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Spettacolo

Massimo Boldi compie 80 anni e racconta tutto: da Teocoli a De Sica, da Berlusconi alla “gno…a di Rimini”

Dallo chauffeur in San Babila alle docce nude con De Sica, passando per Pozzetto, Berlusconi e un re scambiato per cameriere: Boldi ripercorre senza filtri 80 anni di carriera e zingarate. “Non ho mai litigato con Christian, ma dopo Marisa dovevo staccare”. E sulle nuove corteggiatrici: “Sono troppo giovani, ora è esagerato”.

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    «Invecchiare è una fortuna. Vado verso un futuro sconosciuto e sono curioso», confessa Massimo Boldi alla vigilia degli 80 anni, che festeggerà il 23 luglio con una cena tra amici nella sua Milano. Lo dice sorridendo, ma senza troppi fronzoli, nella lunga intervista rilasciata a Giovanna Cavalli per il Corriere della Sera: “Mi piacerebbe riavere tutto quello che mi è stato tolto ingiustamente. Ho avuto tanto dalla vita, ma ho anche ingoiato certi rospi. E poi… certo, vorrei che Marisa fosse ancora qui”.

    Il racconto si apre con i suoi esordi: «Era il 1971, c’era l’austerity. Facevo il capofamiglia, mamma era rimasta vedova a 41 anni. Mi reinventai autista per un conte di piazza San Babila». Poi arrivò la latteria: «Cedevano un bar-trattoria in via Procaccini. Potevo servire solo latte, ma gli alcolici giravano sottobanco. Una volta entrò una ragazza bellissima. Le offrii cappuccino e brioche. Mio fratello era preoccupato: “La signorina non paga?”».

    Poi l’incontro con Pozzetto e Cochi, “per me fu come vedere la Madonna”, e l’arrivo di Teo Teocoli: «Si presentò con aria da comandante. “Ragazzi, qui comando io”. Fummo tentati di mandarlo a quel paese».

    E via con le zingarate. Come quella rimasta negli annali: «Negli anni ’80 dovevamo andare a una festa al “Paradiso” di Rimini. Nebbia fitta, notte fonda. Ci perdemmo. Vedemmo un uomo in bicicletta, nell’ombra. Gli chiedemmo: “Scusi, dov’è il Paradiso?”. E lui, senza fermarsi: “Il Paradiso è la gno…a”».

    Con Teocoli? «Bisticciavamo in camerino, per cretinate o per soldi. Ma dopo facevamo pace». A Drive In, portò Cipollino a vendere enciclopedie a Carmen Russo. “Aveva 24 anni, una bomba”. E poi Berlusconi: «Mi chiedeva sempre di fare Fidelio Cam, il mobiliere brianzolo. Rideva come un matto. Secondo me si rivedeva in lui».

    L’incontro con Christian De Sica fu magico: “Me lo presentò Luigi Canzi. Era elegante, cicciottello. Arrivò con un microfono Sennheiser, roba da ricchi. Cantò come fa ancora oggi”. E la famosa scena della doccia in Vacanze di Natale ’95? «Eravamo nudi per davvero. Tranquilli, si rideva e si scherzava. Buona la prima».

    Smentisce le voci sul litigio: «Non abbiamo mai litigato. Dopo la morte di Marisa volevo fare altro, era giusto staccarmi. Il nostro duo faceva successo, ma qualcosa non ingranava più come all’inizio». Ai giornalisti che parlano di rottura, risponde secco: “Siete voi che inventate”.

    Non manca una gaffe regale: «Ero al Ritz di Madrid. Volevo un tè, vidi un uomo in giacca bianca. “Scusi, può portarmi un tè?”. Era re Juan Carlos». In un’altra occasione, rischiò la vita sul set di Cucciolo: “Mi buttai da uno scivolo ma non so nuotare. Cominciai a bere acqua. Neri mi ha salvato prendendomi per i piedi”.

    E i soldi? «In 20 anni io e Christian abbiamo portato 30 milioni di persone al cinema. Avrei dovuto dire ai produttori: dividiamo in due». Aurelio De Laurentiis? “Mi fa ridere Max Giusti quando lo imita. Forse davvero ha un debole per me”.

    Con l’amore, però, è finita: “Ho chiuso. Perché devo trovarmi una compagna se sono io a essere in crisi? Non mi va più di corteggiare nessuno. E quelle che corteggiano me sono troppo più giovani. È esagerato. Meglio l’amicizia”.

    A ottant’anni suonati, Cipollino apre tutte le valvole. Tra risate, nostalgia e ironia, resta un campione nazionale di comicità. Anche se, a sentirlo parlare, pare ancora il batterista capellone che sognava il Derby.

