Musica
Patty Pravo, la donna che sfida il tempo: “Sono millenaria. O ti ammali o te ne freghi”
Tra filosofia e leggerezza, Patty Pravo racconta la sua formula per restare libera e autentica: “Puoi ingannare il pubblico per un mese, ma non per cinquant’anni. Io ho solo camminato, senza traguardi”.

“Sono millenaria.” Detto da chi ha attraversato la musica italiana come un pianeta luminoso e imprevedibile, suona più come una dichiarazione d’identità che come una battuta. Patty Pravo torna a riflettere su sé stessa con quella ironia lieve e profonda che la accompagna da sempre.
“Un giorno, da bambina, qualcuno mi chiese che età avessi e io risposi: sono millenaria! Non so nemmeno quanti anni ho. Se non c’è qualcuno che me lo dice, scordo il mio compleanno”, racconta con la solita voce vellutata e l’aria da sacerdotessa laica del rock.
Da sempre allergica a mode e convenzioni, la ragazza del Piper oggi come ieri vive fuori dal tempo. “Ne hanno dette di tutti i colori su di me. Ma me ne sono sempre fregata. O ti ammali o te ne freghi. Io ho scelto la seconda”, dice, sintetizzando in una frase la filosofia di un’intera esistenza.
Una carriera lunga più di mezzo secolo, un personaggio che non si è mai fatto imprigionare dalle etichette. “Per me la gente sente la verità. Puoi fregarla per una settimana, un mese, ma non per cinquant’anni”, afferma. E il pubblico, infatti, la ama ancora proprio per questo: perché non si è mai adattata, non ha mai chiesto permesso.
E quando le chiedono quale sia il suo prossimo traguardo, sorride come chi ha già visto tutto: “Non ne ho mai avuti. Per me è stata una lunga passeggiata”.
Un viaggio tra palchi, scandali, amori e rinascite, sempre con la stessa eleganza magnetica e la stessa voglia di stupire. Patty non ha bisogno di traguardi: le basta continuare a camminare.
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Musica
Le Spice Girls si riuniscono alla première del docufilm su Victoria Beckham: unica assente Mel B
Geri, Emma e Mel C hanno posato insieme alla protagonista della serata, in un evento che ha fatto impazzire i fan. Grande assente Mel B, che non ha preso parte neppure al matrimonio di luglio: restano ignoti i motivi del forfait.

Le Spice Girls tornano a far sognare i fan con una reunion a sorpresa. Le regine del pop britannico si sono ritrovate a Londra per un’occasione speciale: la première della nuova docuserie Netflix dedicata a Victoria Beckham, che racconta il suo percorso professionale e personale, dagli anni Novanta fino alla consacrazione come stilista di fama mondiale.

All’evento hanno partecipato Geri Halliwell, Melanie C ed Emma Bunton, che hanno voluto omaggiare la loro ex compagna di band con sorrisi, abbracci e foto insieme sul red carpet. Una scena che ha fatto il giro dei social, accendendo la nostalgia per l’epoca d’oro dello Spice power.
Unica assente Mel B, al secolo Melanie Brown. La sua mancanza non è passata inosservata, anche perché già al matrimonio di Victoria, celebrato lo scorso luglio, la cantante non si era presentata. Nessuna delle altre Spice ha commentato ufficialmente la sua assenza, e i motivi non sono stati chiariti. Secondo i media britannici, potrebbe trattarsi di impegni personali o di rapporti ancora non del tutto distesi tra le ex colleghe.
Victoria, elegantissima in total black, si è mostrata emozionata e grata per la presenza delle amiche di sempre: “È bellissimo avervi qui, siete parte della mia storia e della mia vita.” Il pubblico ha accolto la reunion con applausi e flash, mentre sui social i fan invocano già un ritorno sul palco.
Dopo anni di tentativi e voci di tour mai davvero decollati, la foto delle quattro Spice insieme ha riacceso le speranze di chi sogna ancora un “Spice Girls comeback”. E se anche Mel B per ora resta fuori dal gruppo, l’effetto nostalgia è bastato per ricordare a tutti che, a distanza di trent’anni, il loro messaggio è ancora valido: Girl Power never dies.
Musica
Freddie, i suoi ricordi e la sorella in incognito: l’asta che ha spaccato la famiglia Mercury
Non voleva che i gilet, le giacche, i testi manoscritti e gli oggetti più personali di Freddie Mercury finissero sparsi per il mondo. Così la sorella dell’artista ha fatto offerte in incognito per più di quaranta cimeli, comprati da Sotheby’s. Mary Austin, custode dell’eredità di Freddie, aveva deciso di venderli. Un gesto che Kashmira ha vissuto come un tradimento. E che riapre vecchie ferite mai sopite.

