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Cronaca

Rai, caos Tgr: tutto fermo sul concorso per giornalisti e cresce la rabbia tra gli aspiranti

Famiglie in attesa, futuri cronisti con le valigie pronte e nessuna comunicazione ufficiale. Si parla di domande presentate da candidati senza i requisiti e di certificazioni arrivate “a orologeria”. Intanto, in Rai, i malumori si moltiplicano e la selezione per la Tgr rischia di diventare l’ennesimo pasticcio interno.

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    In Rai i malumori non mancano mai, ma stavolta il malessere si fa sentire forte anche lontano dagli studi televisivi. Il motivo? La selezione per aspiranti giornalisti della Tgr, il grande concorso interno che dovrebbe portare nuove firme e nuove voci nelle redazioni regionali.

    Eppure, a oltre un mese dalla chiusura del bando — scaduto il 2 settembre con 246 domande presentate — tutto tace. Nessuna lista di ammessi, nessuna comunicazione ufficiale, solo un silenzio che alimenta irritazione e sospetti. Tra i candidati, molti dei quali pronti a traslocare e cambiare vita da qui a fine anno, cresce la frustrazione.

    «Non sappiamo se prepararci alle prove o cercare un altro lavoro», raccontano alcuni in forma anonima. Intere famiglie restano in bilico, in attesa di una mail o di un avviso sul portale aziendale che tarda ad arrivare.

    Secondo indiscrezioni raccolte nei corridoi di viale Mazzini, dietro la lentezza della procedura ci sarebbe una revisione straordinaria delle domande: pare infatti che più di un candidato abbia provato a “forzare la mano”, presentando titoli o requisiti non perfettamente conformi al bando, nella speranza di farsi poi certificare in extremis l’idoneità.

    Una voce, questa, che circola insistentemente e che rischia di gettare ombre sulla regolarità della selezione. Se fosse vero, significherebbe che qualcuno ha tentato di ottenere corsie preferenziali in una procedura già delicata, mentre gli altri aspiranti restano al palo.

    Intanto il clima interno si surriscalda. Dirigenti, funzionari e aspiranti cronisti si chiedono quando arriveranno le convocazioni e se i test verranno effettivamente organizzati entro la fine del 2025, come previsto.

    Mentre il direttore generale Giampaolo Rossi e l’amministratore delegato Roberto Sergio provano a rassicurare le strutture regionali, tra gli addetti ai lavori monta il sospetto che la macchina Rai, ancora una volta, si sia inceppata nella burocrazia.

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      Cronaca

      Paura a viale Mazzini: si parla di un “Me Too” in arrivo dentro la Rai

      Da giorni a viale Mazzini si respira un clima di inquietudine. Alcune autrici e professioniste Rai starebbero raccogliendo testimonianze e prove di avances e pressioni “spinte” subite negli anni. Si teme un effetto domino destinato a scuotere i piani alti dell’azienda.

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        Aleggiano voci sempre più insistenti nei corridoi di viale Mazzini, dove la parola “paura” sembra essere tornata d’attualità. Si parla di un possibile “Me Too” in salsa Rai, una denuncia collettiva che potrebbe travolgere ambienti e figure di rilievo della tv pubblica.

        Secondo quanto filtra da ambienti interni, un gruppo di collaboratrici, autrici e giornaliste starebbe valutando l’ipotesi di portare alla luce episodi di comportamenti inappropriati, avances indesiderate e situazioni di pressione sul lavoro. Non un singolo caso, ma una serie di episodi — dicono — che si sarebbero ripetuti negli anni, sempre secondo dinamiche simili.

        Si tratterebbe di testimonianze ancora informali, ma già messe nero su bianco, corredate da nomi, circostanze e date. «Basta silenzi, è ora di parlare», avrebbe confidato una delle professioniste coinvolte a un collega di redazione. L’obiettivo, spiegano le voci, sarebbe presentare un esposto collettivo alle autorità competenti o ai vertici aziendali, dopo un confronto con i sindacati interni.

        La notizia — mai confermata ufficialmente — ha già messo in agitazione i piani alti. C’è chi teme un terremoto mediatico, con possibili ripercussioni su dirigenti e capistruttura, e chi parla di “caccia alle streghe”, preoccupato per un’ondata di accuse difficili da gestire. In molti, però, ricordano che l’azienda di servizio pubblico non è mai stata immune da tensioni interne, favoritismi e rapporti di potere opachi.

        Nel frattempo, tra i giornalisti e i tecnici che affollano le redazioni, le voci corrono: c’è chi fa nomi, chi giura di sapere, chi teme di finire tirato in ballo per semplici frequentazioni professionali.