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      Cinema

      Johnny Depp torna a Hollywood con Day Drinker: nuovo look e un cast stellare per il rilancio della star

      Torna sul set completamente cambiato Johnny Depp dopo il periodo difficile dei processi e delle denunce con Amber Heard

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        Dopo anni turbolenti, Johnny Depp è pronto a riprendersi il palcoscenico che gli spetta. Non si tratta solo di un nuovo film, ma di un vero e proprio ritorno nel cuore di Hollywood, con un progetto che sa di rivincita: Day Drinker. Il film, diretto da Marc Webb (già regista di The Amazing Spider-Man e Biancaneve), segna il primo grande titolo mainstream per Depp dal 2018, quando interpretò Grindelwald in Animali Fantastici: I Crimini di Grindelwald.

        E il ritorno è già sulla bocca di tutti, complici le prime immagini ufficiali rilasciate da Lionsgate. L’attore appare radicalmente trasformato: capelli lunghi sale e pepe, raccolti all’indietro con due ciocche che incorniciano il volto, barba folta grigia e occhi di un blu penetrante. In mano tiene un cocktail, lo sguardo minaccioso rivolto all’orizzonte. L’iconico Jack Sparrow è lontano anni luce: ora Depp veste i panni di un uomo misterioso, immerso in un noir che profuma di mare, inganni e redenzione.

        Negli ultimi anni l’attore ha scelto progetti più intimisti, come il dramma storico Jeanne du Barry, che ha aperto l’ultimo Festival di Cannes, e Modi, biopic dedicato a Modigliani che ha diretto e prodotto. Ma Day Drinker segna una svolta netta: è il film più commerciale e supportato da uno studio importante da quando è stato ostracizzato da gran parte dell’industria cinematografica a seguito delle vicende legali con l’ex moglie Amber Heard.

        Il film si annuncia come un thriller elegante ambientato tra gli yacht privati e le acque della costa spagnola. Depp interpreterà un uomo enigmatico il cui destino si intreccia con quello di una giovane barista (interpretata da Madelyn Cline, star emergente di Outer Banks) a bordo di un lussuoso yacht. Insieme, si ritroveranno coinvolti in uno scontro con un pericoloso criminale, interpretato da Penélope Cruz. Per Depp e Cruz si tratta della quarta collaborazione: i due hanno già condiviso il set in Blow, Pirati dei Caraibi: Oltre i confini del mare e Assassinio sull’Orient Express.

        Il cast, fresco e internazionale, include anche nomi amatissimi dal pubblico giovane. Ci saranno Manu Ríos e Arón Piper, volti noti della serie Netflix Élite, oltre a Juan Diego Botto (Los Europeos, Zorro) e Anika Boyle. Piper, in particolare, continua la sua ascesa nel cinema europeo dopo El Silencio e Il disordine che ti lasci alle spalle, mentre Ríos ha già lavorato con Pedro Almodóvar nel cortometraggio Strange Way of Life, accanto a Pedro Pascal ed Ethan Hawke.

        Le riprese sono già iniziate in Spagna, e si prevede che il film possa arrivare nelle sale entro la fine del 2025. Un progetto che promette fascino, tensione, e una nuova fase della carriera per un attore che, tra luci e ombre, non ha mai smesso di far parlare di sé.

        Se sarà un ritorno trionfale o solo una parentesi nella carriera tormentata di Depp, lo dirà il pubblico. Ma una cosa è certa: Day Drinker è molto più di un semplice film. È un messaggio, un segnale lanciato a un’industria che forse è pronta ad accoglierlo di nuovo.

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          Musica

          Britney Spears confessa: «Ho subito un danno cerebrale». E attacca l’ex marito Kevin Federline: “Vuole solo guadagnare dal mio dolore”

          Nel memoir in uscita, Federline l’accusa di violenza e abuso di droghe. Lei replica: «Mi spaventa la rabbia con cui parla di me». Una nuova guerra di parole riaccende la battaglia tra i due ex coniugi più discussi di Hollywood.

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            Britney Spears torna al centro della scena con una confessione che ha scioccato i suoi fan. In un lungo post pubblicato su Instagram, la cantante di Toxic ha rivelato di aver subito «un danno cerebrale» in seguito a un trauma vissuto negli anni più bui della sua carriera, quelli raccontati nel libro The Woman in Me.

            «Per quattro mesi non ho potuto muovermi liberamente. Il mio corpo e la mia mente non comunicavano più», scrive Britney accanto a una foto che la ritrae a cavallo. «Le mie ali sembravano spezzate. Credo di aver subito un danno cerebrale molto tempo fa, ma oggi mi sento fortunata a essere viva». Parole che descrivono un periodo di paralisi fisica e psicologica, culminato in un lento ritorno alla consapevolezza di sé.

