Cinema
Gabriel Garko: “Ho cambiato nome all’anagrafe. Ho sacrificato l’amore per la carriera”
Un racconto intimo, tra rivelazioni e bilanci di vita. Gabriel Garko ha inaugurato la nuova stagione del programma Rai “Da Noi… A Ruota Libera” aprendo il cuore a Francesca Fialdini. L’attore, 52 anni, ha parlato della sua carriera, dei sacrifici fatti in nome del lavoro e di un cambiamento radicale: la decisione, presa anni fa, di modificare ufficialmente il proprio nome.

Il cambio di identità all’anagrafe
Pochi sapevano che il Gabriel Garko conosciuto dal grande pubblico non fosse solo un nome d’arte. In realtà, l’attore è nato come Dario Oliviero, ma nel corso della sua carriera ha scelto di legalizzare la sua identità artistica. «Ho cambiato nome all’anagrafe – ha raccontato – per praticità: firmare contratti, prenotare biglietti aerei, gestire documenti era diventato complicato. Così ho deciso che sarei stato Gabriel Garko anche sulla carta d’identità».
La rivelazione ai genitori arrivò in un momento speciale: «Lo scoprirono durante il Festival di Sanremo del 2016. Non gliel’avevo detto prima. Non è stato semplice, ma era una decisione che sentivo necessaria».
Gli infortuni a “Ballando con le Stelle”
Tra i momenti più significativi della sua carriera recente, Garko ha ricordato l’esperienza a Ballando con le Stelle nel 2022, quando gareggiò in coppia con la ballerina Giada Lini. «Dopo gli infortuni ho rischiato di fermarmi – ha spiegato – ma lei è stata fondamentale per aiutarmi a non mollare. Ballare è stata una terapia: ho imparato a conoscere il mio corpo e a convivere con i limiti che gli incidenti mi hanno imposto. Dopo l’operazione, il pubblico ha visto la mia fragilità ma anche la determinazione a tornare in pista».
L’attore ha poi voluto lasciare un messaggio alla conduttrice, che presto affronterà la stessa avventura televisiva: «Adesso tocca a te, divertiti e non avere paura di mostrarti».
Le rinunce dietro il successo
Oltre ai momenti luminosi, Garko non ha nascosto il prezzo pagato per la sua carriera. «Sapevo che il successo avrebbe avuto un costo – ha confessato –. Ho sacrificato molto della mia vita privata, soprattutto quella sentimentale. Ero prigioniero di un ruolo che il pubblico aveva cucito addosso a me. Per anni ho vissuto la mia carriera come un semplice lavoro, senza rendermi conto dell’impatto che aveva sulla mia esistenza».
Nonostante tutto, non mostra rimpianti: «Lo rifarei. Quelle scelte mi hanno permesso di diventare chi sono oggi. Ma oggi so anche che è importante non rinunciare a se stessi».
Un nuovo capitolo
Le parole di Garko, tra sincerità e consapevolezza, tracciano il profilo di un artista che ha imparato a fare i conti con i suoi limiti e con le sue fragilità. Oggi l’attore sembra vivere un momento di rinnovata serenità: «Il lavoro non è più una gabbia. Ora vedo la mia carriera come parte della mia vita, non il contrario».
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Cinema
Sylvester Stallone boccia il cinema impegnato: «Odio i film che vogliono insegnare qualcosa, la nostra anima ha bisogno di puro intrattenimento»
Alla vigilia della terza stagione di Tulsa King, Sly si racconta: dal culto della mitologia al disprezzo per i film “a tesi”. «Non inseguo correnti, provo piacere nel portare lo spettatore a godersi gioia, dolore e mistero».

Per Sylvester Stallone il cinema non deve fare il predicozzo. A 79 anni, con alle spalle una carriera di successi epocali, l’attore torna a colpire duro: «Odio quel tipo di cinema che cerca di trasmettere un messaggio. Non dobbiamo per forza imparare qualcosa. La nostra anima ha bisogno di gioia, tristezza, mistero e, soprattutto, sperimentazione».
Una dichiarazione che riporta l’orologio indietro, agli anni in cui Rocky Balboa e John Rambo diventavano simboli planetari. «Il cinema non fa che creare nuovi eroi – dice Sly –. Se Rambo fosse esistito duemila anni fa sarebbe stato il più famoso tra gli dei greci, un Achille moderno». Stessa cosa per Rocky: «Alla fine del sesto capitolo lo spettatore capisce che non era mai esistito davvero, era frutto della sua immaginazione. È stato il mio saluto a chi mi ha seguito per una vita».
Il mito e l’azione, insomma, restano le sue coordinate. «Ho scritto Rocky in tre giorni, dopo aver visto Ali contro Wepner. Avevo cento dollari in tasca, mia moglie incinta, la fame alla porta. Non cercavo di dare lezioni, ma di raccontare una storia che facesse battere il cuore».
E così oggi, con Tulsa King in arrivo su Paramount+, Stallone continua a muoversi su quel terreno. Dwight Manfredi, il boss che interpreta, è un perdente con cui il pubblico può identificarsi: «È una liberazione, finalmente un personaggio che sono io in tutto e per tutto. Non il Rambo cupo e monosillabico, ma un uomo che sbaglia e riparte».
Niente parabole morali, quindi, ma emozioni pure. «Il messaggio non è la mia specialità – ribadisce Sly –. Io voglio che lo spettatore abbia un biglietto di sola andata per un viaggio. Guerre stellari, Indiana Jones, Rambo: quello è cinema. Il resto è bombardamento intellettuale».
Una filosofia che farà storcere il naso ai cinefili più seriosi, ma che spiega perché Stallone resti ancora oggi una leggenda: per lui il cinema è sudore, sangue e mito. E guai a trasformarlo in una predica travestita da film.
Cinema
Paura sul set di Spider-Man: Tom Holland finisce in ospedale dopo una caduta, riprese sospese e data di uscita a rischio
Tom Holland ha riportato una frattura alla testa durante una scena acrobatica ai Leavesden Studios. Le riprese di Spider-Man: Brand New Day resteranno ferme per settimane: in forse anche il calendario di uscita fissato al luglio 2026.

