Cronaca
Fondi spariti nel nulla: il produttore del killer di Villa Pamphili incassa 4 milioni di euro per zero film. E il Ministero tace
Otto fondi selettivi, cinque tax credit, progetti mai arrivati in sala. Sullo sfondo, l’ombra dell’ex direttore generale cinema Nicola Borrelli e una domanda che brucia: chi proteggeva Perotti?

Milioni di euro, nessun film. È il caso Coevolutions Srl, la società di Marco Perotti, produttore di Stelle della notte, il film collegato al nome di Rexal Ford, nome d’arte di Francis Kaufmann indicato come il killer di Villa Pamphili. Tra il 2022 e il 2024, Perotti avrebbe incassato oltre 4,2 milioni di euro in fondi pubblici tra otto contributi selettivi e cinque tax credit. Il risultato? Neanche un fotogramma distribuito.
I fondi selettivi non sono bonus automatici: li assegna un comitato del Ministero della Cultura per premiare opere di “alto valore artistico”. In teoria, servono a far nascere film veri. In pratica, i progetti di Perotti – da Bagamoyo – Lascia il tuo cuore a Arturo in Love, da Making Money a RS-33 – non sono mai arrivati né in sala né in TV. Per la maggior parte non risulta nemmeno un giorno di riprese certificato.
Eppure i soldi pubblici sarebbero arrivati puntuali, fino a sfiorare i 4 milioni e 240mila euro. L’unico titolo completato dalla Coevolutions resta il documentario Regine di quadri, che però non rientra nei contributi selettivi.
Chi conosce il settore fatica a spiegare la vicenda: «Un produttore senza curriculum rilevante che ottiene fondi di questo livello è un’anomalia enorme» sussurra un consulente esperto di tax credit.
Sul caso aleggia l’ombra di Nicola Borrelli, fino a poco fa potente Direttore Generale Cinema. Lo stesso che, nel luglio 2025, ha revocato 66 milioni di euro di crediti d’imposta ad altre produzioni, provocando fallimenti, licenziamenti e cause legali per le tante produzioni che si sono viste togliere finanziamenti già stanziati. A tal proposito si parlò di “pulizia”, ma oggi c’è chi si chiede se non fosse anche un diversivo utile a coprire altro. Film fantasma finanziati e mai usciti?
Il punto è uno: mentre produttori veri si vedevano cancellare finanziamenti e vengono spinti verso il tracollo, un soggetto senza esperienza avrebbe incassato milioni senza consegnare nulla. Neppure un fotogramma. Nessun festival, nessuna distribuzione, nessuna trasparenza.
Il Ministero per ora tace, ma le domande restano: chi ha firmato quei decreti? Chi ha garantito la credibilità di Perotti? E soprattutto, dov’è finito il denaro di un cinema che, ad oggi, esiste solo sulla carta?
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Italia
Il ponte sullo Stretto, tra record e promesse: «120 mila posti, alta velocità e un’Italia più vicina»
Salvini lo presenta come un acceleratore di sviluppo: lavoro, logistica, turismo e difesa. C’è già un cronoprogramma per partire entro l’autunno e completare tra il 2032 e il 2033.

