Mondo
Musk e Trump: la rottura è servita (e vola fino alla Nasa)
Il presidente USA ritira la nomina di Jared Isaacman alla guida della Nasa e apre una nuova frattura con Elon Musk. Dietro la decisione, la delusione per i legami di Isaacman con i Democratici e la guerra fredda sul mega data center di Abu Dhabi che ha escluso xAI. Un segnale che la nuova America First di Trump non fa sconti nemmeno ai super-ricchi.

La fine di un idillio. E la prova che, tra due ego smisurati come quelli di Donald Trump e Elon Musk, la rottura era solo questione di tempo. Dopo appena 130 giorni di una collaborazione appesa a promesse e tweet, la Casa Bianca ha deciso di ritirare la nomina di Jared Isaacman alla guida della Nasa. Una mossa che sa di vendetta, e che squarcia la fragile alleanza tra il tycoon di Mar-a-Lago e il re delle auto elettriche.
Isaacman, imprenditore della Silicon Valley e amico personale di Musk, era stato scelto per dare nuova linfa alla Nasa: un curriculum a prova di astronauta, un talento per la finanza spaziale e una reputazione da outsider. Ma bastava scavare un po’ per trovare un dettaglio indigesto all’inquilino della Casa Bianca: donazioni passate ai Democratici, dal senatore Mark Kelly fino ai comitati californiani. E per Trump, che ha fatto del tradimento un’ossessione personale, tanto bastava a trasformare il candidato in un nemico.
Così la Casa Bianca ha fatto calare la scure. Un comunicato asciutto, la revoca della nomina e un nuovo inizio per la Nasa che, ora, si trova senza guida proprio nel momento in cui la politica spaziale americana cerca di rilanciarsi. Per Isaacman, un addio amaro; per Musk, un segnale che la sua influenza a Washington non è più intoccabile.
E in sottofondo, un altro scontro ancora più velenoso: quello per la conquista del cielo, o meglio del cloud. Nei giorni scorsi, Trump aveva dato il via libera a un gigantesco data center di intelligenza artificiale negli Emirati Arabi, un progetto da miliardi che ha escluso xAI, la nuova creatura di Musk. Il miliardario aveva provato in tutti i modi a far inserire la sua azienda nella partita, ma senza successo. Un affronto che ha lasciato il patron di Tesla con l’amaro in bocca e la sensazione di essere stato scaricato.
Così Musk è passato al contrattacco. “Non prendo droghe, il New York Times mente”, ha tuonato, dopo che la stampa americana aveva parlato di ketamina e serate “psichedeliche”. Una difesa goffa, più da rockstar in crisi che da imprenditore visionario. E intanto la Casa Bianca, senza batter ciglio, ha lasciato cadere un altro alleato di Musk: via Isaacman, avanti con la nuova America First.
Il segnale è chiaro: la luna di miele tra Trump e Musk è finita. E la guerra per la supremazia – tra chi vuole colonizzare lo spazio e chi sogna di monetizzare ogni byte dell’AI – è solo all’inizio. Sullo sfondo, la Nasa resta senza guida, sospesa tra tagli di bilancio e ambizioni spaziali. E mentre Trump guarda a generali e fedelissimi per il prossimo nome alla guida dell’agenzia, Musk si ritrova più solo che mai. Il sogno di un asse “spazio-dati” che unisse i due padroni del mondo si è infranto in una notte di vendette, accuse e veleni.
Ora resta da vedere se la rottura sarà definitiva o solo un’altra tappa nel teatrino infinito tra i due miliardari più narcisisti d’America. Ma una cosa è certa: la politica americana, come sempre, è un’arena spietata. E anche per i padroni del futuro, la regola è la stessa di sempre: o stai con me o sei fuori. E per Musk, stavolta, la porta sembra chiudersi con un tonfo assordante.
INSTAGRAM.COM/LACITYMAG
Mondo
Pentagono: addio a Milk e Ginsburg, cambiano i nomi delle navi intitolate ai leader civili
Dalla Usns Harvey Milk alla Thurgood Marshall, la Marina Usa cambia i nomi delle navi cisterna dedicate a figure dei diritti civili. La decisione – criticata da Nancy Pelosi e da Sean Penn – fa parte di una revisione più ampia voluta dal capo del Pentagono Hegseth per “rispecchiare le priorità del Comandante in Capo”.

