Cose dell'altro mondo
Alassio, la spiaggia più cara d’Italia: ombrellone a 345 euro e solo il 20% di arenile libero
Altroconsumo incorona Alassio come località balneare più costosa d’Italia: 345 euro per la prima fila e appena il 20% di arenile libero, contro il 40% previsto. Adiconsum e Legambiente denunciano l’ennesima vittoria della lobby dei balneari a danno dei cittadini.

Dal “budello” di boutique e gelaterie al mare ci sono solo pochi metri, ma ad Alassio ogni passo verso la battigia pesa come oro. La città simbolo della riviera di Ponente, celebre per Miss Muretto e i suoi aperitivi sul muretto, oggi si distingue soprattutto per un primato poco invidiabile: la spiaggia privata più cara d’Italia. Secondo Altroconsumo, una settimana in prima fila con ombrellone e due lettini arriva a costare 345 euro, mentre le prime quattro file non scendono sotto i 340 euro. Un lusso che, in alcuni casi, include appena una sedia e, molto raramente, una cabina.
Il problema non è solo il portafoglio. La legge regionale impone ai Comuni liguri di garantire almeno il 40% di arenile libero, ma ad Alassio la quota reale è la metà: appena il 20%, in gran parte frammentato in piccole lingue di sabbia. E spesso si tratta di “libere attrezzate”, una definizione che maschera vere e proprie privatizzazioni, come denuncia da anni Stefano Salvetti di Mare Libero e referente nazionale spiagge di Adiconsum: «In Liguria si è fatto di tutto per favorire la lobby dei balneari. Prima permettendo di trasformare le spiagge libere in simil-stabilimenti, poi con emendamenti regionali che consentono di aggirare il vincolo del 40%».
Anche Legambiente punta il dito contro quella che definisce «la truffa della mappatura»: nel conteggio ufficiale delle spiagge libere, compaiono addirittura tratti di costa alle foci di fiumi e torrenti, come a Deiva e Finale Ligure, considerati formalmente fruibili ma di fatto inutilizzabili.
La storia si ripete ogni estate. La mareggiata del 2018 ridusse molti stabilimenti a una sola fila di ombrelloni, ma con il ritorno del mare calmo i guadagni sono tornati a correre. Nel frattempo, il lungomare resta invisibile, nascosto da un muro continuo di cabine e palizzate di legno. E per i turisti, tra piemontesi e lombardi che affollano B&B e seconde case, il vero panorama resta la ricevuta del bancomat: la più salata d’Italia.
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Cose dell'altro mondo
“Non vuoi più il tuo animale domestico? Lo daremo in pasto alle tigri”: lo choc dallo zoo di Aalborg
La campagna, presentata come “naturale ed ecologica”, consente ai cittadini di disfarsi degli animali domestici non più desiderati, che vengono abbattuti e dati in pasto a tigri, leoni e linci. L’ombra della macabra strategia di marketing.

Chi non vuole più il proprio animale domestico può portarlo allo zoo di Aalborg, nel nord della Danimarca. Qui non verrà affidato a un rifugio né proposto per l’adozione: sarà abbattuto e dato in pasto ai predatori. È il messaggio choc della campagna lanciata sui social dallo zoo. Accompagnata da foto e inviti dal tono freddo e burocratico, che hanno scatenato un’ondata di polemiche in tutta Europa.
Il regolamento della struttura è chiaro – e spietato: si accettano conigli, galline, porcellini d’India, e persino cavalli. Purché al di sotto dei 147 centimetri al garrese, in buona salute e accompagnati dai documenti previsti. Gli animali devono essere consegnati vivi, per poi essere soppressi dal personale veterinario e trasformati in pasti “naturali” per tigri, leoni, linci e orsi polari.
La campagna parla di “imitazione della catena alimentare naturale” e di rispetto del benessere dei predatori, che in cattività ricevono di solito carne già porzionata. Per i grandi carnivori, spiegano i responsabili, le carcasse intere – con pelo, ossa e organi – stimolano comportamenti più vicini alla vita selvatica. Ma dietro la facciata ecologica, emergono dubbi etici ed economici. Ogni predatore consuma circa 20 chili di carne a settimana, e la riduzione dei costi alimentari è evidente.
I numeri del 2025 parlano da soli: 137 conigli, 53 galline, 22 cavalli, 18 porcellini d’India e persino 12 merluzzi sono già finiti nei recinti dei carnivori. L’anno precedente, il 25% del budget alimentare dello zoo era stato speso per mantenere le due elefantesse Tanja e Mai. La prima è stata soppressa per malattia, la seconda “per evitare il trauma di un trasferimento”. Con la loro scomparsa, ha ammesso il direttore Henrik Vesterskov Johansen, il bilancio si alleggerisce di 670.000 corone, circa 80 mila euro.
Sui social, la reazione è stata immediata e feroce. Molti parlano di campagna “macabra e disumana”, accusando lo zoo di trasformare gli animali domestici in “materiale organico per foraggiare le tigri”. Altri, minoritari, apprezzano l’idea come “riciclo utile”, sostenendo che il corpo di un animale possa almeno servire dopo la morte.
A far discutere è anche il linguaggio volutamente vago della campagna: non si citano mai cani e gatti, ma nemmeno si esclude apertamente la possibilità di accettarli. In un periodo come quello estivo, in cui gli abbandoni di animali raggiungono il picco, il messaggio suona come un invito implicito a liberarsene senza rischiare sanzioni.
Oltre al clamore etico, resta aperta la questione di fondo: fino a che punto la necessità di gestire i costi e il benessere dei predatori giustifica una simile pratica? E, soprattutto, quanto siamo disposti a separare affetto e utilità, trasformando in un attimo il nostro animale da compagnia in carne da macello davanti agli occhi di una tigre in cattività.
Cose dell'altro mondo
Toglieteci tutto tranne la vacanza: coppia lascia il figlio di 10 anni all’aeroporto di Barcellona
I genitori, pronti per il volo, hanno preferito non rinunciare alle ferie e hanno mollato il figlio al terminal. La polizia li ha fermati poco dopo, prima del decollo, tra l’incredulità dei passeggeri e dello staff aeroportuale.

