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Polvere di Nila, il segreto blu del Marocco che conquista la skincare moderna

Dai rituali berberi alle tendenze di TikTok: l’antico rimedio naturale torna protagonista nella beauty routine
Un ingrediente tradizionale della cultura marocchina si trasforma in must-have globale: la polvere Nila promette luminosità, delicatezza e un incarnato radioso.

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Polvere di Nila
Polvere di Nila, il segreto blu del Marocco che conquista la skincare moderna

    C’è un nuovo protagonista nella skincare che arriva dal passato: la polvere di Nila, un ingrediente blu intenso, estratto dalla pianta dell’indaco, utilizzato da secoli dalle donne marocchine e berbere nei rituali di bellezza. Oggi, complici i social network, questo rimedio antico torna in auge, conquistando beauty influencer e appassionate di cosmesi naturale.

    Basta scorrere TikTok o Instagram per imbattersi in video-tutorial e recensioni: digitando gli hashtag #nila e #nilapowder si contano ormai oltre 20 milioni di visualizzazioni, segno di un fenomeno che ha superato i confini del Nord Africa per imporsi come trend globale. Un passaggio, quello dalla tradizione alle piattaforme digitali, che dimostra ancora una volta come antichi saperi possano essere riscoperti e reinventati in chiave contemporanea.

    Un ingrediente antico, simbolo di purezza

    La Nila, oltre a essere impiegata da secoli per colorare tessuti e abiti, era associata nei villaggi marocchini a rituali di purificazione e freschezza. Il colore blu, considerato protettivo e spirituale, diventava così anche una cura per la pelle: un trattamento che univa benessere estetico e valore simbolico.

    Oggi questa polvere viene rivalutata in cosmetica per le sue proprietà lenitive e illuminanti. Usata in maschere o detergenti viso, è in grado di uniformare l’incarnato e ridurre i rossori. Non solo: la sua azione purificante delicata la rende adatta anche alle pelli sensibili, rispettando la barriera cutanea.

    I benefici per la pelle

    Gli esperti di cosmesi naturale sottolineano come la polvere Nila non sia un ingrediente miracoloso, ma un valido alleato per migliorare l’aspetto della pelle:

    • Illumina il viso, donando un effetto glow naturale;
    • Uniforma il tono della pelle, attenuando discromie leggere;
    • Lenisce arrossamenti e irritazioni;
    • Purifica in modo delicato, senza aggredire la cute.

    È proprio questo mix a renderla un prodotto versatile, che piace a chi cerca soluzioni naturali e facili da inserire nella routine quotidiana.

    Come si utilizza

    Il metodo più diffuso è la preparazione di maschere fai-da-te: basta mescolare la polvere con acqua di rose, yogurt o argilla bianca e lasciarla agire per circa 15 minuti sul viso. Alcune la aggiungono a detergenti o scrub delicati per potenziarne l’effetto, mentre nei rituali tradizionali viene sciolta anche nell’acqua del bagno per un momento di relax e benessere a tutto il corpo.

    In ogni caso, trattandosi di un ingrediente naturale, è sempre consigliabile fare un test su una piccola area della pelle prima di utilizzarla regolarmente, per escludere reazioni allergiche.

    Tradizione e modernità

    La rinascita della polvere Nila testimonia il crescente interesse per prodotti che uniscono autenticità, naturalità e sostenibilità. Se un tempo era un segreto custodito e tramandato di madre in figlia, oggi diventa un trend beauty globale, capace di parlare alle nuove generazioni alla ricerca di riti semplici ma efficaci.

    In fondo, ciò che affascina della Nila è proprio questa doppia anima: un ingrediente che porta con sé la memoria dei gesti antichi e allo stesso tempo si reinventa in chiave moderna, tra video virali e tutorial di skincare. Un piccolo tesoro blu che racconta, ancora una volta, come la bellezza non conosca confini né tempo.

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      Benessere

      Quando “non digerisco bene” non è solo un modo di dire: capire e risolvere la dispepsia

      Pesantezza, gonfiore, bruciore o nausea dopo i pasti: i disturbi digestivi sono tra i più comuni, ma spesso sottovalutati. Dietro una “digestione difficile” possono nascondersi cattive abitudini, stress o patologie come gastrite e reflusso.

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      digestione

        La digestione difficile: un disturbo comune ma complesso

        A chi non è mai capitato di dire “oggi non digerisco”? Senso di pesantezza, gonfiore addominale, eruttazioni, bruciore o fastidio allo stomaco sono sintomi frequenti che rientrano in quella che i medici definiscono dispepsia. Si tratta di una condizione molto diffusa, che può comparire in modo occasionale dopo un pasto abbondante oppure diventare un problema cronico, indipendentemente da cosa o quanto si mangi.