Brutto incidente per Tom Holland, l’uomo ragno più amato degli ultimi anni. L’attore britannico è rimasto vittima di una caduta durante una scena particolarmente complessa sul set di Spider-Man: Brand New Day, quarto capitolo della saga Marvel. L’infortunio si è rivelato serio: frattura alla testa e commozione cerebrale. L’attore, 29 anni, è stato soccorso sul posto e trasportato d’urgenza in ospedale dall’East of England Ambulance Service.
Secondo quanto riportato dal The Sun, i soccorsi sono arrivati intorno alle 10.30 di venerdì, subito dopo la caduta avvenuta ai Leavesden Studios di Watford, quartier generale di molte grandi produzioni internazionali. «Un’ambulanza è stata inviata sul posto e il paziente è stato portato in ospedale per ulteriori cure», ha confermato un portavoce del servizio di emergenza.
Il padre dell’attore, Dominic Holland, presente a una cena di beneficenza a MayFair, ha spiegato che il figlio dovrà fermarsi per un periodo: «Tom resterà lontano dal set finché non sarà completamente ristabilito». Alla stessa serata aveva preso parte anche Zendaya, partner nella vita e sullo schermo, con cui l’attore ha lasciato l’evento in anticipo perché non si sentiva bene.
La produzione del film ha sospeso immediatamente le riprese e il set resterà chiuso per settimane. La data di uscita, fissata al 31 luglio 2026, potrebbe quindi slittare di nuovo. Uno stop che avrà ripercussioni anche su The Odyssey, l’ambizioso progetto di Christopher Nolan tratto dal poema di Omero, che vede Holland protagonista.
Zendaya tornerà nei panni di M.J., mentre tra i nuovi ingressi circola il nome di Sadie Sink, star di Stranger Things. E proprio sui social Holland aveva acceso l’entusiasmo dei fan mostrando un video del nuovo costume dell’Uomo Ragno. Migliaia i commenti: c’è chi lo ha definito «finalmente perfetto» e chi invece ha storto il naso per il ragno troppo basso sul petto.
Ora, però, l’attenzione è tutta sulla salute di Tom. Perché senza il suo Spider-Man, la tela del nuovo film rischia di spezzarsi prima ancora di arrivare al pubblico.
Cinema
Angelina Jolie contro l’America che non riconosce più: «Limitare le libertà personali è pericoloso»
Dalla difesa della libertà di espressione alle critiche alla società americana, Angelina Jolie alza la voce: «Non riconosco più il mio Paese. È pericoloso quando il potere decide chi può parlare e chi no».

Angelina Jolie non è mai stata una che le manda a dire. Stavolta, dal palco del Festival di San Sebastián, ha scelto di parlare non di cinema, ma del suo Paese. E lo ha fatto con parole nette: «Non riconosco più l’America. Ogni volta che qualcosa divide, limita le espressioni personali o le libertà di chiunque, penso sia molto pericoloso».
Il riferimento diretto è al caso che ha travolto Jimmy Kimmel, sospeso da Abc dopo le frasi pronunciate in diretta sulla morte dell’attivista conservatore Charlie Kirk. Un episodio che negli Stati Uniti ha riaperto il dibattito sulla libertà di parola, tra chi invoca maggiore responsabilità dei media e chi, come Jolie, vede in queste misure il segnale di una deriva autoritaria.
«Questi sono tempi così seri che dobbiamo stare attenti a non dire le cose con superficialità», ha aggiunto l’attrice, visibilmente scossa. «Viviamo insieme tempi molto, molto pesanti». Dichiarazioni che arrivano da una voce che, negli anni, si è spesa non solo nel cinema, ma anche come ambasciatrice Onu e attivista in prima linea per i diritti umani.
Non è la prima volta che Angelina prende posizione contro quello che considera un restringimento degli spazi di libertà. Già in passato aveva denunciato le politiche migratorie americane, le disuguaglianze di genere, la crescente polarizzazione che rischia di trasformare il dibattito pubblico in una guerra senza regole. Ora la sua denuncia è ancora più amara: «Non riconosco più il mio Paese».
Il pubblico di San Sebastián l’ha accolta con un lungo applauso, trasformando l’incontro in una presa di posizione collettiva. In un momento in cui Hollywood stessa è attraversata da divisioni e censure, la sua voce pesa come un monito: il cinema può ancora raccontare storie, ma la libertà di raccontarle non è più scontata.
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