Una giacca militare da mezzo milione, un gilet con i gatti di Freddie, pagine di testi scritti a mano, un jukebox, una lampada. E il dolore, silenzioso e personale, di chi non voleva che tutto questo diventasse oggetto da vetrina. Kashmira Bulsara, sorella di Freddie Mercury, ha fatto quello che nessuno si aspettava: ha ricomprato in incognito oltre 40 cimeli appartenuti al fratello, messi all’asta dalla storica compagna e amica dell’artista, Mary Austin.
Una spesa di circa tre milioni di sterline. Non per investimento, non per nostalgia. Ma per salvare ciò che restava. Per riportare a casa frammenti di un fratello amato, che stava per essere frantumato all’incanto. “Capisce l’amore del mondo per Freddie – ha riferito una fonte vicina – ma non accettava che oggetti così intimi finissero in mani sconosciute”. Ogni oggetto, ogni fibra di quel guardaroba iconico, parlava di lui.
Il più caro? Una giacca militare realizzata per il trentanovesimo compleanno del cantante: 457.200 sterline. Poi il gilet con i suoi sei gatti, immortalato nel video di These Are the Days of Our Lives, uno degli ultimi prima della morte: 139.700 sterline. E ancora: il jukebox Wurlitzer (406.400), i testi di Killer Queen (279.400), una lampada Art Deco, un secchiello per il ghiaccio. Ogni oggetto, un affondo.
E ogni rilancio, un atto d’amore. O di dolore. Perché quella collezione, per Kashmira, non doveva nemmeno finire in vetrina. Dopo trent’anni di silenziosa custodia, Mary Austin aveva deciso di vendere tutto. Ma a chi appartiene davvero la memoria di un uomo? Alla donna che ha vissuto con lui gli anni della gloria e della solitudine, o al sangue del suo sangue?
Lui stesso non aveva mai fatto mistero del legame profondo con Mary. “È come se fossimo sposati”, diceva. Le lasciò metà del suo patrimonio, mentre l’altra metà fu divisa tra i genitori e Kashmira. Ma alla morte di Jer e Bomi, le quote tornarono a Mary. Fu lei a riportare le ceneri di Freddie a Garden Lodge. Fu lei, nel tempo, a restare. Ma non senza ombre.
Pochi mesi dopo la morte dell’artista, fu lei a chiedere a Jim Hutton, il compagno con cui Freddie aveva vissuto i suoi ultimi sei anni, di lasciare la casa. Garden Lodge, acquistata nel 1978 per 300.000 sterline, è oggi sul mercato per 30 milioni. E l’anno scorso, con la vendita del catalogo musicale dei Queen a Sony, Mary avrebbe ricevuto un dividendo personale di 187,5 milioni di sterline.
Non stupisce, quindi, che la decisione di vendere gli oggetti più personali di Freddie non sia stata presa bene da tutti. Soprattutto dalla sorella, che ha agito con riservatezza, ma anche con rabbia. Nessuno doveva sapere. Nessuno doveva sospettare. Ha visitato l’esposizione da Sotheby’s da sola, in anticipo. Il giorno dell’asta, ha mandato l’assistente personale a fare le offerte. Lei, da lontano, ha seguito tutto.
Un gesto familiare, più che patrimoniale. Un modo per non vedere dissolversi un pezzo di sé. Perché ci sono cimeli che diventano reliquie, ma prima ancora sono resti d’affetto. E mentre il mondo celebra Mercury come icona globale, la sua famiglia – quella di sangue – continua a combattere in silenzio per non perderlo del tutto.
Musica
John Lennon spiato dal governo americano: riemerge un’intervista del 1975 in cui racconta di pedinamenti e telefonate “manipolate”
«Aprivo la porta e c’erano uomini dall’altro lato della strada, salivo in macchina e mi seguivano». Il cantante era convinto che l’intelligence americana lo tenesse sotto controllo. «Non ero l’unico: anche Jagger e McCartney hanno avuto problemi».

C’è pane per i complottisti e nostalgia per i fan dei Beatles. Negli archivi polverosi di un seminterrato londinese è riemersa una intervista inedita del 1975 a John Lennon, registrata dal DJ britannico Nicky Horne, in cui il musicista raccontava di essere pedinato e sorvegliato dal governo americano.
La registrazione, ritrovata dalla moglie di Horne in una scatola di vecchie bobine, è una vera capsula del tempo. Nella conversazione, l’ex Beatle parla con voce calma ma inquieta: «So distinguere la differenza tra una telefonata normale e una con un sacco di rumori. Aprivo la porta e c’erano uomini dall’altro lato della strada. Salivo in macchina e mi seguivano senza nemmeno cercare di nascondersi. Volevano che lo vedessi».
Lennon era convinto di essere nella lista di sorveglianza della CIA sin dal 1971, anno dell’uscita di Gimme Some Truth, il brano in cui attaccava il presidente Richard Nixon e la guerra in Vietnam. Il clima politico era teso, e la sua militanza pacifista non piaceva a Washington. «Ero paranoico. Chi non lo sarebbe stato?», confessa nell’intervista.
Ma, aggiunge, non era solo. «Gente come Mick Jagger, Paul e George hanno avuto problemi a entrare e uscire dagli Stati Uniti. Mick una volta dovette infilarsi in un tombino per far entrare Keith Richards e gli altri in tour».
Il documento sonoro, presentato ora su Boom Radio, offre un ritratto intimo di un Lennon inquieto ma lucido, alle prese con la vita al Dakota Building di New York insieme a Yoko Ono, tra voglia di normalità e sospetti continui.
Non aveva prove concrete, ma il dubbio restava: «Ci sono un sacco di lavori di manutenzione nel seminterrato… magari non è un caso», dice ironico al microfono.
In uno dei passaggi più toccanti, Lennon riflette sulla sua musica: «Come fa qualcuno a dire che Imagine è il miglior disco che farò mai, e io ho solo 34 anni? A meno di atti divini, dovrei essere in giro per altri sessanta».
Poche parole, registrate cinquant’anni fa, che oggi suonano come un testamento anticipato: quello di un uomo che voleva la pace, ma sentiva l’ombra del potere alle sue spalle.
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