Italia
Fenice o fenice… impanata? Chiara Ferragni e la società che brucia tutto (tranne i soci “scomodi”)
Il socio dissidente Pasquale Morgese impugna il bilancio 2023 e la ricapitalizzazione della holding di Chiara Ferragni: «Manovra per eliminare gli altri azionisti». Intanto scoppia il contenzioso con Safilo: richiesto un risarcimento da 5,9 milioni. E in tribunale si preparano altri round. La fenice rinasce dalle ceneri, ma a quanto pare solo se paga qualcun altro.

Fenice, come l’uccello mitologico che risorge dalle ceneri. Ma qui, più che rinascita, sembra una frittura di soci. Chiara Ferragni, regina indiscussa dell’influencer marketing e protagonista dello scandalo natalizio a base di Pandoro, è finita nel bel mezzo di una guerra legale. E non per una borsetta sbagliata.
Questa volta si parla di azioni legali, fondi rischi “sospetti”, bilanci contestati e soci epurati. Fenice Srl, la cassaforte che controlla l’universo commerciale della Ferragni, è al centro di una causa civile intentata da Pasquale Morgese, ex socio al 27,5%, ora ridotto a un misero 0,2% dopo l’aumento di capitale dello scorso marzo.
Morgese accusa l’influencer di aver architettato una ricapitalizzazione “truccata”: il bilancio 2023, secondo lui, sarebbe stato redatto in modo da mostrare un rosso eccessivo, gonfiando le perdite e dimenticando qualche attivo per strada. Così da poter dire: il capitale è sparito, tocca ricapitalizzare. E chi ha messo 6,4 milioni di tasca propria per “salvare” Fenice? Chiara Ferragni, ovviamente. Che ora possiede il 99,8% della società. Gli altri, fuori.
Una mossa elegante quanto un calcio rotante in assemblea, almeno a sentire i legali di Morgese, che parlano apertamente di “manovra deliberata per estromettere i soci scomodi”. L’atto di citazione è lungo quasi 40 pagine e racconta, con dovizia di particolari, i retroscena dell’ultima assemblea: un match verbale tra gli avvocati del socio dissidente e il nuovo amministratore unico, Claudio Calabi, chiamato proprio dopo la tempesta del Pandoro per rimettere in ordine i conti.
Ma i conti, secondo Morgese, non tornano. Si accusa Fenice di aver appostato fondi rischi “abnormi”, inserito passività nate nel 2024 nel bilancio 2023 e dimenticato di allegare documenti fondamentali, come i conti della controllata Fenice Retail. Risultato? Un bilancio nero pece che avrebbe giustificato l’azzeramento del capitale e il successivo aumento, approvato con il solo voto favorevole della Ferragni.
Come se non bastasse, dai documenti emergono anche i contenziosi legali in corso. Il più pesante? Quello con Safilo, il gruppo dell’occhialeria che ha rotto il contratto con Ferragni dopo la grana Pandoro. Chiede 5,9 milioni di danni per «violazioni contrattuali». Fenice risponde con una causa da 3,65 milioni, ma ammette un “rischio soccombenza” per circa 1,8 milioni. Non proprio briciole.
In lista ci sono anche dispute con Swinger International (abbigliamento), Angelini (profumi) e Monnalisa (linea bambino). Tutti ex partner del brand Ferragni, oggi potenziali nemici in aula.
Ora toccherà al tribunale civile di Milano sbrogliare la matassa. La prima udienza è fissata per il 28 novembre. Ferragni, nel frattempo, si gode la (quasi) totalità della sua creatura aziendale. Ma la fenice, a questo giro, rischia di dover risorgere non dalle ceneri… ma da una montagna di carte bollate.
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Italia
Il ponte sullo Stretto, tra record e promesse: «120 mila posti, alta velocità e un’Italia più vicina»
Salvini lo presenta come un acceleratore di sviluppo: lavoro, logistica, turismo e difesa. C’è già un cronoprogramma per partire entro l’autunno e completare tra il 2032 e il 2033.