        Secondo gli specialisti, la dispepsia non ha una sola causa ma nasce da un insieme di fattori legati allo stile di vita, all’alimentazione e, in alcuni casi, a malattie del tratto gastrointestinale.

        Le cause più frequenti: stile di vita e cattive abitudini

        «Spesso i disturbi digestivi sono collegati a comportamenti quotidiani scorretti», spiega Anna Ludovica Fracanzani, direttrice della Struttura complessa di Medicina a indirizzo metabolico del Policlinico di Milano.
        Mangiare in fretta, masticare poco, scegliere cibi troppo grassi, fritti o piccanti, ma anche sdraiarsi subito dopo i pasti o vivere sotto stress sono tutti fattori che rallentano la digestione.

        A questi si aggiungono il consumo eccessivo di alcol, caffè e bevande gassate, che irritano la mucosa gastrica, e l’uso di alcuni farmaci che possono interferire con il funzionamento dello stomaco.

        Quando il disagio dura oltre due o tre settimane, è consigliabile rivolgersi al medico: dietro i sintomi possono nascondersi patologie come gastrite, ulcera, reflusso gastroesofageo o un’infezione da Helicobacter pylori.

        Helicobacter pylori, il batterio “invisibile” che causa problemi

        L’Helicobacter pylori è un batterio che vive nella mucosa dello stomaco: secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, un terzo della popolazione mondiale ne è portatore. Nella maggior parte dei casi non provoca sintomi, ma quando diventa patogeno può causare gastrite cronica, ulcera duodenale e, nei casi più gravi, aumentare il rischio di tumore gastrico.

        Per diagnosticarlo si ricorre a test del respiro o delle feci, mentre la terapia consiste in una combinazione di antibiotici e inibitori della secrezione acida, da seguire per un periodo di alcune settimane.

        Intolleranze alimentari: cosa è davvero dimostrato

        Non sempre la cattiva digestione è colpa dello stomaco. Talvolta la causa risiede nell’intestino e riguarda le intolleranze alimentari.
        «Solo due sono scientificamente dimostrabili con test affidabili: celiachia e intolleranza al lattosio», precisa Alessandro Repici, direttore di Gastroenterologia e Endoscopia Digestiva di Humanitas Milano.

        Gli altri test diffusi sul mercato non hanno validazione scientifica.
        In particolare, togliere il latte senza una diagnosi certa può essere dannoso: i latticini sono una fonte importante di calcio e proteine, e molti prodotti, come alcuni formaggi stagionati, sono naturalmente privi di lattosio.

        Il ruolo del fegato e dei segnali da non ignorare

        Anche il fegato può contribuire alla sensazione di digestione lenta o pesantezza post-prandiale. «Alterazioni delle transaminasi o anomalie individuate tramite ecografia possono rivelare disturbi metabolici o biliari», aggiunge Fracanzani.

        I campanelli d’allarme che meritano un controllo medico sono:

        • dimagrimento inspiegabile,
        • difficoltà a deglutire,
        • dolore addominale persistente,
        • ittero (occhi o pelle gialla),
        • sangue nelle feci,
        • cambiamenti improvvisi del ritmo intestinale.

        Disturbi che si presentano anche di notte o dopo pasti leggeri non vanno trascurati.

        Gastroprotettori: tra abuso e paura infondata

        Un altro tema spesso frainteso riguarda i gastroprotettori, cioè i farmaci che riducono l’acidità gastrica. In Italia rappresentano una delle principali voci di spesa sanitaria, ma, come spiega Repici, «vengono usati troppo spesso senza necessità o, al contrario, evitati per paura degli effetti collaterali».

        In realtà, se prescritti dal medico e usati correttamente, sono sicuri e indispensabili per chi soffre di patologie come l’esofago di Barrett, una condizione che può predisporre al tumore dell’esofago e che richiede un trattamento continuativo.

        Prevenire è meglio che digerire

        La buona notizia è che molti disturbi digestivi si possono prevenire con semplici accorgimenti quotidiani:

        • mangiare lentamente, dedicando tempo ai pasti;
        • privilegiare cibi leggeri e poco grassi;
        • evitare alcol e fumo;
        • non sdraiarsi subito dopo aver mangiato;
        • gestire lo stress con attività fisica o tecniche di rilassamento.

        Seguendo queste regole, nella maggior parte dei casi la digestione torna fisiologica. Ma quando i sintomi persistono, non bisogna rassegnarsi: una diagnosi precoce è la chiave per curare efficacemente le cause profonde del problema.

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          Beauty

          K-Beauty: tra natura e tecnologia, la rivoluzione coreana che ha cambiato la skincare

          Dalla doppia detersione al bakuchiol, la K-beauty continua a dettare tendenze globali grazie a formule green, principi attivi all’avanguardia e una filosofia che mette la salute della pelle – non il trucco – al centro di tutto.

