Lifestyle
Ansia da spiaggia libera: cronache da sotto l’ombrellone tra sabbia, invadenze e umanità molesta
Semiserio manuale di sopravvivenza per chi osa ancora frequentare la spiaggia libera in piena estate. I profili psicologici dei bagnanti-tipo, le dinamiche di occupazione territoriale e le piccole, grandi nevrosi da sabbia bollente. Dove tutto è gratis, ma a caro prezzo.
 
																								
												
												
											La spiaggia libera è un’idea romantica. Un angolo di democrazia balneare dove ognuno può stendere il proprio telo, sentire il mare da vicino e respirare il profumo della libertà. Peccato che, nei fatti, somigli sempre più a un campo profughi di Ferragosto, dove la legge del più veloce e del più rumoroso detta l’agenda.
Alle 7.30 del mattino si presenta il primo invasore, armato di ombrellone vintage, borsa frigo e tenda Quechua che, una volta aperta, occupa più della sua villetta al mare. Dentro ci metterà figli, suocera, due cugini e lo stereo portatile. Fuori, lo sguardo fiero di chi ha appena piantato la bandiera sulla Luna.
Alle 8.45 arriva l’occupatore strategico, quello che stende quattro teli in croce come a Risiko e poi se ne va, convinto che il posto resti “tenuto” per diritto divino. Quando tornerà, tre ore dopo, troverà almeno due famiglie accampate sopra e si offenderà a morte. Ma senza rinunciare a piazzarsi comunque.
Alle 10 entra in scena il vero incubo dell’estate: la famiglia stereo, con bambini lanciati come shuriken nella sabbia e genitori che decidono di alzare il volume della playlist “Estate da ballare 2021-2025” a livelli da concerto degli AC/DC. Nessuno osa dire nulla, tranne il vecchio scorbutico in costume a rete che li guarda con odio e brontola frasi incomprensibili contro i giovani, i cellulari e la civiltà in generale.
Poi ci sono loro, gli onnipotenti da spiaggia: giocano a racchettoni sopra la testa degli altri, scambiano ogni granello di sabbia per un diritto acquisito, commentano tutto a voce altissima e buttano la sabbia addosso a te ogni volta che scrollano il telo. Il concetto di “spazio vitale” è per loro un optional.
In mezzo a questo teatro umano, ci sei tu. Con il tuo telo stropicciato, la crema solare numero 50, la speranza di leggere due pagine in pace e la certezza che entro mezz’ora ti troverai addosso almeno un piede, una palla o un bambino con le dita piene di gelato.
Perché la spiaggia libera è bellissima. Ma è anche la vera prova di sopravvivenza dell’estate. Dove il sole ti brucia la pelle, il vicino ti ustiona l’anima e il relax, se arriva, è solo dopo il tramonto. Quando tutti se ne vanno e, per un attimo, la libertà sembra davvero libera.
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Lifestyle
Dalle zucche alle ombre sul pianerottolo: Halloween, la notte in cui fantasmi, streghe e dolcetti conquistano grandi e piccini
Tra zucche intagliate, porte bussate e case trasformate in scenografie gotiche, il 31 ottobre è ormai un appuntamento fisso. Le sue radici affondano nella tradizione celtica di Samhain, tra riti per scacciare gli spiriti e simboli di passaggio. Oggi Halloween vive tra antiche leggende e divertimento moderno, dove i bambini chiedono “dolcetto o scherzetto” e gli adulti riscoprono il gusto dell’immaginazione.
 
														La vigilia di Ognissanti ha un fascino ambiguo: è la notte in cui l’oscurità sembra farsi più morbida, pronta a mescolarsi con le risate dei bambini travestiti da vampiri e principesse gotiche. Halloween nasce come festa di passaggio, quando secondo le popolazioni celtiche il confine tra vivi e spiriti si assottigliava. Oggi quel varco simbolico sopravvive in forma pop, tra cappelli da strega, mantelli neri e zucche illuminate che punteggiano balconi e pianerottoli. Una celebrazione del brivido controllato: piccolo, domestico, divertente.
Zucche, travestimenti e campanelli
Le strade italiane si sono abituate a bussate improvvise e richieste zuccherine. I bambini si presentano mascherati, pronti per il gioco rituale del “dolcetto o scherzetto”, portando con sé sacchetti pieni di caramelle e occhi brillanti. In cucina si preparano biscotti a forma di pipistrello, mini muffin con glassa arancione, cioccolatini al caramello e mele candite. Nelle case, candele e lucine calde si alternano a ragnatele finte, teschi decorativi e ghirlande nere. È un teatro casalingo in cui nessuno prende davvero paura, ma tutti fingono di farlo.
Tra folklore e quotidiano
Halloween parla anche agli adulti. C’è chi organizza cene a tema, chi preferisce maratone di film horror e chi semplicemente gode del silenzio interrotto solo dal suono di campanelli e risate dietro la porta. L’immaginario è pieno: streghe che volteggiano tra leggende scozzesi e cinema americano, fantasmi che sussurrano nelle fiabe, zucche che proteggono dalle ombre. Nelle città italiane, locali e piazze si animano con feste e decorazioni, tra mantelli, trucco teatrale e musica cupa. È un momento collettivo, un carnevale d’autunno dove la fantasia prende il sopravvento.
Halloween non chiede di credere ai fantasmi: invita a giocarci. È la notte in cui la paura diventa spettacolo, la casa si trasforma in rifugio scenografico e la curiosità dei più piccoli accende anche lo sguardo dei grandi.
Libri
Un documentario celebra il Cedro di Calabria: presentato il dossier sulla Citrus medica
La prima parte del progetto “Melon, Citrus, Cedro? Storia, filologia e simbolismo della Citrus medica” è disponibile sul sito ARSAC. Un percorso tra storia antica, tradizione religiosa, linguistica e memoria agricola, sostenuto dal PSR Calabria e introdotto dal giornalista Paolo Di Giannantonio. L’edizione completa arriverà per Calabria Città Edizioni – Rubbettino Editore.
 