Non più un sogno o un annuncio da campagna elettorale, ma – almeno per il governo – un progetto pronto a entrare nella fase operativa. Il ponte sullo Stretto di Messina, con una campata unica da 3.300 metri, destinata a essere la più lunga del mondo, viene presentato come la chiave per trasformare il volto del Sud e ridisegnare le rotte dei trasporti nazionali ed europei.
I numeri sbandierati dall’esecutivo sono imponenti: 120 mila unità lavoro l’anno, 36.700 posti stabili, un contributo al Pil di 23,1 miliardi di euro e 10,3 miliardi di entrate fiscali solo nella fase di cantiere. Salvini lo definisce «un punto di partenza, non di arrivo» e ribadisce che «sarà parte della soluzione ai problemi del Mezzogiorno», con benefici che andranno ben oltre Sicilia e Calabria.
L’infrastruttura, infatti, si inserisce in un piano più ampio che comprende 40 chilometri di raccordi stradali e ferroviari, in gran parte in galleria, per collegare il ponte alle principali autostrade e linee ferroviarie ad alta capacità. Il progetto prevede anche una “metropolitana dello Stretto” con tre fermate sul fronte messinese, pensata per studenti, pendolari e turisti.
L’impatto dell’opera, però, non si misurerà solo sul territorio. La prima regione per numero di imprese coinvolte sarà la Lombardia, seguita da Veneto, Emilia-Romagna e Lazio. Sul fronte occupazionale e formativo il baricentro resterà al Sud, con investimenti paralleli su infrastrutture idriche e mobilità locale che, promette Salvini, «valgono il doppio del costo del ponte».
Il cronoprogramma è serrato: dopo la bollinatura della Corte dei Conti, l’obiettivo è far partire i cantieri tra settembre e ottobre. L’attraversamento, secondo le previsioni, sarà possibile tra il 2032 e il 2033, un biennio che il ministro definisce «simbolico», immaginando un’Italia capace di completare in quegli anni più grandi opere contemporaneamente.
Oltre agli aspetti economici, il ponte riveste un ruolo strategico anche nella pianificazione europea dei trasporti. Completare il corridoio Helsinki-Palermo significherebbe dare senso all’alta velocità in Sicilia, oggi limitata da ferrovie lente e inaffidabili. E, in tempi di instabilità internazionale, un’infrastruttura di questo tipo viene valutata anche per la sua capacità di spostare rapidamente mezzi e truppe, rafforzando il ruolo strategico della Sicilia nel Mediterraneo e nella rete Nato.
Non è la prima volta che il ponte entra nell’agenda politica. Dal progetto di Ferdinando II di Borbone nel 1840 ai tentativi post-unitari, fino ai piani bloccati dal terremoto del 1908, la storia dello Stretto è costellata di rinvii e occasioni mancate. Per decenni è stato il simbolo dell’immobilismo italiano: un’opera di cui si è discusso per generazioni senza posare una sola pietra.
Oggi, però, le tecnologie ingegneristiche rendono possibili costruzioni in aree sismiche e ventose, come dimostrano esempi in Giappone, California e Cina. Sistemi antisismici di nuova generazione, monitoraggi digitali e materiali innovativi promettono di trasformare in realtà ciò che un tempo era considerato un azzardo.
Per il governo, il ponte sullo Stretto non è solo un’infrastruttura: è un banco di prova per dimostrare che l’Italia può ancora concepire e realizzare grandi opere, con l’ambizione di lasciare un segno tangibile per le generazioni future.
Italia
Italia arroventata: arriva l’anticiclone africano, picchi fino a 40 gradi tra afa e caldo torrido
Temperature percepite fino a 41°C, città bollenti come Firenze e Terni, e umidità soffocante in Pianura Padana. Il picco tra venerdì e sabato, con l’anticiclone africano pronto a mettere l’Italia sulla graticola.

L’Italia torna sul fuoco. L’anticiclone africano ha deciso di piazzare la sua cupola rovente proprio sopra la Penisola, inaugurando un nuovo assalto dell’estate estrema. Da oggi il caldo torna a mordere, ma sarà tra venerdì e sabato che il termometro farà davvero paura: picchi di 40°C, con città come Firenze e Terni destinate a trasformarsi in fornaci a cielo aperto.