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          K-Beauty

            Sfatiamo un mito: la K-beauty non è fatta di dieci passaggi

            Per anni si è parlato della “skincare coreana in 10 step” come se fosse una regola immutabile. In realtà, in Corea del Sud nessuno parla di un numero fisso di passaggi.
            A Seul e nelle altre grandi città, dove inquinamento, sbalzi climatici e stress mettono alla prova la pelle, la priorità è una cura delicata, lenitiva e personalizzata, non una maratona cosmetica.
            I trattamenti più intensi, inoltre, vengono lasciati ai dermatologi, mentre la routine quotidiana punta a mantenere la barriera cutanea in equilibrio.

            Come spiegano Rachel Kim e Dania Baik, rispettivamente marketing manager e make-up artist del brand Cocory, «il cuore della K-beauty è la pelle stessa: persino il trucco parte sempre da una base sana e curata».

            Un fenomeno culturale e globale

            L’influenza della Hallyu, l’onda culturale coreana che dagli anni 2010 ha conquistato il mondo con musica, serie TV e moda, si è estesa anche alla cosmetica.
            Dalle maschere in tessuto ai patch per occhi, fino alla doppia detersione, la K-beauty è diventata un fenomeno planetario, spinta dai social e dai K-pop idol che mostrano pelli perfette e luminose.

            Su TikTok, le beauty creator conoscono ogni ingrediente: dal ginseng al riso fermentato, fino alle formule high-tech di marchi come Laneige, Innisfree, Skin1004, Some By Mi e il viralissimo Beauty of Joseon, che riprende antiche ricette della medicina tradizionale coreana.

            Secondo Statista, la Corea del Sud è oggi tra i dieci maggiori mercati mondiali della cosmetica, mentre Euromonitor la colloca all’ottavo posto per valore nel settore beauty e cura personale, con un giro d’affari di oltre 12,8 miliardi di dollari.

            Ingredienti antichi, formule moderne

            La forza della K-beauty sta nella ricerca di ingredienti naturali, efficaci e tollerabili.
            Molti attivi oggi noti in Occidente, come la bava di lumaca o la centella asiatica, sono stati portati al successo proprio dai laboratori coreani, che hanno saputo combinarli con tecnologie d’avanguardia.

            «Il mercato coreano è sempre più orientato verso formule vegane e sostenibili, con attivi ad alte prestazioni ma di origine naturale», spiega Choi Yeon Jae, del Korea Institute of Cosmetics Industry.

            Tra i must have:

            • Bakuchiol, alternativa vegetale al retinolo, delicata ma efficace;
            • Ceramidi e peptidi per rinforzare la barriera cutanea;
            • Collagene vegano estratto dalle carote;
            • Centella asiatica fermentata con lattobacilli per potenziarne l’effetto calmante;
            • Tranexamico per uniformare l’incarnato e contrastare le macchie.

            Quando la tecnologia incontra la natura

            La K-beauty non è solo green, ma anche tech.
            «Un esempio – racconta Ilaria Toscano, fondatrice del portale The Kbeauty – è la camelia japonica coltivata sull’isola di Jeju e incapsulata nei liposomi per migliorarne la penetrazione. Oppure i fattori di crescita cellulare (EGF, FGF, TGF), che stimolano il rinnovamento cutaneo. Anche l’acido ialuronico viene “ingegnerizzato” in versioni a diverso peso molecolare per agire in profondità».

            Questo mix di tradizione botanica e ricerca scientifica è la chiave del successo globale della cosmetica coreana, che riesce a coniugare delicatezza e performance.

            L’espansione in Italia

            Negli ultimi anni, anche in Italia la K-beauty ha trovato terreno fertile. Dalla Rinascente di Roma e Milano ai corner dedicati da Ovs e dalle principali profumerie, fino agli e-commerce come Miin Cosmetics e Yepoda, i prodotti coreani sono ormai protagonisti del mercato.
            Il fascino sta non solo nel packaging minimal e nei prezzi accessibili, ma anche nella filosofia “slow” che incoraggia l’ascolto della pelle e la costanza nella cura quotidiana.

            Dalla pelle ai capelli: la beauty routine si espande

            La cura coreana non si ferma al viso. Sempre più brand dedicano linee specifiche al cuoio capelluto, trattato come un’estensione della pelle.
            Per le cute grasse si usano estratti di fagiolo azuki e neem, dalle proprietà purificanti, mentre per quella secca spiccano olio di pracaxi e quinoa, ricchi di acidi grassi e antiossidanti.

            La K-beauty non è una moda passeggera, ma una filosofia di benessere: delicata, scientifica, sostenibile.
            È la dimostrazione che la vera innovazione nasce dal rispetto della pelle e della natura.
            Oggi non serve vivere a Seul per adottarla — basta leggere l’etichetta e scegliere ingredienti che raccontano una nuova idea di bellezza: green, tecnologica e consapevole.