Non più un sogno o un annuncio da campagna elettorale, ma – almeno per il governo – un progetto pronto a entrare nella fase operativa. Il ponte sullo Stretto di Messina, con una campata unica da 3.300 metri, destinata a essere la più lunga del mondo, viene presentato come la chiave per trasformare il volto del Sud e ridisegnare le rotte dei trasporti nazionali ed europei.
I numeri sbandierati dall’esecutivo sono imponenti: 120 mila unità lavoro l’anno, 36.700 posti stabili, un contributo al Pil di 23,1 miliardi di euro e 10,3 miliardi di entrate fiscali solo nella fase di cantiere. Salvini lo definisce «un punto di partenza, non di arrivo» e ribadisce che «sarà parte della soluzione ai problemi del Mezzogiorno», con benefici che andranno ben oltre Sicilia e Calabria.
L’infrastruttura, infatti, si inserisce in un piano più ampio che comprende 40 chilometri di raccordi stradali e ferroviari, in gran parte in galleria, per collegare il ponte alle principali autostrade e linee ferroviarie ad alta capacità. Il progetto prevede anche una “metropolitana dello Stretto” con tre fermate sul fronte messinese, pensata per studenti, pendolari e turisti.
L’impatto dell’opera, però, non si misurerà solo sul territorio. La prima regione per numero di imprese coinvolte sarà la Lombardia, seguita da Veneto, Emilia-Romagna e Lazio. Sul fronte occupazionale e formativo il baricentro resterà al Sud, con investimenti paralleli su infrastrutture idriche e mobilità locale che, promette Salvini, «valgono il doppio del costo del ponte».
Il cronoprogramma è serrato: dopo la bollinatura della Corte dei Conti, l’obiettivo è far partire i cantieri tra settembre e ottobre. L’attraversamento, secondo le previsioni, sarà possibile tra il 2032 e il 2033, un biennio che il ministro definisce «simbolico», immaginando un’Italia capace di completare in quegli anni più grandi opere contemporaneamente.
Oltre agli aspetti economici, il ponte riveste un ruolo strategico anche nella pianificazione europea dei trasporti. Completare il corridoio Helsinki-Palermo significherebbe dare senso all’alta velocità in Sicilia, oggi limitata da ferrovie lente e inaffidabili. E, in tempi di instabilità internazionale, un’infrastruttura di questo tipo viene valutata anche per la sua capacità di spostare rapidamente mezzi e truppe, rafforzando il ruolo strategico della Sicilia nel Mediterraneo e nella rete Nato.
Non è la prima volta che il ponte entra nell’agenda politica. Dal progetto di Ferdinando II di Borbone nel 1840 ai tentativi post-unitari, fino ai piani bloccati dal terremoto del 1908, la storia dello Stretto è costellata di rinvii e occasioni mancate. Per decenni è stato il simbolo dell’immobilismo italiano: un’opera di cui si è discusso per generazioni senza posare una sola pietra.
Oggi, però, le tecnologie ingegneristiche rendono possibili costruzioni in aree sismiche e ventose, come dimostrano esempi in Giappone, California e Cina. Sistemi antisismici di nuova generazione, monitoraggi digitali e materiali innovativi promettono di trasformare in realtà ciò che un tempo era considerato un azzardo.
Per il governo, il ponte sullo Stretto non è solo un’infrastruttura: è un banco di prova per dimostrare che l’Italia può ancora concepire e realizzare grandi opere, con l’ambizione di lasciare un segno tangibile per le generazioni future.
Mondo
Ci mancava pure Superman in aiuto di Trump. La Casa Bianca è un cinema e l’attore Dean Cain si arruola nell’ICE
Dean Cain, l’attore diventato famoso per aver interpretato Superman in tv, ha annunciato a Fox News di aver aderito all’agenzia ICE, braccio operativo della politica anti-immigrazione di Donald Trump. “Questo Paese è stato costruito da patrioti. Presterò giuramento al più presto”. L’America trumpiana, tra cinema e propaganda, arruola anche i supereroi.

Altro che finzione: Superman ora combatte davvero. Ma non contro Lex Luthor. Dean Cain, 59 anni, il volto che negli anni ’90 fece sognare milioni di telespettatori nei panni dell’Uomo d’Acciaio nella serie Lois & Clark, ha deciso di scendere in campo al fianco di Donald Trump — e non in un set. Lo ha annunciato lui stesso a Fox News: “Mi unirò all’ICE. Presterò giuramento come agente, il prima possibile”.

L’ICE è l’Immigration and Customs Enforcement, la discussa e famigerata agenzia federale che gestisce i controlli sull’immigrazione negli Stati Uniti, divenuta emblema della linea dura di Donald Trump. E proprio mentre l’amministrazione repubblicana riceve 75 miliardi di dollari extra per rafforzare il programma, Cain sceglie di passare dal mantello al distintivo.
“Questo Paese è stato costruito sui patrioti che si sono fatti avanti, che fossero popolari o meno, e che hanno fatto la cosa giusta”, ha dichiarato con piglio da eroe. “Credo davvero che questa sia la cosa giusta”. L’ex attore ha raccontato di aver maturato la decisione dopo aver condiviso un video di reclutamento dell’ICE su Instagram. Da lì, il passo verso l’arruolamento vero e proprio.

