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Cronaca

Tod’s nella bufera: la procura chiede il commissariamento. Ombre di sfruttamento sulla dinastia Della Valle

La richiesta di amministrazione giudiziaria della Tod’s per “agevolazione colposa nello sfruttamento lavorativo” riaccende il dibattito sul controllo delle subforniture. “Condizioni ottocentesche”, scrive il pm Storari.

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    Per anni è stata l’emblema dell’eleganza italiana, il marchio che ha trasformato una bottega marchigiana in un impero globale. Oggi Tod’s, la creatura della famiglia Della Valle, finisce al centro di un’inchiesta che scotta e che potrebbe lasciare un segno profondo sul mito del lusso etico all’italiana.

    La procura di Milano ha chiesto la nomina di un’amministrazione giudiziaria per la Tod’s Spa, accusando l’azienda di aver “agevolato colposamente” un sistema di sfruttamento lavorativo lungo la filiera produttiva. Operai cinesi pagati 2,75 euro l’ora, turni notturni e dormitori improvvisati: è questo il quadro che emerge dalle indagini del pm Paolo Storari, che parla di “condizioni ottocentesche” e di “para-schiavitù”.

    Tod’s non è indagata, ma l’effetto sull’immagine è devastante. Perché il nome Della Valle – Diego, il patriarca, e Andrea, il fratello – rappresenta da decenni un modello di imprenditoria familiare fatta di orgoglio, sobrietà e italianità. Il marchio, nato a Casette d’Ete, nel cuore delle Marche, ha costruito un impero su valori di autenticità, con un messaggio chiaro: tutto viene fatto in Italia, da mani esperte, con rispetto per chi lavora. Oggi quella promessa traballa.

    Le verifiche del Nucleo Ispettorato del Lavoro hanno trovato tutt’altro. Opifici dove si lavora anche la notte, senza sosta, in condizioni precarie. “La produzione – scrive il magistrato – prosegue h24, con particolare intensità nei giorni festivi, quando i controlli sono inesistenti”. I lavoratori dormono accanto ai banchi di cucitura, pagando un affitto di 150 euro ai titolari degli stessi laboratori. Una spirale di sfruttamento che contrasta con i profitti del gruppo: oltre 1,1 miliardi di euro di fatturato nel 2023 e 50 milioni di utile netto.

    Per la procura non c’è dolo, ma un’omissione di vigilanza. In sostanza, Tod’s avrebbe chiuso un occhio. Una negligenza che non si addice a un colosso da 4.700 dipendenti e simbolo del made in Italy. Il fascicolo, dopo il rimbalzo tra Milano e Ancona, è ora nelle mani della Cassazione, chiamata a decidere se la misura potrà essere applicata.

    Intanto il ministro Adolfo Urso promette una stretta: “Ogni brand dovrà certificare la sostenibilità e la legalità della propria filiera produttiva”. Parole che sembrano scritte per evitare che la vicenda Tod’s diventi un caso internazionale.

    In casa Della Valle, silenzio. Diego, da sempre riservato e attento all’immagine, non commenta. Ma la ferita è evidente: per chi ha fatto della trasparenza il proprio marchio, essere associato a un sistema di sfruttamento è un colpo al cuore.

    L’eleganza, si sa, è fatta di dettagli. E oggi, per Tod’s, il dettaglio che fa più male non è un difetto di cucitura, ma una crepa nella reputazione.

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      Cronaca

      Paura a viale Mazzini: si parla di un “Me Too” in arrivo dentro la Rai

      Da giorni a viale Mazzini si respira un clima di inquietudine. Alcune autrici e professioniste Rai starebbero raccogliendo testimonianze e prove di avances e pressioni “spinte” subite negli anni. Si teme un effetto domino destinato a scuotere i piani alti dell’azienda.

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        Aleggiano voci sempre più insistenti nei corridoi di viale Mazzini, dove la parola “paura” sembra essere tornata d’attualità. Si parla di un possibile “Me Too” in salsa Rai, una denuncia collettiva che potrebbe travolgere ambienti e figure di rilievo della tv pubblica.

        Secondo quanto filtra da ambienti interni, un gruppo di collaboratrici, autrici e giornaliste starebbe valutando l’ipotesi di portare alla luce episodi di comportamenti inappropriati, avances indesiderate e situazioni di pressione sul lavoro. Non un singolo caso, ma una serie di episodi — dicono — che si sarebbero ripetuti negli anni, sempre secondo dinamiche simili.

        Si tratterebbe di testimonianze ancora informali, ma già messe nero su bianco, corredate da nomi, circostanze e date. «Basta silenzi, è ora di parlare», avrebbe confidato una delle professioniste coinvolte a un collega di redazione. L’obiettivo, spiegano le voci, sarebbe presentare un esposto collettivo alle autorità competenti o ai vertici aziendali, dopo un confronto con i sindacati interni.

        La notizia — mai confermata ufficialmente — ha già messo in agitazione i piani alti. C’è chi teme un terremoto mediatico, con possibili ripercussioni su dirigenti e capistruttura, e chi parla di “caccia alle streghe”, preoccupato per un’ondata di accuse difficili da gestire. In molti, però, ricordano che l’azienda di servizio pubblico non è mai stata immune da tensioni interne, favoritismi e rapporti di potere opachi.

