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Cronaca Nera

La verità proibita di Garlasco: orge al santuario e sangue in villa

Tra i riflessi delle rogge e i segreti delle ville, la morte di Chiara Poggi e il mistero delle gemelle K continuano a bruciare nella memoria di un paese che ha sempre preferito la menzogna alla verità.

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    Garlasco, Lomellina. Era il 13 agosto 2007 quando la “ragazza dell’oratorio” venne trovata senza vita nella villetta di via Pascoli: un colpo alla nuca, forse due, e poi un silenzio che per 18 anni ha seppellito verità scomode e verità mai raccontate.

    Chiara, la “brava ragazza”, nascondeva una doppia vita che nessuno voleva vedere. Nelle mail scambiate con l’amica Cristina Tosi, confessava un cuore diviso: “Il mio piccione al telefono mi dà sempre soddisfazioni”, scriveva, “mentre con l’altro… ultimamente non ci vado troppo d’accordo”. Due uomini, due vite. E un secondo cellulare pieghevole, azzurro, mai repertato. Una linea segreta che nessuno ha mai voluto cercare.

    Al suo fianco c’era Alberto Stasi, il fidanzato ufficiale. Freddo e impacciato, ma anche ossessionato dal sesso: nel suo computer, migliaia di immagini e video hard, molti girati con Chiara stessa. Lingerie comprata a Londra, sex toys, pose provocanti. La “coppia da oratorio” che si divertiva come fosse in un film proibito. Ma nei tribunali bastò questo per trasformare Stasi nel mostro perfetto. Eppure quei video mostravano solo una sessualità giovane e curiosa, senza violenza. Ma a Garlasco, la curiosità è un peccato mortale.

    E mentre Alberto veniva inchiodato come carnefice, altre ombre si muovevano dietro le quinte. Le gemelle Paola e Stefania Cappa, cugine di Chiara, sono sempre rimaste a galla, protette dal potere della famiglia. Belle e ambiziose, di giorno “figlie modello”, di notte cubiste alle Rotonde, la discoteca più in voga. Il loro habitat era la notte, e la loro arma, la voglia di essere viste. Dopo la morte di Chiara, si buttarono nelle braccia di Fabrizio Corona: “Erano le gemelle K, le cugine affrante. Il dolore fa audience,” racconta Francesco Chiesa Soprani, manager dello showbiz e amico delle due ragazze. E loro, in cerca di visibilità, falsificarono pure una foto per sembrare più vicine alla cugina morta.

    Tra i loro messaggi, uno fa rabbrividire: “Mi sa che abbiamo incastrato Stasi”. Ma a Garlasco, dove i sorrisi sono cortine di fumo, nessuno volle scavare davvero. Anche quando spuntarono messaggi vocali in cui Paola parlava di “un segreto che la renderebbe ricca”.

    Intanto, la famiglia Cappa restava intoccabile. Ermanno, il padre, avvocato influente, era “l’uomo che tutto può”, mentre Maria Rosa, madre delle gemelle e sorella del padre di Chiara, mentiva spudoratamente sugli alibi del mattino dell’omicidio. Bugie che lasciavano sole le due figlie in casa, con un mazzo di chiavi della villetta di Chiara.

    A Garlasco si bisbiglia di vecchi rancori e di gelosie morbose. “Le gemelle odiavano Chiara,” dice Maria Ventura, madre di un’amica. Il giorno dopo la morte della ragazza, Paola e Stefania erano già sul piede di guerra per gestire la loro “immagine da cuginette affrante” e chiedere a Corona di trasformarle in star da copertina.

    E mentre il paese fingeva di non vedere, Andrea Sempio, amico di Marco Poggi e comparsa inquietante in questa saga, finì per diventare l’altro nome sussurrato. Un’impronta palmare lo inchioda sulla scena del delitto, ma la sua ombra è ancora più lunga. Il memoriale di Flavius Savu parla di orge e prostituzione al santuario delle Bozzole, dove Sempio – dicono – era di casa. Minorenni pagati per sesso con i preti, chiavi sotto i tappeti e riti satanici.

    “Mio zio mi riferiva che tante volte aveva paura che questi gli togliessero la vita, per quello che aveva visto,” scrive Savu. Parole di un testimone che dice di aver conosciuto l’orrore vero.

    E poi c’è Michele Bertani, amico di Sempio, morto impiccato nel 2016. In macchina, Andrea sussurrava: “Michele si è impiccato… perché? Tutte le cazzate le abbiamo fatte insieme…”. Un monologo che sa di colpa, di segreti condivisi, di un’ombra che non si può cancellare.

    Garlasco è ancora lì: un paese che si inginocchia in chiesa e la sera si perde tra le ombre delle sue ville. Dove la verità non è solo una ferita aperta, ma una storia che puzza di sesso, potere e menzogne.