														Il cedro non è solo un agrume: per la Calabria è simbolo, radice, materia viva di memoria collettiva. L’ARSAC – Azienda Regionale per lo Sviluppo dell’Agricoltura Calabrese – presenta la prima parte del dossier-documentario “Melon, Citrus, Cedro? Storia, filologia e simbolismo della Citrus medica”, firmato dal Dott. Gianbattista Sollazzo, riconosciuto studioso delle fonti storiche legate al cedro. Un lavoro che accompagna il lettore alle origini di un frutto millenario, ponte tra cultura mediterranea, religione e identità territoriale.
Tra ricerca storica e radici spirituali
Il progetto nasce nell’ambito delle “Azioni informative e dimostrative sul territorio regionale”, finanziate dal FEASR – Misura 1, Intervento 1.2.1 del PSR Calabria 2014/2022, con il sostegno dell’Assessore regionale all’Agricoltura, On. Gianluca Gallo, e della Direttrice Generale ARSAC, Dott.ssa Fulvia Michela Caligiuri. Il dossier ricostruisce la storia del cedro attraverso testi classici, linguistica antica e testimonianze religiose, in particolare sul legame tra il cedro-etrog e la tradizione ebraica, di cui la Riviera calabrese rappresenta un punto nevralgico riconosciuto nel mondo.
Accanto al rigore storico, la pubblicazione porta firme di rilievo. La supervisione scientifica è del Prof. Giuseppe Squillace, Ordinario di Storia Greca dell’Università della Calabria, mentre la prefazione è affidata al giornalista e volto televisivo Paolo Di Giannantonio. Un contributo decisivo arriva anche dal Rabbino Moshe Lazar e da suo figlio Menachem, che hanno autorizzato l’uso delle immagini legate alla raccolta degli etrogim per Sukkot e offerto un prezioso supporto all’inquadramento simbolico e religioso del frutto.
Verso l’edizione completa
Il lavoro fotografico è curato da Eugenio Magurno, con materiale aggiuntivo messo a disposizione dalla Dott.ssa Mery Casella (MC Social Marketing). Questa pubblicazione rappresenta solo l’inizio: seguirà infatti un’edizione integrale, edita da Calabria Città Edizioni – Rubbettino Editore, con ulteriori approfondimenti storici, filologici e antropologici.
La prima parte dell’opera è consultabile sul sito ARSAC, un invito a riscoprire il cedro non solo come prodotto agricolo, ma come simbolo profondo e identitario di una terra che continua a raccontarsi attraverso i suoi frutti e la sua storia millenaria.
Moda
Moda, il ritorno del paltò: classico, oversize o vintage, il cappotto dell’inverno si porta con personalità
Simbolo di stile e sobrietà, il cappotto lungo riconquista passerelle e armadi. Tra lana spessa, tweed o cashmere, è il capo chiave dell’autunno-inverno 2025.
 
														Il ritorno del cappotto lungo
È ufficiale: il paltò è tornato. Dopo stagioni dominate da piumini tecnici e bomber oversize, il cappotto lungo torna a dettare legge, riscoprendo l’eleganza classica. Le passerelle di Parigi e Milano l’hanno consacrato protagonista assoluto dell’inverno: tagli dritti, spalle importanti e silhouette pulite. Ma non è un ritorno nostalgico — il nuovo paltò gioca con proporzioni, tessuti e dettagli contemporanei. Il fascino è quello di un capo che non urla, ma comunica con autorevolezza.
Dalla sartoria al guardaroba urbano
Una volta simbolo di rigore, oggi il paltò si reinventa. Si porta aperto, con sneakers o stivali, su jeans o completi fluidi. La moda lo mescola al quotidiano, lo alleggerisce, lo rende democratico. I colori? Dominano i neutri — cammello, grigio, blu notte, ma anche nero e verde bosco. Per chi osa, tornano i quadri e i motivi check di ispirazione british, in perfetto equilibrio tra nostalgia e modernità.
Gli stilisti lo reinterpretano in lana cotta, tweed o cashmere double, e le versioni oversize diventano quasi una coperta urbana: rassicurante, elegante, mai banale.
Paltò per lei, paltò per lui
Nel guardaroba femminile il paltò abbraccia forme morbide, cintura in vita e collo ampio, spesso portato sopra minidress o maglioni chunky. Per l’uomo resta il grande classico — doppiopetto o monopetto, spalle strutturate e linea asciutta — ma il nuovo modo di indossarlo è più rilassato: con cappuccio sotto, dolcevita o camicia sbottonata.
È il ritorno di una certa idea di eleganza: quella che non ha bisogno di stupire, ma solo di durare.
In un’epoca di abbigliamento usa e getta, il paltò resta un manifesto di stile. Si compra una volta, si indossa per anni. Ed è proprio questo — la sua discreta, resistente bellezza — il vero lusso del presente.
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