Il Pentagono rimuove i nomi delle icone dei diritti civili dalle navi cisterna della Marina militare americana. In base a una decisione che ha già suscitato forti polemiche, il segretario alla Difesa Pete Hegseth ha avviato un piano di revisione che coinvolge navi come la Usns Harvey Milk – dedicata al primo gay dichiarato a ricoprire un incarico pubblico negli Stati Uniti – e la Thurgood Marshall, che portava il nome del primo giudice afroamericano della Corte Suprema.
Pulizia omofobica?
«Hegseth – ha dichiarato un portavoce – è impegnato a garantire che i nomi associati a tutte le installazioni e risorse del Dipartimento della Difesa riflettano le priorità del Comandante in Capo, la storia della nostra nazione e l’etica del guerriero». Nessun dettaglio ufficiale sui nuovi nomi, che verranno annunciati «al termine delle revisioni interne».
Le navi coinvolte sono tutte unità cisterna della classe John Lewis, la stessa dedicata all’icona dell’attivismo afroamericano. Tra i nomi destinati a sparire figurano la Ruth Bader Ginsburg, la Harriet Tubman, la Cesar Chavez e la Dolores Huerta – figure simbolo della lotta per l’uguaglianza e i diritti civili. L’operazione di “cancellazione” non riguarda solo Milk o i leader afroamericani, ma anche figure femminili come la suffragetta Lucy Stone e la giudice Ginsburg, scomparsa nel 2020.
Addio Harvey Milk
La Usns Harvey Milk era stata battezzata nel 2021, proprio per celebrare il primo politico dichiaratamente gay degli Usa, assassinato nel 1978 a San Francisco. Un destino amaro per una nave diventata simbolo di inclusione: la notizia del cambio di nome è arrivata durante il mese dedicato all’orgoglio LGBTQ+, in un clima politico sempre più ostile alle celebrazioni delle diversità.
Non si è fatta attendere la reazione di Nancy Pelosi, ex speaker della Camera e storica paladina dei diritti civili: «È vergognoso», ha commentato a caldo la decisione di Hegseth. Anche Sean Penn, che interpretò Harvey Milk nel film premiato con due Oscar nel 2008, ha ironizzato: «Non ho mai visto un segretario alla Difesa declassarsi al grado di capo sottufficiale».
Il segretario Hegseth aveva già fatto discutere per la sua posizione critica verso la valorizzazione delle minoranze nelle forze armate, definendo “stupida” la frase “la nostra diversità è la nostra forza”. Contestualmente, la nuova politica del Pentagono si accompagna all’uscita di scena di figure come l’ammiraglio Lisa Franchetti – la prima donna a capo della Marina Usa – e il generale C.Q. Brown, secondo afroamericano nella storia a guidare lo stato maggiore congiunto.
In un momento in cui la società americana celebra la memoria e il contributo delle minoranze, la decisione del Pentagono suona come un passo indietro. Resta da vedere quali saranno i nuovi nomi, e se davvero “rispetteranno la storia e l’etica militare”, come assicura il Dipartimento della Difesa.
Mondo
Questi americani!!! C’è chi aiuta gli hacker nordcoreani a rubare dati e milioni di dollari
Un giro d’affari da milioni di dollari alimenta il regime di Pyongyang, grazie alla complicità di cittadini statunitensi che facilitano il lavoro dei cybercriminali in cambio di denaro.

Gli hacker nordcoreani sono tra i più abili e creativi nel mettere a segno attacchi informatici contro le aziende occidentali. Dopo il furto di 1,5 miliardi di dollari in criptovalute ai danni di Bybit, gruppi come Famous Chollima continuano a infiltrarsi nelle società statunitensi, spesso con l’aiuto di cittadini americani compiacenti. Il reclutamento avviene sui social network, dove i nordcoreani cercano persone in difficoltà finanziaria, disposte a tutto pur di guadagnare denaro. Attraverso piattaforme come TikTok, LinkedIn e raccolte fondi online, offrono loro compensi significativi per svolgere mansioni che vanno ben oltre il supporto logistico.