L’annuncio ha ovviamente fatto scalpore: da eroe televisivo – sebbene nel dimenticatoio da anni – a simbolo del rigore trumpiano in materia di immigrazione. Un passaggio che fotografa bene l’aria che tira in un’America sempre più divisa. Non è solo una questione di legge, ma di narrativa. E stavolta a scrivere il copione è la Casa Bianca.
Cain, che sostiene pubblicamente Trump, non è nuovo a dichiarazioni forti. Ma stavolta è andato oltre. In un Paese dove i simboli contano più delle leggi, il volto di Superman che entra nell’ICE vale più di mille conferenze stampa. La propaganda, d’altronde, ha bisogno di eroi. Anche finti.
Mistero
Il tormentone di William Shakespeare. Chi era davvero?
Chi era veramente William Shakespeare? Ce lo siamo chiesti milioni di volte e in epoche diverse.

E’ un vero e proprio tormentone di livello cosmico e ormai secolare: chi era veramente William Shakespeare? Ce lo siamo chiesti milioni di volte e in epoche diverse. Rispetto al già detto e al già scritto ora arriva una comparazione di 59 antichi manoscritti che dicono che…
Shakespeare era il Duca di Oxford
Secondo le nuove ricerche il poeta sarebbe stato il Duca di Oxford. Il nuovo studio che sancisce una nuova verità sull’autore è stato condotto da Roger Stritmatter professore della Coppin State University di Baltimora (Usa). Naturalmente l’indagine per essere accettata dal mondo accademico è stata pubblicata su una rivista: Critical Survey. Nell’articolo viene spiegato che attraverso la radiografia e interpretazione dei manoscritti, è stato possibile comparare la scrittura di Shakespeare con quella del nobile, Duca di Oxford.
Povero Shakespeare dopo quattro secoli non sappiamo ancora chi è
Shakespeare sarebbe stato lo pseudonimo di una donna, che in quanto tale non poteva scrivere opere teatrali, o ancora che l’autore fosse siciliano e non inglese. L’alone di mistero intorno alla sua figura non ci abbandona. 400 anni dopo la sua morte fa ancora domandare a tanti quale fosse la sua reale identità. L’autore di Romeo e Giulietta e dell’Amleto era uno pseudonimo? Centinaia di ipotesi sciorinate nel corso dei secoli non sono ancora mai riusciti a risolvere l’enigma. Sempre che di enigma si tratti.
La nuova scoperta
La prima volta che seriamente qualcuno ha messo in discussione con dati alla mano la vera identità del poeta risale nientemeno che al 1598. Questo grazie al libro Palladis Tamia, Wits Treasury, un testo pubblicato dal teologo Francis Meres. Secondo Stritmatter nel suo testo Meres sostiene che Shakespeare era lo pseudonimo di Edward de Vere, 17esimo conte di Oxford. Capitolo chiuso? Neanche per sogno.

Stritmatter osserva che nel suo libro Meres ha cofrontato otto scrittori greci, con otto scrittori latini e otto scrittori inglesi. Meres cita Shakespeare nove volte, lodandolo come poeta e drammaturgo ed elencando dodici delle sue opere. Alcuni sembrano asimmetrici mentre altri nascondono una simmetria. Tra questi appare come la scrittura del fantomatico Conte di Oxford riesca a essere allineata con quella di Shakespeare. Ma ci sono ancora dei ma…
Le parole all’esperta
A commentare la scoperta di Stritmatter è stata la studiosa Ros Barber, che da anni insegna studi shakespeariani alla Goldsmiths University di Londra, che dopo un attimo di scetticismo e perplessità alla fine delle sue indagini avalla la ricerca del professore americano.
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