        Nel frattempo, tra i giornalisti e i tecnici che affollano le redazioni, le voci corrono: c’è chi fa nomi, chi giura di sapere, chi teme di finire tirato in ballo per semplici frequentazioni professionali.

        Il clima è teso, quasi sospeso, e in Rai si attende di capire se il “caso” resterà solo un sussurro di corridoio o se diventerà la miccia di una nuova, clamorosa tempesta mediatica.

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          Storie vere

          Peccato! L’Autovelox non era omologato: annullata la multa per l’automobilista a 255 km/h

          Sfreccia in auto a 255 all’ora ma la maxi multa viene annullata: l’Autovelox non era omologato.

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            Lui tranquillo sfrecciava in auto a ben 255 km/h su un tratto autostradale con limite di 130, ma la multa salatissima gli è stata annullata per un errore burocratico. Mannaggia!! L’Autovelox usato per la contravvenzione non era omologato. Gasp! L’episodio risale allo scorso maggio quando un automobilista è stato multato per eccesso di velocità, con una sanzione di 845 euro e la sospensione della patente da 6 a 12 mesi.

            Provaci ancora Sam magari la prossima volta ti beccano per davvero

            L’automobilista, assistito dall’avvocato Gabriele Pipicelli di Verbania, ha presentato ricorso alla prefettura di Novara, che ha accolto le sue motivazioni. Il prefetto ha verificato infatti che lo strumento della Polizia Stradale, sebbene “approvato”, non risultava “omologato”, come richiesto dalla legge per validare le rilevazioni di velocità.

            Autovelox omologato, automobilista sanzionato!

            L’avvocato ha spiegato che il ricorso è stato fondato sulla giurisprudenza della Cassazione, che distingue tra “approvazione” e “omologazione” degli apparecchi di rilevazione. Solo quelli omologati garantiscono misurazioni legittime. Di fronte a questa discrepanza, il prefetto ha annullato la multa e tutte le sanzioni correlate, restituendo anche la patente all’automobilista.

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              Cronaca

              Vent’anni fa lo scandalo Lapo Elkann: overdose, trans e coca nella notte che spogliò la famiglia Agnelli

              La trans Patrizia, che gli salvò la vita, raccontò tutto: «Lapo è un cliente abituale, viene sempre con due di noi, paga 2-3 mila euro a ciascuna». E c’è chi giura che, stavolta, lo scandalo non fu insabbiato. Lapo, poi, nella sua prima intervista: «Non mi piacciono i trans, io sono etero. Io suscito invidia».

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                Era la notte tra il 9 e il 10 ottobre 2005, vent’anni esatti fa, quando la favola patinata della famiglia Agnelli si squarciò come un lampo. “Lapo Elkann in ospedale per overdose”, titolavano i giornali. Non era un gossip: era la verità. Il “nipotissimo”, il rampollo biondo e ribelle che aveva reso di nuovo cool la Fiat, era stato trovato privo di sensi in un monolocale di Torino dopo una notte di sesso e cocaina con due trans e un travestito.

                In un’Italia ancora senza social, la notizia esplose come una bomba. Lapo, 28 anni appena compiuti, era il volto della nuova generazione Agnelli, un mix di stile e provocazione. Ma quella notte il mito si sgretolò. A salvarlo fu Patrizia, una trans di 53 anni, che chiamò il 118 quando si accorse che non respirava più. Gli iniettarono il Narcan e gli salvarono la vita.

                Fu Patrizia stessa a raccontare il retroscena: «Lapo è un cliente abituale. Viene sempre di domenica, senza scorta, e ogni volta ne vuole almeno due. Paga bene, duemila o tremila euro a testa. La cocaina la compra lui, ma la prendo io coi suoi soldi». Dichiarazioni che demolirono ogni tentativo di silenzio.

                Le tv aprirono speciali, Porta a Porta dedicò la serata al caso e l’amico Gelasio Gaetani d’Aragona Lovatelli minimizzò: «Il 92% delle persone che frequento fa uso di coca». In redazione si parlò di “tsunami Agnelli”, perché per la prima volta la famiglia non tentò di coprire nulla.

                Secondo il giornalista Gigi Moncalvo, lo scandalo non fu insabbiato apposta: «Volevano raddrizzarlo». E il giorno dopo arrivò il colpo finale: Martina Stella, la fidanzata dell’epoca, lo lasciò con un comunicato gelido.

                Dopo il ricovero, Lapo scomparve per qualche settimana tra rehab e fughe all’estero. Poi, a fine 2005, concesse la sua prima intervista post scandalo: «Non mi piacciono i trans e non sono gay. Sono etero, io suscito invidia».

                Era l’inizio di una lunga ricostruzione d’immagine, ma anche la fine dell’innocenza. Perché quella notte di vent’anni fa non travolse solo Lapo: segnò la caduta definitiva dell’ultimo mito familiare intoccabile d’Italia.

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