Il prezzo della collaborazione
Il compito principale di questi cittadini americani è fornire un accesso sicuro ai lavoratori nordcoreani, ospitando nei propri spazi laptop aziendali, collegati da remoto alla Corea del Nord, ma con un IP statunitense per evitare sospetti. Inoltre, devono gestire la burocrazia, falsificare documenti e persino presentarsi fisicamente quando richiesto dalle aziende. Secondo un’inchiesta del Wall Street Journal, una cittadina americana di nome Christina Chapman ha guadagnato 120.000 euro in quattro anni, facilitando l’assunzione di lavoratori nordcoreani. Il giro d’affari ha portato quasi 17 milioni di dollari nelle casse del regime. Una volta scoperta, ha perso tutto e ora rischia fino a nove anni di carcere. Chapman non cercava nemmeno di nascondere la sua attività. Su TikTok, mostrava una vera e propria “laptop farm”, una distesa di computer utilizzati dai cybercriminali nordcoreani. Su ogni schermo, un post-it indicava il nome del lavoratore e l’azienda americana per cui “lavorava”.
Come vengono infiltrate le aziende
Grazie al lavoro da remoto, è facile per gli hacker nordcoreani infiltrarsi nelle società occidentali. Inoltrano centinaia di curriculum, utilizzano documenti trafugati e modificano il loro aspetto con l’intelligenza artificiale durante i colloqui online. Spesso i dispositivi non vengono tenuti negli Stati Uniti, ma spediti in Russia o Cina, dove i nordcoreani possono navigare indisturbati senza destare sospetti. Alcuni riescono a operare per anni senza essere scoperti, mentre altri vengono licenziati rapidamente.
Cui prodest?
I dispositivi utilizzati nelle “farm” contengono software avanzati capaci di aggirare le difese aziendali, permettendo ai cybercriminali di rubare dati sensibili, registrare riunioni e accedere a informazioni riservate. L’obiettivo principale? Spionaggio e riciclaggio di denaro, ma anche il finanziamento del regime di Kim Jong-un, che utilizza queste risorse per sviluppare armi e tecnologie avanzate. Un giro d’affari oscuro e pericoloso, che mostra quanto la complicità interna possa amplificare le minacce informatiche globali. Le aziende occidentali devono rafforzare la sicurezza, mentre le autorità statunitensi cercano di spezzare la rete di connivenza che alimenta il regime nordcoreano.
Mondo
Trump e la salute dei bambini: un report farlocco pieno di studi che non esistono
Il documento parla di disturbi mentali, farmaci e mense scolastiche, ma i riferimenti scientifici sono inesistenti o sbagliati. Accuse di superficialità, sospetti sull’uso dell’intelligenza artificiale e un pasticcio che mina la credibilità dell’intera iniziativa

L’amministrazione Trump torna a far discutere, e stavolta non c’entrano i tweet infuocati dell’ex presidente o le sue intemperanze pubbliche. Nel mirino c’è un documento pubblicato la scorsa settimana dalla Commissione presidenziale Make America Healthy Again (Maha), diretta dal segretario alla Salute Robert F. Kennedy Jr. Si tratta di un report dedicato alla salute mentale e fisica dei bambini americani, che avrebbe dovuto rappresentare un punto fermo nelle politiche sanitarie del governo. Invece si è rivelato un pasticcio degno del peggior ufficio stampa, infarcito di citazioni a studi scientifici che non esistono.
A lanciare l’allarme è stata l’agenzia Notus, ripresa a ruota dal New York Times, che ha scovato nel report “fantasmi bibliografici” degni delle fake news più scadenti. Il caso più eclatante riguarda la professoressa Katherine Keyes, epidemiologa alla Columbia University. Il suo nome compare come autrice di un articolo scientifico sulla salute mentale e l’uso di droghe, ma lei stessa ha dichiarato di non averlo mai scritto. «Mi preoccupa il rigore del rapporto se non viene seguita la prassi per le citazioni scientifiche», ha detto Keyes al Nyt, con un tono a metà tra lo sconforto e l’incredulità.