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      Paola e Stefania Cappa, la verità in bilico sul delitto di Garlasco e i misteri che nessuno indaga

      Dalla bicicletta nera alla fossa comune di silenzi e incongruenze: Paola e Stefania Cappa, cugine di Chiara Poggi, restano al centro di un intrigo che da diciotto anni non smette di alimentare sospetti e teorie. In questa storia di segreti e omissioni, sono loro a portare con sé la chiave mancante.

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        C’è una bicicletta da donna nera, con portaborse color fucsia, parcheggiata davanti alla villetta di via Pascoli a Garlasco. C’è una famiglia, i Cappa, che in quella casa aveva accesso e confidenza, unica insieme alla vittima e alla sua famiglia. C’è un tentativo di suicidio, due giorni prima del delitto, e una violenza mai approfondita subita in tenera età. Ombre, sospetti e misteri, che gravitano attorno a Paola e Stefania Cappa e a un delitto – quello di Chiara Poggi – che, a distanza di quasi due decenni, ancora non trova un punto fermo.

        13 agosto 2007

        Siamo a Garlasco, provincia di Pavia. È il 13 agosto 2007 quando Chiara Poggi viene ritrovata morta nella cantina di casa sua. Alberto Stasi, fidanzato della vittima, verrà poi condannato in via definitiva per omicidio. Ma la vicenda processuale ha lasciato buchi neri e interrogativi mai risolti, tra cui quelli che riguardano proprio le gemelle Cappa.

        Il suicidio tentato

        Paola, la più fragile, aveva tentato il suicidio l’11 agosto, due giorni prima del delitto. Un gesto disperato e carico di significati che nessun investigatore ha mai approfondito. Paola, sempre lei, ha parlato di un uomo con la camicia bianca, “non il fidanzato”, che avrebbe ucciso Chiara, secondo una misteriosa sensitiva.

        Stefania ha incastrato Stasi?

        Stefania, la più spavalda, invece ha partecipato a un colloquio con Alberto Stasi registrato in caserma dai carabinieri. Con una frase sconcertante: “Ma alle 9 e mezza?”, orario del delitto che verrà confermato solo anni dopo. Come faceva a saperlo? Nessuno gliel’ha mai chiesto.

        I Cappa avevano le chiavi di casa

        I Cappa, unica famiglia insieme ai Poggi a detenere le chiavi e l’allarme di casa, non hanno mai dato un racconto davvero lineare di quella mattina. Ermanno, lo zio potente e influente in paese, parla di orari che non coincidono. Maria Rosa, la moglie, viene vista in giro in auto prima di quanto dichiara. E Stefania e Paola restano nell’ombra, tra mezze verità e reticenze.

        In questo quadro ambiguo, c’è la bicicletta. Quella bici da donna, la “Raleigh” con le borse laterali fucsia, era lì, immortalata nella memoria delle vicine. Mai fotografata. Mai sequestrata. Mai confrontata con la bici che porterà poi alla condanna di Alberto Stasi. Un dettaglio sfuggito o forse ignorato.

        E poi c’è la Croce Garlaschese, dove Paola e Stefania facevano volontariato. Proprio lì un muratore denuncia la sparizione di una mazzetta da un chilo, un attrezzo potenzialmente letale. Era il 20 agosto, appena una settimana dopo l’omicidio. Coincidenze? Forse. Ma la Procura di Pavia ha deciso di riaprire quel cassetto.

        Il cerchio dei sospetti e delle chiacchiere di paese si stringe attorno alle gemelle. Paola, con i suoi messaggi vocali a un amico in cui confessa di essere stata “usata” per incastrare Stasi. Stefania, che a quattro giorni dal delitto si muove tra le voci e i misteri di Garlasco, alla ricerca di verità. Un microcosmo di silenzi e di bugie, dove l’unica certezza resta la morte di Chiara Poggi.

        Oggi, i nuovi approfondimenti della Procura puntano a colmare quei vuoti investigativi lasciati negli anni. Paola e Stefania sono lì, in bilico tra la memoria e il sospetto, testimoni di un mondo dove la verità è sempre stata un passo più in là.

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          Garlasco, una donna complice sul luogo del delitto? Il sospetto dell’impronta col tacco e il mistero dell’arma “con uno spigolo netto”

          Dal sospetto dell’impronta lasciata da un tacco alla ferita compatibile solo con una scarpa femminile: gli elementi dell’autopsia e le nuove indagini su Andrea Sempio rilanciano l’ipotesi di una complice donna sul luogo del delitto. In un’indagine che non ha mai smesso di inquietare, la figura femminile riemerge come un’ombra, tra la violenza cieca dell’omicidio e i dettagli sfuggiti agli occhi di chi, finora, si era fermato alle certezze più facili.