        Il clima è teso, quasi sospeso, e in Rai si attende di capire se il “caso” resterà solo un sussurro di corridoio o se diventerà la miccia di una nuova, clamorosa tempesta mediatica.

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          Storie vere

          Peccato! L’Autovelox non era omologato: annullata la multa per l’automobilista a 255 km/h

          Sfreccia in auto a 255 all’ora ma la maxi multa viene annullata: l’Autovelox non era omologato.

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            Lui tranquillo sfrecciava in auto a ben 255 km/h su un tratto autostradale con limite di 130, ma la multa salatissima gli è stata annullata per un errore burocratico. Mannaggia!! L’Autovelox usato per la contravvenzione non era omologato. Gasp! L’episodio risale allo scorso maggio quando un automobilista è stato multato per eccesso di velocità, con una sanzione di 845 euro e la sospensione della patente da 6 a 12 mesi.

            Provaci ancora Sam magari la prossima volta ti beccano per davvero

            L’automobilista, assistito dall’avvocato Gabriele Pipicelli di Verbania, ha presentato ricorso alla prefettura di Novara, che ha accolto le sue motivazioni. Il prefetto ha verificato infatti che lo strumento della Polizia Stradale, sebbene “approvato”, non risultava “omologato”, come richiesto dalla legge per validare le rilevazioni di velocità.

            Autovelox omologato, automobilista sanzionato!

            L’avvocato ha spiegato che il ricorso è stato fondato sulla giurisprudenza della Cassazione, che distingue tra “approvazione” e “omologazione” degli apparecchi di rilevazione. Solo quelli omologati garantiscono misurazioni legittime. Di fronte a questa discrepanza, il prefetto ha annullato la multa e tutte le sanzioni correlate, restituendo anche la patente all’automobilista.

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              Cronaca

              Vent’anni fa lo scandalo Lapo Elkann: overdose, trans e coca nella notte che spogliò la famiglia Agnelli

              La trans Patrizia, che gli salvò la vita, raccontò tutto: «Lapo è un cliente abituale, viene sempre con due di noi, paga 2-3 mila euro a ciascuna». E c’è chi giura che, stavolta, lo scandalo non fu insabbiato. Lapo, poi, nella sua prima intervista: «Non mi piacciono i trans, io sono etero. Io suscito invidia».

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                Era la notte tra il 9 e il 10 ottobre 2005, vent’anni esatti fa, quando la favola patinata della famiglia Agnelli si squarciò come un lampo. “Lapo Elkann in ospedale per overdose”, titolavano i giornali. Non era un gossip: era la verità. Il “nipotissimo”, il rampollo biondo e ribelle che aveva reso di nuovo cool la Fiat, era stato trovato privo di sensi in un monolocale di Torino dopo una notte di sesso e cocaina con due trans e un travestito.

                In un’Italia ancora senza social, la notizia esplose come una bomba. Lapo, 28 anni appena compiuti, era il volto della nuova generazione Agnelli, un mix di stile e provocazione. Ma quella notte il mito si sgretolò. A salvarlo fu Patrizia, una trans di 53 anni, che chiamò il 118 quando si accorse che non respirava più. Gli iniettarono il Narcan e gli salvarono la vita.

                Fu Patrizia stessa a raccontare il retroscena: «Lapo è un cliente abituale. Viene sempre di domenica, senza scorta, e ogni volta ne vuole almeno due. Paga bene, duemila o tremila euro a testa. La cocaina la compra lui, ma la prendo io coi suoi soldi». Dichiarazioni che demolirono ogni tentativo di silenzio.

                Le tv aprirono speciali, Porta a Porta dedicò la serata al caso e l’amico Gelasio Gaetani d’Aragona Lovatelli minimizzò: «Il 92% delle persone che frequento fa uso di coca». In redazione si parlò di “tsunami Agnelli”, perché per la prima volta la famiglia non tentò di coprire nulla.

                Secondo il giornalista Gigi Moncalvo, lo scandalo non fu insabbiato apposta: «Volevano raddrizzarlo». E il giorno dopo arrivò il colpo finale: Martina Stella, la fidanzata dell’epoca, lo lasciò con un comunicato gelido.

                Dopo il ricovero, Lapo scomparve per qualche settimana tra rehab e fughe all’estero. Poi, a fine 2005, concesse la sua prima intervista post scandalo: «Non mi piacciono i trans e non sono gay. Sono etero, io suscito invidia».

                Era l’inizio di una lunga ricostruzione d’immagine, ma anche la fine dell’innocenza. Perché quella notte di vent’anni fa non travolse solo Lapo: segnò la caduta definitiva dell’ultimo mito familiare intoccabile d’Italia.

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