Il meteorologo Lorenzo Tedici, volto di iLMeteo.it, non lascia speranze: «Entro giovedì toccheremo i 35-36°C in Toscana e Umbria, e i 34°C in Emilia. Da venerdì in poi sarà un crescendo». Tradotto: la settimana di San Lorenzo sarà una lunga corsa verso l’inferno.
Già venerdì Firenze e Terni potrebbero sfiorare i 39°C, mentre in Pianura Padana l’afa si prepara a diventare insopportabile: 37°C a Reggio Emilia e Mantova, 36-37°C tra Alessandria, Asti, Bologna e Parma. L’umidità farà il resto, trasformando le giornate in un bagno di sudore. A Cremona, ad esempio, i 36°C “reali” si sentiranno come 41°C percepiti, mentre Firenze vivrà il suo lato torrido: 39°C secchi, con l’aria che scotterà come in un deserto.
Il Sud non resterà a guardare: Campania e Puglia toccheranno i 37°C, e da venerdì anche l’entroterra siciliano si scalderà senza pietà. L’unico sollievo? Qualche breve rovescio pomeridiano sulle Alpi mercoledì, destinato a evaporare in poche ore.
Le previsioni giorno per giorno confermano l’escalation: mercoledì sole e caldo in aumento, giovedì afa in crescita ovunque, venerdì il picco con l’Italia intera trasformata in una graticola africana. In Pianura Padana la combinazione di calore e umidità sarà micidiale, mentre nelle zone interne di Centro e Sud il sole picchierà con violenza.
Insomma, l’estate si riprende la scena con la sua faccia più estrema. Chi potrà, cercherà rifugio in spiaggia o sotto l’aria condizionata; per tutti gli altri, la prossima settimana sarà una lunga prova di resistenza al caldo torrido.
Italia
Maturità 2025, il record delle lodi va ancora al Sud
Calabria, Puglia e Sicilia prime in Italia per numero di studenti con il massimo dei voti. Alle medie confermata la tendenza.

Il Sud resta la patria delle eccellenze scolastiche. I dati ufficiali sull’esame di maturità 2025 lo confermano: il 2,8% dei diplomati ha ottenuto la lode, pari a 13.857 studenti, in leggero aumento rispetto al 2,6% dello scorso anno.
A dominare la classifica sono ancora una volta Calabria, Puglia e Sicilia, regioni che superano la media nazionale e che si confermano terreno fertile per le eccellenze. All’estremo opposto, Valle d’Aosta, Lombardia, Trentino Alto Adige e Veneto restano le regioni con la percentuale più bassa di lodi.
Il divario tra Nord e Sud è netto anche alle scuole medie. Qui il 5,2% degli studenti ha ottenuto 10 e lode, con la Puglia in testa (8,7%), seguita dalla Calabria (8,4%) e dalla Sicilia (8%). Numeri che rafforzano una tendenza consolidata e che alimentano il dibattito sulla differenza di valutazioni tra le due Italie: scuole del Nord più severe o quelle del Sud più generose? Oppure, come sostengono molti docenti, nelle regioni meridionali le lodi sono anche un riconoscimento agli sforzi di studenti che spesso affrontano contesti più difficili e carenze strutturali?
Analizzando i diversi indirizzi di studio, il primato delle lodi spetta ai licei, dove il 4,3% dei diplomati ha raggiunto il 100 e lode. Seguono gli istituti tecnici con l’1,5%, mentre nei professionali la percentuale scende allo 0,6%. Nei tecnici e nei professionali i voti più frequenti restano compresi tra 61 e 70, mentre nei licei prevalgono i punteggi tra 71 e 80.
Per la Calabria, i dati sono motivo d’orgoglio. In una regione che spesso deve fare i conti con strutture scolastiche carenti, il numero di studenti che riescono a distinguersi diventa un segnale positivo, una sorta di riscatto collettivo. Dietro ogni lode ci sono ore di studio, sacrifici e la determinazione di ragazzi e ragazze che, anche tra difficoltà logistiche e didattiche, scelgono di puntare all’eccellenza.
Quest’anno, dunque, il vento delle lodi soffia ancora una volta dal Sud. E la Calabria si conferma tra i territori dove la scuola sa trasformare il talento e l’impegno degli studenti in storie di successo.
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