Personaggi e interviste
Barbara D’Urso si sfoga: «Dopo Mediaset sono spariti tutti. Non potevo restare in Italia, troppo dolore»
In un’intervista a 7, la conduttrice parla del silenzio di colleghi e amici dopo la sua uscita di scena e ricorda il dolore per la morte della madre: «Ho imparato ad attraversare il vuoto, ma il sorriso di mia madre è rimasto con me».

Barbara D’Urso ha deciso di raccontare tutto in attesa di partecipare a Ballando con le Stelle. A cuore aperto, senza filtri, come raramente aveva fatto prima. E ha ripercorso il periodo più buio della sua carriera e della sua vita privata. L’addio a Mediaset, avvenuto all’improvviso nell’estate del 2023, l’ha segnata più di quanto molti avessero immaginato.
«Fino al giorno prima ricevevo una media di duecento messaggi, li ho contati. Il giorno dopo dieci, spariti tutti», confessa Barbara, con quel tono a metà tra ironia e malinconia che le è familiare. Solo gli amici più stretti sono rimasti. Per il resto, un silenzio assordante. Una sparizione che brucia, come bruciano le ferite di chi si è speso a lungo per un mondo – quello della televisione – che non sempre sa restituire lo stesso calore.
Quando a luglio 2023 Mediaset decise di chiudere la sua era a Pomeriggio Cinque, affidando la conduzione a Myrta Merlino, sembrava quasi una decisione di routine nel frenetico giro di poltrone che caratterizza la tv. Ma per Barbara fu un terremoto. Nessun nuovo programma in cantiere, nessuna chiamata. Solo un vuoto che faceva troppo rumore per restare in Italia. «Dopo l’addio a Mediaset non potevo restare, troppo dolore», ammette. Così ha scelto la fuga, ma non verso le spiagge dorate o le località esotiche. «Altri sarebbero andati a Bali o a Honolulu. Io sono andata a Londra a studiare l’inglese. Mi sono presa in affitto un appartamento, mi sono iscritta a un college. Facevo lezione dalle otto del mattino alle cinque del pomeriggio», racconta. Un modo per sentirsi viva, per riempire quel vuoto che la tv italiana aveva lasciato.
La rinascita, però, Barbara l’ha costruita passo dopo passo. Tornata in Italia, ha ripreso a recitare in teatro, la sua prima passione. E ha fondato con un’amica una società che si occupa di organizzare eventi. «Ho imparato ad attraversare il dolore e a riempire il vuoto», spiega. Una frase che suona come un mantra e insieme una dichiarazione d’intenti.
Ma nell’intervista Barbara non si limita a parlare del suo presente. Va a fondo, scavando nella memoria. Racconta la perdita più grande della sua vita, quella della madre, morta quando lei aveva solo undici anni. «Appena nasce mio fratello, mamma rientra dalla clinica, si mette a letto e non si alza più: ha il morbo di Hodgkin», dice con un filo di voce. Quattro anni di speranze, di attese, di paure. «La prima cosa che chiedevo appena varcata la soglia di casa, nemmeno il tempo di poggiare la cartella, era: “Come sta mamma?”. Ero sicura che sarebbe guarita. Non era concepibile un mondo senza mamma». Quel sorriso che la madre conservava anche nella malattia è rimasto inciso in Barbara come un’eredità. «Quel sorriso oggi è il mio», dice, e per un attimo sembra che il tempo si fermi.
La sua è la storia di una donna che ha sempre saputo rialzarsi. Di una conduttrice capace di reinventarsi, ma che ha conosciuto anche il volto più duro della solitudine e della diffidenza. Oggi Barbara guarda avanti con un sorriso che è insieme un ricordo e un baluardo: «La vita ti mette alla prova, e quando accade, devi solo imparare a trovare un nuovo modo per sorridere».
Un racconto di resilienza, di nostalgia e di forza. E anche un monito, in un mondo dello spettacolo dove i riflettori possono spegnersi in un attimo. Ma Barbara D’Urso, di riflettori, ne ha visti tanti. E oggi, con una nuova consapevolezza, sembra pronta a illuminarli ancora.
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Personaggi e interviste
Stefano De Martino: «Voi, undici maschi tutti sudati sotto la stessa doccia… e sarei io il gay?»
Il ballerino ricorda gli insulti da ragazzo per la sua passione per la danza: «Andavo in sala con trenta ragazze, ma a me davano del gay. Non capivo la logica».

Sul palco del suo Meglio Stasera Summer Tour, Stefano De Martino ha deciso di raccontare con ironia uno dei capitoli più delicati della sua adolescenza: i pregiudizi affrontati quando scelse la danza invece del calcio.
«Il calcio non faceva per me, la danza sì» ha spiegato al pubblico. Ma ogni volta che arrivava a lezione con il borsone rosa su cui campeggiava la scritta “Arte Danza”, le reazioni non mancavano: battute, insulti, prese in giro. «Mi davano del gay, e con termini anche peggiori» ricorda.
Col tempo, però, ha imparato a rovesciare lo stigma con la stessa leggerezza che lo accompagna oggi in tv. «A sentire il mio avvocato, era meglio. Avrei risolto metà dei problemi» ha scherzato, strappando risate e applausi.
E poi il paradosso: «Non capivo la logica. Io tutti i pomeriggi in sala con trenta ragazze, e loro, i “maschi veri”, undici sotto la stessa doccia… sudati. E il gay sarei io?»
Un modo diretto e autoironico per ribadire quanto certi cliché su virilità e orientamento sessuale siano ancora oggi privi di senso.
Personaggi e interviste
Per Meghan Markle, un sold out che non corrisponde al successo dei suoi prodotti