            La popstar, oggi 43 anni, non cita esplicitamente episodi o responsabili, ma il momento scelto per la rivelazione non è casuale. Il suo ex marito Kevin Federline sta per pubblicare il memoir You Thought You Knew, nel quale promette di “raccontare la verità” sulla loro relazione. Nel libro, Federline descrive la Spears come instabile e pericolosa, accusandola di comportamenti violenti e di aver fatto uso di cocaina persino durante l’allattamento. Tra le rivelazioni più inquietanti, il racconto di una notte in cui Britney avrebbe vegliato i figli «con un coltello in mano».

            Federline sostiene di aver temuto per la sicurezza dei bambini e di aver cercato aiuto, ma la cantante non ci sta. In un messaggio pubblicato sui social, ha replicato duramente: «Kevin vuole solo guadagnare dal mio dolore. Se ami davvero qualcuno, non lo umili. Mi spaventa la rabbia con cui parla di me». Poi aggiunge: «Nessuno può immaginare quanto sia stato peggio di così».

            Britney e Kevin si erano sposati nel 2004, separandosi tre anni dopo. Dal loro matrimonio sono nati Sean Preston e Jayden James, oggi ventenni. Dopo anni di battaglie legali e la lunga vicenda della tutela che l’ha privata della libertà per oltre un decennio, la tensione tra i due non si è mai spenta.

            Il nuovo libro di Federline, in uscita questa settimana, promette di riaprire vecchie ferite e di rilanciare la saga più tormentata dello showbiz americano. Ma Britney, con la sua confessione inattesa e dolorosa, sembra voler dire una cosa soltanto: nonostante tutto, è ancora viva. E pronta a difendere la propria verità.

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              Televisione

              Il Mostro di Firenze arriva su Netflix: la serie di Stefano Sollima che divide tra fascino e disorientamento

              Dopo il passaggio a Venezia, Il Mostro approda su Netflix e spiazza: Sollima e Fasoli ricostruiscono gli albori dell’inchiesta in un’Italia contadina e patriarcale, dove il male si annida nella paura e nei silenzi. Nessun colpevole certo, solo un Paese che continua a interrogarsi.

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                Non è un true crime come gli altri. Con Il Mostro, Stefano Sollima riscrive le regole del genere portando su Netflix un racconto che non vuole scioccare, ma scavare. Quattro episodi lenti, tesi, immersi in un’Italia rurale e superstiziosa, dove la violenza non è spettacolo ma abitudine. Insieme a Leonardo Fasoli, già partner di Gomorra e Suburra, Sollima affronta la “pista sarda”, la prima e più controversa ipotesi investigativa del caso del Mostro di Firenze.

                Siamo nel 1968, tra le campagne toscane. Una coppia viene uccisa con una Beretta calibro 22: è il primo tassello di una lunga scia di sangue che durerà quasi vent’anni. La serie ricostruisce l’ambiente che circondò gli indagati di allora — Stefano e Giovanni Mele, Francesco e Salvatore Vinci — uomini segnati da povertà, religiosità primitiva e misoginia. Non ci sono detective eroi né serial killer cinematografici, ma un Paese impaurito che cerca un colpevole per non guardarsi dentro.

                Sollima rinuncia ai colpi di scena e sceglie una messa in scena asciutta, quasi documentaria. La macchina da presa osserva, non giudica. I delitti avvengono fuori campo, mentre la tensione cresce nei silenzi, nei volti segnati, nei dialoghi sospesi. La Toscana contadina diventa un microcosmo di sospetto e superstizione: un luogo dove il patriarcato è norma e la violenza domestica, più che reato, consuetudine.

                Il rigore storico è garantito dal consulente Francesco Cappelletti: fascicoli giudiziari, dialetti, costumi e perfino le divise d’epoca vengono riprodotti con precisione maniacale. Ma la fedeltà ai fatti è solo il punto di partenza. Sollima costruisce un racconto che è anche una riflessione sulla natura del male e sulla fragilità delle verità processuali. Ogni episodio offre un nuovo punto di vista, e ogni certezza si dissolve.

                «Il mostro potrebbe essere chiunque», ha dichiarato il regista. E in effetti la serie non cerca un colpevole, ma un senso. Il finale lascia aperta la porta a una seconda stagione: un’inquadratura fugace mostra Pietro Pacciani, preludio alla fase più nota del caso.

                L’operazione divide. I critici esaltano la fotografia livida e la scrittura densa; parte del pubblico fatica ad accettare il ritmo ipnotico e l’assenza di emozioni forti. Ma Il Mostro non vuole intrattenere: vuole inquietare. E ci riesce, trasformando un fatto di cronaca in una parabola sul bisogno collettivo di trovare un colpevole — anche quando il vero mostro, forse, è lo sguardo con cui continuiamo a cercarlo.

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