano a spese mediche e persino a cambiare un mobile rotto.

    Il rischio aumenta tra i giovani: in quelle famiglie dove il principale percettore di reddito ha meno di 35 anni, il dato schizza al 30,5%. In netto aumento anche per i genitori soli (+2,9 punti rispetto al 2023) e per gli anziani che vivono da soli (+2,3 punti). Le famiglie numerose? Più figli, più povertà: il 30,5% per le coppie con almeno tre bambini.

    Sempre più vecchi, sempre più soli

    Nel 2025, un italiano su quattro ha più di 65 anni. Gli over 80 – 4,6 milioni – hanno superato i bambini sotto i 10 anni (4,3 milioni). Un sorpasso storico che racconta di un Paese che non fa più figli (370mila nascite nel 2024, 281mila in meno rispetto ai decessi) e che vede crescere solo la popolazione centenaria, arrivata a oltre 23.500 unità.

    Le famiglie sono sempre più piccole e frammentate: il 36,2% è composto da persone sole. Le unioni libere hanno superato 1,7 milioni, le famiglie ricostituite sono 840mila. La natalità? Crollata: se nel 1999 solo il 10% dei nati aveva genitori non coniugati, nel 2023 siamo al 42,4%.

    Sanità al collasso: uno su dieci rinuncia a curarsi

    Il dato più drammatico, però, arriva dalla sanità. Nel 2024, il 9,9% degli italiani ha rinunciato a visite o esami specialistici. Non perché non ne avesse bisogno, ma perché non può permetterseli o perché le liste d’attesa sono infinite. Nel 2023 la percentuale era al 7,5%. Prima della pandemia era al 6,3%. Una crescita costante e spaventosa. Eppure la spesa sanitaria pubblica è salita a 130,1 miliardi. Ma non basta: il sistema è al limite.

    Scuola e istruzione: restiamo i più ignoranti d’Europa

    L’istruzione, nel nostro Paese, resta una nota dolente. Solo il 65,5% degli italiani tra i 25 e i 64 anni ha almeno un diploma, contro l’83% di Germania e Francia. Oltre un terzo si ferma alla terza media. Il numero di laureati tra i 25-34enni è salito al 31,6%, ma siamo ancora ben lontani dall’obiettivo Ue del 45% al 2030.

    E l’abbandono scolastico resta alto: il 9,8% dei giovani tra i 18 e i 24 anni lascia la scuola senza diploma o qualifica. Tra i ragazzi di cittadinanza straniera il dato è tre volte quello degli italiani: 24,3% contro l’8,5%. Un abisso che si allarga di generazione in generazione.

    Lavoro: cresce l’occupazione, ma resta povera

    Nel 2024 l’occupazione è cresciuta dell’1,6%, ma soprattutto in settori a bassa produttività, come le costruzioni, la ristorazione, i servizi alla persona. Mentre il PIL per occupato è crollato del 5,8% dal 2000 a oggi (in Francia e Germania è cresciuto di oltre il 10%). Anche la produttività per ora lavorata è cresciuta di appena lo 0,7% in 24 anni. Troppo poco, troppo lentamente.

    Le cause? Imprese piccole, poco innovative, specializzate in settori che producono poco valore. Risultato: stipendi bassi, scarse tutele, zero mobilità sociale. E l’ascensore sociale continua a rimanere bloccato al piano terra.

    Il futuro è adesso (e non promette bene)

    Le previsioni per il 2025 non migliorano il quadro. La crescita rallenta (+0,4% secondo il FMI, +0,6% per Bankitalia), e le incertezze geopolitiche rendono tutto più fragile. Anche se l’indebitamento netto è sceso al 3,4% e il debito pubblico al 135,3% del PIL, il sistema resta vulnerabile. A cominciare dalla vita quotidiana delle persone.

    L’Istat ha fatto il suo dovere: ha messo nero su bianco una realtà che molti preferiscono ignorare. L’Italia è più vecchia, più povera, più ignorante, più sola. E il vero rischio è che smetta anche di indignarsi.