Per loro la vacanza era sacra. Così, quando al check-in dell’aeroporto di Barcellona El Prat hanno scoperto che il passaporto del figlio di dieci anni era scaduto, non si sono fatti troppi scrupoli: valigia in mano e imbarco confermato, lasciando il piccolo da solo al terminal. Al bambino, spaesato ma obbediente, è stato promesso che un parente sarebbe arrivato a prenderlo a breve.
Il “piano”, però, è durato lo spazio di pochi minuti. Il personale aeroportuale, insospettito dalla presenza del minore senza adulti, ha subito allertato la polizia. Quando gli agenti hanno ascoltato il racconto del bambino — «i miei genitori sono partiti, arriverà uno zio» — hanno immediatamente avviato le ricerche dei due turisti senza scrupoli.
I genitori, già seduti a bordo del loro volo pronto al decollo, sono stati fatti scendere dall’aereo tra lo sguardo basito degli altri passeggeri. Condotti in centrale, hanno dovuto spiegare perché avessero deciso di abbandonare il figlio pur di non perdere la vacanza.
Il caso ha fatto il giro dei social spagnoli dopo che la coordinatrice dei controllori di volo, Lilian, ha raccontato l’episodio su TikTok. Nei commenti, indignazione e ironia si sono mescolate: c’è chi parla di “genitori irresponsabili” e chi, con sarcasmo, li definisce “turisti modello che non rinunciano mai al viaggio”.
Ora per la coppia, oltre alla figuraccia internazionale, potrebbe arrivare anche un’inchiesta per abbandono di minore. Una cosa è certa: la loro vacanza da sogno è finita prima ancora di cominciare.
Cose dell'altro mondo
Scontrino da mille euro per la colazione a Disneyland: “Se trovo quel topo lo rapino”, il papà ironizza sul conto stellare per mangiare con le principesse
Succede in California, nel magico mondo di Disneyland: un padre pubblica sui social lo scontrino da capogiro per una colazione speciale con principesse, tre portate e attività a tema. “Esperienza indimenticabile”, dice. Ma solo dopo essersi ripreso dallo shock del conto.

Si sa: un genitore farebbe di tutto per far felici i propri figli. Anche portarli a fare colazione con Belle e Cenerentola, nel cuore incantato di Disneyland. Ma a volte il prezzo della felicità infantile può lasciare… l’amaro in bocca. È il caso di John Tolkien, padre americano che ha deciso di regalare alla famiglia una colazione fiabesca al Disney Grand Californian Hotel. Tutto molto magico, fino al momento del conto.
Lo scontrino? 938 dollari, più una mancia da 150. Totale: 1.088 dollari. Circa mille euro per tre adulti, due bambini, tre portate e un Bloody Mary di troppo. Il commento del papà su X (ex Twitter) è diventato virale: «Ho quasi sputato il caffè. Se trovo quel maledetto topo, giuro che lo rapino». Topo ovviamente inteso come Mickey Mouse, che da oggi ha probabilmente un nuovo soprannome: il “ladro del mattino”.
Il pacchetto, in effetti, non è una semplice colazione: è una vera e propria “esperienza” immersiva nel mondo Disney, con principesse che leggono fiabe ai piccoli, piatti raffinati e ambientazioni curate nei minimi dettagli. L’offerta parte con antipasti gourmet (panini all’astice, bignè e simili), prosegue con piatti principali differenziati tra adulti e bambini (dai mac & cheese al tartufo per i grandi ai waffle a forma di Topolino per i più piccoli) e si chiude con dessert da favola.
Il prezzo? Altissimo, ma secondo Tolkien ne è valsa la pena. «I bambini si sono divertiti un mondo – racconta – ma hanno imparato qualche parola nuova quando ho visto il conto». Una battuta che, tra like e condivisioni, ha acceso il dibattito: è giusto pagare cifre del genere per un’esperienza così? Oppure la magia ha un prezzo che solo i genitori possono davvero capire?
In ogni caso, i sorrisi dei bambini sembrano aver compensato il salasso. Ma il caffè, quello, magari la prossima volta sarà meglio berlo prima di chiedere il conto.
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