Meghan ha fatto di nuovo centro. O forse no. Il secondo lancio del suo marchio As Ever è andato sold out nel giro di poche ore, nonostante lei stessa avesse garantito scorte abbondanti. Dai vasetti di marmellata di albicocche al miele ai fiori d’arancio, fino ai fiori commestibili, tutto è sparito dagli scaffali online. Ma se il pubblico ha comprato a occhi chiusi, le papille gustative degli esperti si sono già ampiamente ribellate.
Prezzi da principessa, sapori da… rivedere
Certo, l’estetica c’è: confezioni eleganti, nomi evocativi, e un’operazione social da manuale. Meghan esulta su Instagram, ringrazia i fan e annuncia con fierezza: “Sold out… di nuovo!”. Peccato che una celebre esperta americana, Donna Collins – conosciuta negli Stati Uniti come la “regina delle conserve” – abbia demolito con eleganza british il cuore della proposta: la marmellata alle albicocche. Secondo la Collins, è troppo liquida (nonostante la pectina, che dovrebbe solidificarla) e, peggio ancora, non è nemmeno biologica: le albicocche usate da Meghan sarebbero trattate con pesticidi. Non proprio l’ideale per un brand che si propone come chic e totalmente naturale.
Il mistero del “tutto esaurito”
Molti iniziano a farsi una domanda fastidiosa: il sold out è reale o è solo marketing? I più maliziosi sospettano che le quantità messe in vendita siano minime, utili più per far notizia che per soddisfare la domanda. Ma se c’è una cosa che Meghan ha imparato bene, è creare hype. E in questo, va detto, è imbattibile.
Dalla marmellata al vino: il gusto della duchessa si fa alcolico
Come se non bastassero confetture e tè, ora arriva anche il vino. Il primo luglio debutta un rosé dalla Napa Valley selezionato personalmente da Meghan e dai suoi esperti enologici. L’obiettivo? Accompagnare con stile i barbecue estivi americani. E ovviamente, sarà disponibile in quantità esclusiva solo sul sito As Ever.
“As Ever” o “As If”?
Insomma, il marchio lifestyle di Meghan Markle continua a far parlare di sé: mix perfetto tra storytelling emotivo e packaging da Instagram, ma ancora con qualche inciampo sul contenuto. Sarà pure tutto esaurito, ma i giudizi degli esperti iniziano a pesare. E no, non basta un vasetto da 12 euro con l’etichetta beige per convincere chi mastica marmellate da una vita.
Personaggi e interviste
Elio Finocchio è il “gay più bello d’Italia”: «Il mio cognome? Me lo tengo. Cambiarlo sarebbe stato una sconfitta»
Dipendente dell’Hard Rock Café, due volte volto delle campagne contro il bullismo, Finocchio spiega perché non ha mai pensato di rinunciare al cognome. «Mio padre mi propose di cambiarlo, ma significava non essere più parte della famiglia». E sulle app di incontri: «Tutto ridotto all’osso, come un fast food».

Una fascia, un cognome e una storia che si porta dietro da sempre. Elio Finocchio, 37 anni, romano, dipendente dell’Hard Rock Café, è stato incoronato “gay più bello d’Italia”. Un titolo che accoglie con orgoglio e ironia, consapevole che il suo nome – da sempre facile bersaglio di battute – è diventato parte integrante della sua identità. «È una cosa che nasce con me, me la porto da quando ero piccolo e mi ha fatto crescere immediatamente. Se non avessi reagito allora, oggi non sarei qui», racconta.






La vittoria ha riportato la corona nel Lazio dopo tredici anni. Per lui è soprattutto il simbolo di un percorso di resilienza iniziato quando il padre gli propose, a diciott’anni, di cambiare cognome per evitargli prese in giro. «Gli dissi: “Papà, io non toccherò mai il mio cognome, perché cambiarlo significherebbe non essere più parte della famiglia. Sarebbe stata una sconfitta”». Una scelta che, col tempo, si è trasformata in forza. «Quando qualcuno mi prende in giro oggi è come se mi dicesse: buongiorno, come stai».
La sua prima settimana da “reggente” l’ha definita «una tranvata». Catapultato in interviste, social e riflettori, Finocchio avverte già il peso della responsabilità. «Sento di essere portavoce di una comunità che è sempre nell’occhio del ciclone per i diritti. Ci sta, e si va avanti a testa alta».
Il suo impegno non è nuovo: nel 2007 prestò il volto alle campagne della Gay Help Line e di Diritti Ora, diventando simbolo contro bullismo e discriminazioni. Ma dietro la fascia c’è anche un uomo che sogna una famiglia. «In Italia non mi sento discriminato, ma neanche tutelato appieno. Non mi sento al sicuro: c’è ancora troppa disinformazione, ignoranza e bigottismo».
Sulle app di incontri è netto: «Rispetto chi le usa, ma si è perso l’approccio umano. È tutto ridotto all’osso, come un fast food: voglio questo, me lo prendo. Io preferisco la vita reale, ridere, scherzare, parlare. Lo schermo riduce l’umanità».
Il suo nome oggi corre sui social, tra sfottò e sostegno. Lui sorride, abituato da sempre a convivere con quell’ironia. «Me lo tengo – dice – perché la vera vittoria è non darla mai vinta a chi ti prende in giro».
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