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            A Garlasco, nell’agosto del 2007, la vita di Chiara Poggi si è spezzata in un mattino che ancora oggi inquieta e divide. Dopo anni di processi e sentenze, un nuovo dettaglio affiora e insinua un dubbio sottile: sul luogo del delitto ci sarebbe potuta essere una donna, una presenza silenziosa ma decisiva nell’economia dell’omicidio.

            Secondo quanto riportato da Il Giorno, gli inquirenti di Pavia stanno rileggendo ogni dettaglio delle indagini e del referto autoptico firmato dal professor Marco Ballardini. È proprio in quelle pagine, redatte nel linguaggio freddo e chirurgico della medicina legale, che si nascondono dettagli capaci di riaprire scenari sepolti.

            Chiara Poggi è stata uccisa senza potersi difendere. Le ferite che le sono state inflitte parlano di un’arma contundente e pesante, con almeno uno spigolo netto, vibrata con forza solo contro la testa della ragazza. Una violenza cieca, che non le ha lasciato il tempo né la possibilità di proteggersi: “Scarsamente efficaci o anche assenti tentativi di difesa della vittima”, annota il medico legale.

            Ma c’è di più. C’è quella ferita sulla coscia sinistra della giovane che sembra raccontare un altro retroscena. Una contusione compatibile, scrive Ballardini, “con un calettamento violento dal tacco o dalla punta di una scarpa”. Non una suola piatta e maschile come quella delle scarpe Frau numero 42, attribuite ad Alberto Stasi, già condannato in via definitiva per l’omicidio. Una scarpa diversa, più minuta, femminile. Forse appartenente a una donna.

            E qui, in questa impronta che non trova un proprietario, si annida l’ipotesi di una complice. Perché se la scarpa di Stasi non poteva lasciare quel segno, e se Andrea Sempio – oggi indagato per concorso in omicidio – resta un sospettato con un passato di amicizia e segreti nella cerchia di Chiara, la presenza di una figura femminile sul luogo del delitto torna a farsi largo. Una donna che avrebbe infierito sul corpo già martoriato, forse per un gesto di odio o disprezzo, forse come segno di complicità.

            Chi era questa donna? E, soprattutto, perché nessuno l’ha mai cercata davvero?

            La scena del crimine, come sappiamo, fu inquinata dalle troppe presenze quella mattina. Ma la ferita sulla coscia di Chiara non è un dettaglio postumo. Non è un segno casuale lasciato dai soccorritori o dai curiosi entrati nella villetta di via Pascoli. È un’impronta viva, un segno della violenza subita quando Chiara era ancora in vita.

            Eppure, per anni, l’indagine si è fermata al racconto ufficiale: Alberto Stasi, solo, nella villetta. Il ragazzo di buona famiglia, condannato a sedici anni in via definitiva. Ma attorno a lui, nella rete di conoscenze e segreti di provincia, si muovevano anche altri nomi. Andrea Sempio, amico di Marco Poggi, il fratello di Chiara, è uno di questi. E in quel cerchio, si diceva già allora, c’erano ragazze che sapevano, che forse c’erano.

            Oggi la procura di Pavia non esclude più la pista della complicità. Le nuove verifiche sull’arma del delitto – “uno strumento pesante, con spigolo netto” – e sulle impronte compatibili con una scarpa femminile riaprono il campo delle ipotesi.

            E intanto, la figura di Chiara Poggi, la ragazza “dell’oratorio e della banca” come la raccontavano i giornali, si tinge di nuove ombre. Lei che, secondo le contusioni trovate sul corpo, avrebbe provato a fuggire, forse cadendo durante un disperato tentativo di scampo. Lei che, in quella casa, ha trovato la morte senza un solo grido, e con la mano di chi l’ha uccisa – o di chi l’ha aiutato a farlo – rimasta nell’ombra.

            La verità, a Garlasco, resta sempre un passo più in là. E la sensazione è che ci sia ancora qualcuno che non ha raccontato tutto.

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              Il video segreto di Chiara: un nuovo tassello nel giallo di Garlasco

              Il settimanale Giallo riporta una testimonianza finora ignorata: Marco Poggi avrebbe visto una chat in cui si accennava a un video hard tra la sorella Chiara e il suo fidanzato. Quella conversazione era salvata nel computer di casa, lo stesso dove giocavano i ragazzi del gruppo, compreso Andrea Sempio. Un dettaglio che, alla luce delle nuove indagini, riapre scenari rimossi. E spuntano anche quattro slip mai repertati.