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              Benessere

              Kefir, l’antico elisir del benessere: cosa dice la scienza sulla bevanda fermentata più amata del momento

              Dalle montagne del Caucaso alle nostre tavole, il kefir è tornato protagonista delle diete salutiste. Non solo moda: i fermenti vivi che contiene possono davvero migliorare la salute intestinale e il benessere psicofisico.

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              Kefir

                Dalle origini antiche al successo moderno

                Il kefir non è una novità. Questa bevanda fermentata a base di latte affonda le sue radici nelle regioni montuose del Caucaso e del Tibet, dove veniva considerata un dono sacro, capace di garantire longevità e salute.
                Oggi, complice l’attenzione crescente verso l’alimentazione “viva”, il kefir è tornato di moda anche in Occidente, dove viene apprezzato per il suo gusto leggermente acidulo e per i numerosi benefici sull’intestino e sul microbiota.

                Come spiega il dottor Manuele Biazzo, direttore scientifico del Centro Toscano Microbiota, “il kefir è un alimento probiotico a tutti gli effetti: contiene una comunità di microrganismi vivi che lavorano in simbiosi per migliorare l’equilibrio intestinale e sostenere il sistema immunitario”.

                Come nasce il kefir

                Il processo di fermentazione del kefir è ciò che lo rende unico.
                “Si ottiene inoculando nel latte i cosiddetti granuli di kefir, composti da un insieme di batteri e lieviti in equilibrio tra loro”, spiega Biazzo.
                Questa doppia fermentazione – lattica e alcolica – conferisce alla bevanda il suo sapore fresco e leggermente frizzante.

                Il kefir può essere preparato anche in casa, ma è fondamentale rispettare la catena del freddo, poiché i fermenti sono organismi vivi. “Il kefir deve essere conservato in frigorifero e consumato fresco – precisa l’esperto – perché la temperatura controllata evita la proliferazione di batteri indesiderati e mantiene attiva la flora benefica.”

                Latte o acqua? Le due versioni del kefir

                Esistono due principali varianti:

                • Kefir di latte, ricco di proteine, calcio e vitamine, ideale per chi non è intollerante al lattosio;
                • Kefir d’acqua, fermentato con acqua e zucchero, più leggero e adatto a vegani e intolleranti al lattosio.

                Entrambi apportano fermenti vivi che supportano la digestione e contribuiscono alla diversità del microbiota intestinale, considerata oggi un indicatore chiave di salute generale.

                I benefici scientificamente riconosciuti

                Il kefir è apprezzato non solo per il suo profilo nutrizionale ma anche per i benefici clinicamente documentati.
                Tra i principali:

                • Migliora la digestione del lattosio: i batteri lattici forniscono gli enzimi necessari (come le beta-galattosidasi) per digerire lo zucchero del latte, rendendolo più tollerabile.
                • Regolarizza l’intestino: grazie alla sua azione sul microbiota, può essere utile a chi soffre di stitichezza cronica.
                • Supporta le difese immunitarie: diversi studi hanno mostrato che la modulazione del microbiota da parte del kefir può aiutare a contrastare infezioni, inclusa quella da Helicobacter pylori, un batterio associato alla gastrite.
                • Effetto antinfiammatorio e psicobiotico: alcuni metaboliti prodotti durante la fermentazione, come l’acido gamma-amminobutirrico (GABA), influenzano l’asse intestino-cervello, con effetti positivi su ansia, umore e stress.

                “In sostanza – sottolinea Biazzo – il kefir non agisce solo sul piano digestivo, ma ha un impatto sistemico che coinvolge anche la sfera psicologica e immunitaria.”

                Come inserirlo nella dieta quotidiana

                Il kefir può essere consumato da solo o integrato in ricette dolci e salate.
                Una porzione giornaliera consigliata è di circa 200-250 ml, come indicano diversi studi internazionali.
                Si può gustare a colazione con frutta fresca, avena o miele, oppure come base per smoothie, frullati e salse. Anche nelle versioni vegetali o d’acqua, resta un’ottima alternativa agli yogurt industriali.

                Le controindicazioni da conoscere

                Nonostante i suoi benefici, il kefir non è adatto a tutti.
                Essendo un alimento fermentato:

                • Può avere un effetto lassativo se consumato in eccesso, soprattutto in chi non soffre di stitichezza.
                • È sconsigliato agli allergici alle proteine del latte, che dovrebbero orientarsi sulle versioni vegetali o d’acqua.
                • In persone con sistema immunitario compromesso – come pazienti oncologici o con HIV – è bene evitarlo, poiché i ceppi probiotici vivi possono rappresentare un rischio.
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