      SEGUICI SU INSTAGRAM
      INSTAGRAM.COM/LACITYMAG

      Italia

      Plasmon torna italiana dopo 50 anni: il biscotto dell’infanzia rientra a casa

      Il gruppo emiliano NewPrinces rileva lo storico marchio dai colossi americani di Kraft Heinz. Un ritorno al made in Italy che sa di rivincita industriale (e sentimentale)

      Avatar photo

      Pubblicato

      il

      Autore

        Dopo cinquant’anni trascorsi all’estero, Plasmon torna italiana. Lo storico marchio di biscotti per l’infanzia – icona dolce di generazioni di bambini e segreto inconfessabile per molti adulti – è stato acquistato dal gruppo emiliano NewPrinces (ex Newlat Food), che ha rilevato le attività italiane di Heinz per una cifra vicina ai 120 milioni di euro.

        A vendere è stato il colosso statunitense Kraft Heinz, che dal 1967 controllava Plasmon e che ora cede non solo il marchio madre, ma anche altri brand come Nipiol, BiAglut, Aproten e Dieterba, tutti specializzati nell’alimentazione infantile e dietetica. Il cuore produttivo dell’operazione è lo stabilimento di Latina, dove ogni anno vengono sfornati 1,8 miliardi di biscotti, omogeneizzati e pappe.

        Fondata nel 1902 a Milano dal medico Cesare Scotti, Plasmon è stata per decenni un punto fermo della tavola italiana, soprattutto durante il boom demografico del dopoguerra. Complice la pubblicità in Carosello e le scatole di latta diventate oggi oggetto vintage, il marchio ha conquistato una fiducia senza tempo.

        La vendita alla Heinz americana, avvenuta negli anni Sessanta, aveva segnato l’inizio di una lunga fase di internazionalizzazione, ma anche di distacco emotivo dal territorio. Ora, grazie a NewPrinces, il brand fa ritorno in mani italiane. Una mossa non solo industriale ma anche simbolica, che parla di filiere locali, know-how nazionale e voglia di riportare valore a casa.

        Lo stabilimento di Latina, considerato tra i più avanzati d’Europa nel settore, continuerà a produrre anche per il mercato britannico, almeno per un periodo transitorio. Ma il controllo, questa volta, torna sotto bandiera tricolore.

        NewPrinces – già attiva con brand storici come Polenghi e Delverde – punta così a rafforzare la propria posizione nel comparto baby food. In un mercato da 200 milioni di euro di fatturato e un margine operativo lordo di circa 17 milioni.

        Una buona notizia, per una volta. Che sa di latte caldo, biscotti e orgoglio nazionale.

          Continua a leggere

          Italia

          Dallo stupro di gruppo al profilo su OnlyFans: la nuova vita (e le nuove domande) di Asia Vitale

          La ragazza simbolo del caso Palermo si mostra oggi senza filtri su OnlyFans. Rivendica il controllo sul proprio corpo. Ma tra emancipazione e contraddizione, resta l’amaro dubbio: stiamo assistendo a una rinascita o a una nuova forma di esposizione?

          Avatar photo

          Pubblicato

          il

          Autore

            Due anni fa il suo nome è diventato simbolo. Asia Vitale, la ragazza di Palermo violentata da sette ragazzi in un cantiere abbandonato, oggi riappare sotto una luce diversa: quella di una webcam. Dopo la chiusura del suo profilo Instagram e il calo dei follower, ha aperto un nuovo canale su OnlyFans. Si chiama AsiaVitale3.0 e propone contenuti sessuali a pagamento. Tutto legale, tutto consenziente, tutto rivendicato.

            “Il corpo è mio”, dice. “Chi ha problemi con questo mestiere dovrebbe cambiare mentalità”. Eppure, la sua storia personale rende difficile ignorare la frattura tra passato e presente. Dopo aver subito un’aggressione brutale e aver vissuto anni in comunità per allontanarsi da una famiglia che lei stessa definisce “tossica”, oggi Asia monetizza la propria immagine, il proprio corpo, la propria sessualità.

            Non c’è giudizio, ma c’è stupore. Non si tratta di negare la libertà di scelta, ma di registrare una contraddizione che interroga chi osserva. Come si arriva, da una violenza così feroce, a scegliere di mettersi di nuovo sotto gli occhi di tutti, stavolta per guadagnare?