Ma non è finita qui. Il documento fa riferimento a un articolo di Lancet del 2005, presentato come uno studio scientifico sulla pubblicità dei farmaci. In realtà si trattava solo di un editoriale, privo di dati o verifiche sperimentali. E ancora: il rapporto attribuisce una ricerca sul legame tra sonno, infiammazione e sensibilità all’insulina a un coautore che, semplicemente, non aveva mai lavorato a quel tema. Una catena di strafalcioni che, in un testo con ambizioni sanitarie, rischia di minare la fiducia dei cittadini.
Dietro questa serie di errori, come ha notato Ivan Oransky, docente di giornalismo medico alla New York University e co-fondatore di Retraction Watch, potrebbe esserci l’uso dell’intelligenza artificiale. «Gli errori sono caratteristici dell’uso dell’IA per redigere testi – ha spiegato Oransky all’agenzia Agi – Non è detto che la sostanza sia sempre sbagliata, ma è evidente la mancanza di quei controlli rigorosi che rendono scientificamente valido un rapporto».
La Casa Bianca ha cercato di correre ai ripari in fretta e furia. Dopo l’articolo del Nyt, ha pubblicato una nuova versione del report con correzioni alle citazioni. Ma ha anche provato a minimizzare l’accaduto: Emily Hilliard, portavoce del dipartimento della Salute, ha parlato di «errori di formattazione» che «non cambiano la sostanza del rapporto». Una difesa che però non ha convinto molti, visto che le “formattazioni” sbagliate sembrano essere in realtà vere e proprie invenzioni.
Le polemiche rischiano di far deragliare un progetto che, almeno nelle intenzioni, avrebbe dovuto affrontare temi centrali come l’ansia e la depressione infantile, l’uso eccessivo di farmaci e l’alimentazione scolastica. Temi cruciali, soprattutto negli Stati Uniti, dove la salute mentale dei più giovani è diventata un’emergenza nazionale, complici la pandemia e l’esposizione incontrollata ai social network.
E invece, con un documento zeppo di fonti inesistenti, la Commissione Maha rischia di perdere ogni credibilità. Gli avversari politici di Trump hanno subito colto la palla al balzo, parlando di “propaganda senza basi” e di “disinformazione mascherata da scienza”. Ma anche tra i repubblicani più moderati serpeggia l’imbarazzo: un report ufficiale non può permettersi errori così grossolani, tanto più se riguarda la salute dei bambini.
La vicenda riaccende un tema più ampio, che va oltre i confini dell’amministrazione Trump: l’affidabilità delle fonti e la necessità di verifiche serie in un’epoca in cui l’intelligenza artificiale produce testi sempre più credibili. Ma la credibilità non può essere lasciata alle macchine, e i genitori americani – quelli che questo report dovrebbe rassicurare – meritano qualcosa di più solido di un pasticcio di citazioni inventate.
In attesa di spiegazioni più convincenti, la “grande America sana” evocata da Kennedy Jr. resta per ora un sogno. O peggio, uno slogan da campagna elettorale scritto con la superficialità di un post su X.
-
Gossip1 anno fa
Elisabetta Canalis, che Sex bomb! è suo il primo topless del 2024 (GALLERY SENZA CENSURA!)
-
Cronaca Nera11 mesi fa
Bossetti è innocente? Ecco tutti i lati deboli dell’accusa
-
Sex and La City1 anno fa
Dick Rating: che voto mi dai se te lo posto?
-
Speciale Olimpiadi 202410 mesi fa
Fact checking su Imane Khelif, la pugile al centro delle polemiche. Davvero è trans?
-
Speciale Grande Fratello9 mesi fa
Helena Prestes, chi è la concorrente vip del Grande Fratello? Età, carriera, vita privata e curiosità
-
Speciale Grande Fratello9 mesi fa
Shaila del Grande Fratello: balzi da “Gatta” nei programmi Mediaset
-
Gossip12 mesi fa
È crisi tra Stefano Rosso e Francesca Chillemi? Colpa di Can?
-
Gossip10 mesi fa
La De Filippi beccata con lui: la strana coppia a cavallo si rilassa in vacanza