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                Un anno prima della morte di Chiara Poggi, nel computer di casa, c’era un file. Non era un documento scolastico né una canzone scaricata da eMule: era un video privato, un contenuto intimo condiviso tra la ragazza e il fidanzato Alberto Stasi. Un dettaglio che all’epoca venne verbalizzato, ma che nel tempo è stato dimenticato o lasciato sullo sfondo. Oggi però quella vecchia dichiarazione di Marco Poggi, fratello della vittima, torna al centro dell’attenzione grazie a un’inchiesta del settimanale Giallo, che rilancia l’interrogativo: chi ha visto quel video? E se qualcuno lo ha visto, cosa ha pensato?

                Il fratello della vittima venne ascoltato dai carabinieri il 18 ottobre 2007, due mesi dopo il delitto. Durante l’interrogatorio raccontò che circa un anno prima dell’omicidio si era imbattuto in una chat salvata sul pc di Chiara, da cui si evinceva l’esistenza di un filmato intimo tra la sorella e il fidanzato. Una scoperta che lo colpì molto, tanto da rimanergli impressa. Ma quel computer non era chiuso a chiave né sotto controllo. Era il pc di casa, dove Marco passava ore giocando con gli amici. E tra quegli amici c’era anche Andrea Sempio.

                Il computer di casa, usato da tutti

                I videogiochi, le risate, le serate tra ragazzi. Quel computer era al centro della vita quotidiana dei fratelli Poggi. Nessuna password, nessun blocco. I file personali e i salvataggi erano accessibili a tutti. Il video era ancora lì quando Chiara è stata uccisa? E se sì, qualcuno lo ha visto di nascosto? La possibilità non è remota. Andrea Sempio, oggi tornato al centro delle attenzioni degli inquirenti, era un frequentatore abituale della casa, come dimostra la sua impronta palmare trovata sul portone. Un dato che inizialmente fu trascurato, ma che oggi – dopo 18 anni – assume ben altro peso.

                Secondo quanto riportato da Giallo, la domanda che gli investigatori avrebbero dovuto porsi è semplice quanto scomoda: se uno dei ragazzi avesse visto quel video, avrebbe potuto sviluppare un’ossessione? O magari un desiderio morboso, distorto, inconfessabile?

                Il contesto è delicato, e l’ipotesi non vuole scadere nel sensazionalismo. Ma è lecito – anzi, doveroso – interrogarsi su tutto ciò che è stato ignorato o archiviato troppo in fretta. Come un altro dettaglio, agghiacciante, rimasto senza spiegazioni.

                Gli slip sul divano: mai repertati

                Il giorno dell’omicidio, sul divano di casa Poggi, venne ritrovato un sacchetto con quattro paia di slip usati. In una foto esclusiva pubblicata da Giallo, si vedono gli indumenti tolti dal sacchetto e adagiati uno a uno sul divano, prima ancora di essere imbustati o conservati come prova. Nessuna analisi, nessuna ricerca di tracce biologiche, nessuna voce nel registro dei reperti. Come se non fossero mai esistiti.

                Eppure, in una scena del crimine in cui si cerca di ricostruire la dinamica dell’assassinio di una ragazza appena uscita dalla doccia, la presenza di indumenti intimi usati dovrebbe accendere mille campanelli d’allarme. Invece niente. Nessun riscontro, nessun approfondimento.

                Quel sacchetto resta uno dei tanti misteri irrisolti della casa di via Pascoli. Gli investigatori dell’epoca decisero di concentrarsi su Alberto Stasi, compagno della vittima e unico indagato. Una linea investigativa che portò alla sua condanna in via definitiva nel 2015, ma senza la certezza di aver sviscerato ogni dettaglio utile alla verità.

                La pista Sempio e le nuove domande

                Oggi, con la riapertura mediatica del caso e l’attenzione crescente attorno alla figura di Andrea Sempio – amico del fratello di Chiara, presente spesso nella villetta di Garlasco – tornano a galla le omissioni. Come la mancata analisi dei bigliettini trovati nella spazzatura, alcuni scritti a mano, con dichiarazioni d’affetto che sembrano firmate proprio da lui. O come l’impronta palmare, a lungo ignorata, che oggi è un elemento acquisito nel fascicolo.

                Chi indaga si chiede: c’è un collegamento fra il video, gli indumenti e la presenza di Sempio in casa? È possibile che proprio quella combinazione di informazioni – la scoperta della sfera sessuale di Chiara, l’accesso indiscriminato al computer, la sua intimità violata – abbia innescato una fantasia perversa sfociata in violenza?

                Sono domande che inquietano, ma che non si possono più evitare. Perché a distanza di 18 anni, l’impressione è che qualcosa di importante sia stato lasciato indietro, e che la verità, quella vera, sia ancora sepolta dietro reticenze, disattenzioni e scelte processuali affrettate.

                Chi ha ucciso Chiara Poggi? La risposta ufficiale c’è già. Ma forse non è ancora quella definitiva.

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