            “Ho rimosso le loro facce”, dice parlando dei suoi aggressori. “Cerco solo di andare avanti”. Racconta di un rapporto con il sesso profondamente cambiato, più consapevole, più adulto. Ma confessa anche un trauma più recente: un sequestro subito a Ballarò, da parte della madre di uno degli accusati, che voleva costringerla a ritirare la denuncia.

            Oggi lavora in un hotel a Courmayeur e prova a costruirsi una nuova vita. OnlyFans la aiuta a far quadrare i conti, ma non garantisce stabilità. I video vengono pagati, ma possono anche essere rivenduti illegalmente. Un’altra forma di sfruttamento, di cui Asia è perfettamente consapevole.

            Il suo è un racconto di sopravvivenza. Ma anche una domanda aperta: dopo tutto questo dolore, davvero la libertà passa ancora per l’esposizione del corpo?

              Continua a leggere

              Italia

              Bibbiano, processo demolito: il mostro non esisteva, ma intanto lo avevano già impiccato in piazza

              Doveva essere l’inchiesta del secolo, il complotto delle élite rosse che rubavano i bambini. Invece si è rivelato un gigantesco castello di carte: assoluzioni a pioggia, accuse smontate, reati prescritti. Ma niente paura: qualcuno, da qualche parte, urla ancora “Bibbiano!”.

              Avatar photo

              Pubblicato

              il

              Autore

                Il processo più discusso degli ultimi anni si è chiuso con un verdetto che ribalta tutto. Il caso Bibbiano, diventato simbolo di presunti affidi illeciti orchestrati da una rete tra servizi sociali e terapeuti, esce demolito dalla sentenza di primo grado. Dei 14 imputati, solo tre sono stati condannati. Tutti gli altri assolti, molti con formula piena. La “macchina degli orrori” raccontata per anni, tra allontanamenti forzati e abusi mai avvenuti, semplicemente non c’è.

                È quanto ha stabilito il tribunale collegiale di Reggio Emilia. Federica Anghinolfi, l’ex responsabile dei servizi sociali della Val d’Enza, su cui pendeva una richiesta di 15 anni di carcere, è stata condannata a 2 anni per falso ideologico, pena sospesa. Stessa sorte per il suo collaboratore Francesco Monopoli (un anno e otto mesi) e per la neuropsichiatra Flaviana Murru (cinque mesi). Niente più. Le accuse più gravi – come l’associazione per delinquere e la manipolazione dei minori – si sono sgretolate.

                Un colpo durissimo per l’accusa, che aveva ipotizzato un sistema radicato e cinico: terapeuti che costruivano falsi ricordi di abusi, relazioni manipolate per sottrarre bambini alle famiglie, affidi gestiti con logiche distorte. Le indagini erano state lunghe, oltre cento i capi di imputazione. Ma in aula quella narrazione non ha retto. I giudici hanno smontato punto per punto l’impianto accusatorio, parlando, in molte assoluzioni, di fatti “che non sussistono”.

                Il pm Valentina Salvi aveva costruito il caso insieme ai carabinieri, sostenendo che gli operatori dei servizi sociali della Val d’Enza falsificassero le relazioni sui minori per farli allontanare dalle famiglie. Ma il processo ha mostrato falle, forzature, testimonianze non sempre coerenti. E ha restituito una verità ben diversa da quella immaginata.

                Sul piano politico, il caso Bibbiano era diventato un campo di battaglia. Ma oggi, davanti a una sentenza che svuota il teorema accusatorio, resta una domanda scomoda: quanto ha pesato la spettacolarizzazione mediatica su una vicenda che, forse, non avrebbe mai dovuto essere un processo simbolico?

                  Continua a leggere
                  Advertisement

                  Ultime notizie

                  Lacitymag.it - Tutti i colori della cronaca | DIEMMECOM® Società Editoriale Srl P. IVA 01737800795 R.O.C. 4049 – Reg. Trib MI n.61 del 17.04.2024 | Direttore responsabile: Luca Arnaù